«Qui è accaduto un miracolo»

«Mi ha detto di essere incinta , ma di quante settimane?»

«Dodici settimane e tre giorni, mi è stato comunicato in occasione dell’ecografia», mi risponde Elisa confusa. «E, come mai siamo arrivati così all’ultimo?», chiedo.

Da alcuni minuti sto ascoltando Elisa e la sua storia; è una delle rare volte che la segreteria per l’attuazione della legge 194 dà l’indicazione di venire al Centro di Aiuto alla Vita.

Elisa, piuttosto imbarazzata, mi racconta di essere già in possesso del certificato per poter abortire:

«Sa, dovevo fare l’interruzione ancora in dicembre, prima di Natale, ma, all’ultimo minuto, non me la sono sentita e sono andata via. Ho riflettuto molto in questo periodo, ma i problemi sono tali e tanti che, dopo questi giorni in cui hò cercato la soluzione senza trovarla, ho un’altra volta deciso di interrompere la gravidanza e sono tornata sui miei passi. Non c’è via d’uscita!».

La solita morsa allo stomaco, attimi di silenzio denso. Non riuscirò mai ad abituarmi che si possa impedire a un bambino di nascere.

«Elisa, vuole raccontarsi?»

Titubante inizia la sua narrazione: «Ho ventitre anni, sono iscritta al quarto anno di università a cui tengo molto, sono rimasta incinta e tutti vogliono che io abortisca, tanto che la mia mamma mi ha mandato fuori di casa».

«E il padre del bambino?»

«Oh, lui! Ha una specie di piccolo maneggio in cui lavora, ma con i tempi che corrono …. Viviamo in una casa, due locali  fuori Milano, che costa seicento euro al mese, da cui posso comunque raggiungere abbastanza facilmente la mia facoltà. Poi, dobbiamo anche vivere. Temo molto che la mia famiglia non voglia nemmeno più pagare la retta dell’università e, per me, sarebbe davvero una grande delusione».

Poi, ancora:

«Alla mia famiglia lui non va bene; forse sognavano per me il principe azzurro ma Marco è un qualunque fantino che ha voluto provare a emanciparsi mettendosi in proprio e ha dieci anni più di me. Sicuramente lo considerano un fallito!».

Di nuovo silenzio; tra me penso che una mamma dovrebbe essere la persona più aperta all’accoglienza e, all’accoglienza soprattutto di una figlia in difficoltà! Evidentemente non è così scontato e io sono certamente un’ingenua.

La guardo come se volessi accarezzarla e le dico:

«Forse ciò che serve è un aiuto economico!» E, facendo i conti,c on un certo senso di frustrazione, le propongo l’aiuto regionale del Fondo Nasko  spiegandole che, nella sua situazione, possiamo presentare alla Regione Lombardia, un progetto di aiuto che erogherà duecentocinquantaeuro mensili per diciotto mesi. Ciò dovrà poter contare su una relazione di aiuto di tipo psicopedagogico da costruire insieme mese dopo mese.

La guardo con una certa apprensione.

«Come le sembra?»

Rivolgendole questa domanda provavo un certo imbarazzo; come potevo ipotizzare che così sarebbe stata in grado di affrontare quella grave situazione che la spingeva ad abortire!

Con poca voce e molta vergogna, Elisa rispose: «La ringrazio, è meglio che niente. A Marco hanno proposto un posto di lavoro sempre con i cavalli in un’altra città; gli metterebbero a disposizione anche una stanza; il mio pensiero è, però, sempre l’opportunità di raggiungere l’università a cui tengo davvero molto e che è è piuttosto impegnativa».

Nonostante tutto, gli occhi le si erano inumiditi:

«È la prima volta che qualcuno non mi dice di smetterla di rompermi la testa e di andare ad abortire che così non ci sarebbero problemi di sorta perché potrei tornare a casa con i miei genitori e continuare la mia vita di studentessa. La mamma di Marco mi ha consigliato di assumere la RU 486 e di farla finita».

Così adulta e emancipata, mentre mi confidava queste cose, mi sembrava una bimba sperduta in cerca di un senso per poter continuare a vivere la sua vita. Due telefonate, una in amministrazione e una al nostro presidente, per conoscere l’attuale  situazione economica del CAV, e venire a sapere che, naturalmente, eravamo messi male come al solito. Ma, con il cuore grande del Centro di Aiuto alla Vita, mi lasciavano libera di fare gli abituali salti nel buio.

«Elisa mi guardi, vogliamo cercare un’altra strada?»

Il suo atteggiamento fiducioso e pieno di aspettative, mi portano a dire:

«Proviamo così: duecentocinquanta euro li avrà sicuramente dalla regione e, altrettanti, ne avrà dal nostro Centro di Aiuto alla Vita; secondo me, lei potrà restare nella casa dove abitate ora, e così riuscirà a continuare a frequentare le sue lezioni. Marco, accettando il lavoro nuovo, facendo un po’ di avanti e indietro, si organizzerà per permettervi di vivere dignitosamente. Che ne dice?».

«Posso prendere un fazzoletto?» risponde con la voce rotta, «mi sento come se mi avessero tolto un grande peso dalle spalle! Mi appare così strano che a qualcuno stiano a cuore i miei problemi, le mie difficoltà, i miei pensieri e i miei desideri. Qui, però, è accaduto e vivo tutto ciò come un miracolo».

«E, allora, facciamolo del tutto questo miracolo!», soggiungo raccogliendo la sfida di questa situazione difficile che la vita, ancora una volta, mi sbatteva addosso: «le prometto che se la sua famiglia non pagherà le tasse universitarie, ce ne faremo carico noi. Questo bambino che aspetta di poter nascere, non le deve essere d’inciampo, lui vuole la sua mamma contenta. Quindi, Elisa, lei deve impegnarsi per diventare la migliore veterinaria sul mercato!»

Le emozioni di quel momento non sono adeguatamente riferibili: alzandosi dal divano dove era stata seduta come sugli spilli fino a quel momento, “Mi permette di abbracciarla” chiede, e, questa volta le lacrime liberatorie, bagnando anche il mio viso, dicevano che la Vita aveva vinto ancora, e un altro bambino sarebbe nato grazie alla solidarietà. Un passo alla volta, un bambino alla volta.

 di Paola Bonzi tratto da La Bussola Quotidiana 21-01-2012