José Sanchez del Rio

Nel 1926 il presidente del Messico chiude ai cristiani e ai religiosi ogno possibilità di esercitare la fede, ma i cattolici messicani non stanno certo fermi. Per iniziativa di alcuni laici, sorge la Lega in Difesa della Libertà Religiosa, i cui membri, pur deplorando la guerra, decidono d’imbracciare le armi per scendere sullo stesso campo di chi vuole limitare la loro libertà. Al grido di «Viva Cristo Re», per cui vengono dispregiativamente chiamati “cristorreyeros” e più tardi “cristeros”.

L’anno seguente José tredicenne entra nelle fila dei cristeros, il suo compito è quello di attendente alle truppe, ma in seguito, grazie alla sua disciplina, alla sua religiosità e alla sua dedizione alla causa, diventa trombettista e portabandiera.

Nella battaglia di Cotija, il 6 febbraio 1928, il cavallo del generale Guízar Morfín viene ferito a morte. José, che lo affianca, smonta dalla propria cavalcatura e gliela offre, dicendo: «La vostra vita è più utile della mia». L’uomo, seppur titubante, accetta.

Il ragazzo, quindi, spara per coprirgli le spalle, finché resta senza nemmeno un colpo in canna e viene catturato.

Nella prigione di Cotija, buia e fetida, al ragazzo torna in mente sua madre e chiede carta e inchiostro per scriverle. «Mia cara mamma», annota, «sono stato fatto prigioniero in combattimento oggi. Credo di stare per morire, ma non importa, mamma. Rassegnati alla volontà di Dio. Io muoio molto contento, perché muoio in prima linea, a fianco di Nostro Signore. Non affliggerti per la mia morte, questo mi dispiace: piuttosto, di’ agli altri miei fratelli che seguano l’esempio del più piccolo e tu fa’ la volontà di Dio. Abbi coraggio e mandami la tua benedizione insieme a quella di mio padre. Salutami tutti per l’ultima volta e tu ricevi per ultimo il cuore di tuo figlio che ti vuole tanto bene e che desiderava vederti prima di morire. José Sánchez del Río».

Il 7 febbraio José viene rinchiuso nella chiesa di San Giacomo apostolo, dove razzolano liberamente alcuni galli da combattimento, fatti arrivare apposta dal Canada, mentre il cavallo del deputato Picazo vi è custodito neanche fosse in una stalla. Irritato da quell’ennesimo spregio, José riesce ad allentare le corde che lo tengono legato: uccide tutti gli animali, cavallo incluso.

L’indomani risponde a chi gli chiede il motivo: «La casa di Dio è per venire a pregare, non è un rifugio per animali».

José viene quindi rinchiuso nel battistero, quello stesso dove, il 3 aprile 1913, aveva ricevuto il Battesimo. Tramite una finestrella riesce a comunicare con l’esterno e trascorre il suo tempo pregando il Rosario e cantando. Riesce anche a ricevere le sue ultime Comunioni, con le ostie nascoste nel cibo che gli viene portato.

Il 10 febbraio gli viene annunciata la sua sentenza di morte. Scrive quindi la sua ultima lettera alla zia María, perché non se la sente di scrivere alla madre, ma ha comunque la forza di pensare che si sta avvicinando il momento che ha tanto atteso.

A notte inoltrata, i soldati gli spellano le piante dei piedi con chiodi acuminati, fino a farli sanguinare, poi lo spingono, scalzo, per le strade della città. Il ragazzo piange, prega, ma continua a inneggiare a Cristo Re e alla Madonna di Guadalupe.

Giunto al cimitero, gli viene indicata una fossa, la sua futura tomba. Per evitare di far sentire rumori di spari, il capo dei soldati ordina di pugnalarlo, ma a ogni colpo corrisponde un «Viva Cristo Re!». Esasperato, gli chiede se ha un’ultima parola per suo padre.

Ormai sul punto di morire, il ragazzo replica: «Che ci rivedremo in cielo! Viva Cristo Re! Viva Santa Maria di Guadalupe!». Solo uno sparo riesce a interrompere le sue grida. Cade così, nella sua fossa, e viene direttamente sepolto, senza bara né funerale.

I suoi resti mortali sono stati in seguito riesumati e posti nella cripta dei martiri, nel Tempio del Sacro Cuore. Dal 1996 sono venerati nella parrocchia di San Giacomo apostolo, in un altare laterale, vicino al battistero. Da sempre, nella mentalità dei fedeli, è stato considerato un martire, anche per la sua vita precedente l’ingresso nell’esercito cristero.

Il 20 novembre 2005, nel novantacinquesimo anniversario della rivoluzione messicana, José Sánchez del Río è stato beatificato a Guadalajara, insieme ad altri tredici martiri messicani. La sua fama di santità è perdurata e si è diffusa ben oltre il Messico, anche grazie al ritratto, seppur a tratti libero, che di lui viene presentato nel film «Cristiada».

Essendo stato riconosciuto il suo martirio, non è stato necessario comprovare un miracolo per beatificarlo. Per la canonizzazione, invece, è valsa la guarigione inspiegabile, completa e duratura di Ximena Guadalupe Magallón Gálvez, nata nel 2008 e colpita, a pochi mesi dalla nascita da un ictus cerebrale.

Quando ai genitori venne fatto presente che la bambina avrebbe avuto appena tre giorni di vita, l’affidarono all’intercessione del Beato José. Giunto il momento di staccarla dai macchinari, la madre l’ha abbracciata per l’ultima volta, ma proprio in quell’istante Ximena aprì gli occhi e sorrise. Nel giro di pochissimo tempo, con stupore dei medici, ha ripreso le sue normali funzioni vitali e ora gode di ottima salute.

José Sánchez del Río è stato quindi canonizzato domenica 16 ottobre 2016 in piazza San Pietro da papa Francesco, insieme ad altri sei Beati.