Ogni bambino condannato all’aborto «ha il volto del Signore»

Ogni bambino condannato all’aborto «ha il volto del Signore». Così il Papa, ricevendo oggi in Sala Clementina un centinaio di medici della Federazione Internazionale delle Associazioni Mediche Cattoliche, riunita a Roma fino al 22 settembre, per la decima Conferenza internazionale sul tema “La nuova evangelizzazione, le pratiche ostetriche e la cura delle madri”. 

Articolo tratto da Radio Vaticana

Il servizio di Giada Aquilino:

Un sì «deciso e senza tentennamenti alla vita». Lo ha lanciato Papa Francesco incontrando oggi i medici cattolici riuniti in questi giorni a Roma. «Una diffusa mentalità dell’utile», la cosiddetta «cultura dello scarto», che – ha detto il Pontefice – «oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli».

«Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo, ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano… anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare, come ci propone la cultura dello scarto! Non si possono scartare!».

Va dunque ribadito – come riportato nella Dichiarazione sull’aborto procurato della Congregazione per la Dottrina della Fede – che «il primo diritto di una persona è la sua vita». Nell’essere umano fragile, ha aggiunto il Santo Padre, «ciascuno di noi è invitato a riconoscere il volto del Signore, che nella sua carne umana ha sperimentato l’indifferenza e la solitudine a cui spesso condanniamo i più poveri, sia nei Paesi in via di sviluppo, sia nelle società benestanti».

«Le cose hanno un prezzo e sono vendibili, ma le persone hanno una dignità, valgono più delle cose e non hanno prezzo. Tante volte ci troviamo in situazioni in cui quello che costa di meno è la vita. Per questo l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro, al bambino, all’anziano, che è la vita più indifesa».

Con i medici cattolici, il Papa ha riflettuto sull’attuale momento storico, in cui si vive una «situazione paradossale» per la loro professione. Da una parte, ha notato, «constatiamo – e ringraziamo Dio – per i progressi della medicina, grazie al lavoro di scienziati che, con passione e senza risparmio, si dedicano alla ricerca di nuove cure». Dall’altra, però, si riscontra «anche il pericolo che il medico smarrisca la propria identità di servitore della vita». «Il disorientamento culturale – ha aggiunto – ha intaccato anche quello che sembrava un ambito inattaccabile»: la medicina. 

«Pur essendo per loro natura al servizio della vita – ha proseguito – le professioni sanitarie sono indotte a volte a non rispettare la vita stessa». Citando l’Enciclica Caritas in veritate, il Pontefice ha ricordato invece che «l’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo».

«La situazione paradossale si vede nel fatto che, mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti, non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo. Il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita».

In particolare ai ginecologi, il Papa ha ricordato che, «alla luce della fede e della ragione», essi riconoscono «la maternità come missione fondamentale della donna, sia nei Paesi poveri dove il parto è ancora rischioso per la vita, sia in quelli più benestanti dove spesso la maternità non è adeguatamente considerata e promossa». Il mandato per loro è quindi quello di essere «testimoni e diffusori» della cultura della vita.

«Un tempo, le donne che aiutavano nel parto le chiamavamo “co-madre”, come una madre con l’altra, con la vera madre. Anche voi siete “co-madri” e “com-padri”, anche voi».

L’essere cattolici, poi, «comporta una maggiore responsabilità», in particolare verso la cultura contemporanea: «contribuire a riconoscere nella vita umana – ha spiegato – la dimensione trascendente, l’impronta dell’opera creatrice di Dio, fin dal primo istante del suo concepimento»:

«È questo un impegno di nuova evangelizzazione che richiede spesso di andare controcorrente, pagando di persona. Il Signore conta anche su di voi per diffondere il “vangelo della vita”».

In questa prospettiva – ha detto il Santo Padre – i reparti ospedalieri di ginecologia «sono luoghi privilegiati di testimonianza e di evangelizzazione», perché là dove la Chiesa si fa veicolo della presenza del Dio vivente, «diventa al tempo stesso» quello che la Nota dottrinale su alcuni aspetti dell’evangelizzazione della Congregazione per la Dottrina della Fede definisce «strumento di una vera umanizzazione dell’uomo e del mondo». In tale prospettiva, come notò Benedetto XVI nel suo discorso del 2012 all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, la struttura sanitaria diventa «luogo in cui la relazione di cura non è mestiere ma missione».

L’auspicio finale del Papa ai medici è stato quello di ricordare «a tutti, con i fatti e con le parole», che la vita «è sempre, in tutte le sue fasi e ad ogni età, sacra ed è sempre di qualità». E non per un «discorso di fede, no, no! ma di ragione, per un discorso di scienza»:

«Non esiste una vita umana più sacra di un’altra, come non esiste una vita umana qualitativamente più significativa di un’altra. La credibilità di un sistema sanitario non si misura solo per l’efficienza, ma soprattutto per l’attenzione e l’amore verso le persone, la cui vita è sempre sacra e inviolabile».