Poi inquadra il pancino forato da tubi e sondini, «io sono così, mi vedete?». Infine il vero obiettivo del messaggio: «Alle persone che sono come me, o che hanno altri problemi, dico: non smettete di combattere, resistete. Il mio nome è Leonardo Morghen, e spero che tutti voi ce la farete a resistere. Un bacio».
«Leo era sempre felice, nonostante la morfina non bastasse più a calmare il male viveva così, pensando a come poter fare del bene agli altri», racconta la mamma Susanna Berlendis, 48 anni, che ci ha dato appuntamento a Treviolo (Bergamo) sotto un alberello di lagestroemia.
Solo tre mesi fa spuntava isolato in un terreno spoglio e deserto, oggi alle sue spalle sorge un grande edificio in legno ecologico, superaccessoriato e autosostenibile, dotato delle tecnologie più moderne:
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La Casa di Leo è cresciuta a tempi record grazie a un mare di offerte |
Il sogno di Leo comincia il 3 febbraio del 2005, quando viene al mondo a sette mesi e già conosce il suo primo ospedale, intubato in terapia intensiva. È subito chiaro che qualcosa non va: «Aveva un pancione come i bimbi in Africa, scoprimmo che non assimilava il cibo, non digeriva assolutamente nulla», spiega la madre. Da lì la sua odissea, lunga dieci anni ma senza un ritorno, attraverso gli ospedali di tutta Italia e d'Europa alla ricerca di uno specialista che capisse o di un precedente che desse speranza, ma niente, Leo restava unico al mondo.
"Guerriero e rompiscatole"
Eppure cresceva bello come il sole e sano come un torello, apparentemente, nutrito prima col sondino naso-gastrico, poi con la Peg (una sonda che entra direttamente nell’apparato digerente), infine con la
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Leo e la scherma, una delle sue tante passioni, come il violino |
«Un vero rompiscatole», corregge don Andrea Pedretti, 39 anni, oggi parroco di Roncola e Costa Imagna (Bergamo), allora vicario in oratorio a Mozzo, il paese dove Leo frequentava la materna. Anche lui travolto da quel bambino felice: «Nel 2010, quando è andato negli Stati Uniti con la mamma, l’oratorio si è stretto attorno al padre rimasto qui con l’altro fratellino. Siamo andati anche negli Usa a trovarli e dal "raccogliamo quattro soldi per aiutarli", dato che lì è tutto a pagamento, siamo arrivati a 70mila euro».
Un vortice di bene
Nasceva quindi la onlus "Eos la stella del mattino", che iniziò a sostenere le famiglie dei bambini ricoverati a Bergamo da tutta Italia, mentre Leo negli Stati Uniti riceveva la solidarietà delle famiglie americane. Era un fermento di reciprocità, un contagio di bene inarrestabile che nel 2015, alla morte di Leo, anziché spegnersi diventò il progetto della Casa: «Quando un bambino ha una malattia grave, i genitori mancano per mesi dal lavoro – spiega Susanna –, a Roma come a Milano li abbiamo visti con i nostri occhi dormire anche in macchina pur di stargli vicino, perché dallo Stato non arrivano aiuti. In America invece vicino a ogni ospedale pubblico sorgono le house, case di accoglienza geniali costruite solo grazie a donazioni, spesso offerte dalla Mc Donald’s. Leo è stato ricoverato 4 anni al National Wide Children’s Hospital di Columbus, nell’Ohio, e mai un giorno ci siamo sentiti soli, sempre ospitati nella stessa confortevole suite: ti cambia la vita».
Il miracolo di Leonardo
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La panchina di Leo che la scuola dell'Ohio gli ha dedicato |
I medici americani: "Ci ha insegnato la bontà"
Anche dall’America sono arrivati 18mila euro, per una Casa di cui i loro figli non usufruiranno mai, racconta stupita Susanna. D’altra parte «è più quello che Leo ha insegnato a noi come bontà, che quanto abbiamo potuto fare per lui», le ha spiegato un medico dall’Ohio. Al di là dell’oceano nessuno ha dimenticato quel bambino, unico al mondo e non solo per la malattia, e la scuola che frequentava ha eretto in sua memoria una panchina speciale con il suo nome scritto in grande, che realizza il motto di Leo «non si lascia indietro nessuno»: chi ha un dispiacere si siede lì e i compagni devono andare a recuperarlo.
"Mamma, fammi sentire il profumo delle fragole"
Primo bambino in America ad avere un pacemaker allo stomaco per concedersi il lusso di ingerire almeno i liquidi, in tutta la vita Leo non ha mai assaporato un boccone, «fammi sentire il profumo delle fragole e del grana», chiedeva alla mamma, concludendo ogni volta «che fortunati siete...». Ma mai un lamento, semmai i suoi supereroi li disegnava con la pompa nello zaino e il sondino in pancia. Credente di una fede tanto adulta da essere un mistero («lasciava senza parole anche noi», dice don Andrea), aiutava volentieri medici e psicologi con i bambini problematici. «Gli avevano tolto il colon e lui si gestiva il sacchettino con maturità disarmante», ricorda la mamma, «così il dottore gli chiese di parlare a Mary, che non voleva farsi operare. Ne era felicissimo, le parlò per due ore e alla fine la persuase». Non si reggeva già più in piedi quando invece lo chiamarono per convincere Alexia ad abbandonare la carrozzina, ma per darle il buon esempio lasciò fuori dalla stanza anche la sua e poco dopo camminavano insieme, «i medici avevano le lacrime».
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Il grande soggiorno della Casa di Leo, spazio comune per le famiglie dei piccoli pazienti |
"Non si lascia indietro nessuno"
Lucido e consapevole della sua situazione, chiedeva ai genitori «cosa c’è dopo la morte? che cosa troverò?», e quando il dolore era acuto pregava Gesù, «dammi la forza o prendimi con te». «Scusatemi se vi ho fatto fare una vita che non era la vostra», diceva a mamma e papà, e Susanna sente ancora il tatto delle sue manine quando le prendeva il viso e in silenzio teneva appoggiate le due fronti. Prima di entrare nel coma farmacologico da cui non sarebbe più uscito, ha chiesto un solo regalo: «Non piangete mai!».
Ne aveva chiesto un altro a Make a wish, la onlus internazionale che esaudisce i sogni dei piccoli malati, voleva che lo portassero in un delfinario speciale in Florida per delfini mutilati, per nuotare insieme a loro. Le pratiche erano pronte, ma non ha fatto in tempo.
Per quel figlio che abbracciava gli alberi e stava alla finestra a parlare con il vento, Susanna e Michele hanno però avverato un sogno ancora più alto, e accanto all’albero dai fiori viola gli hanno costruito la Casa che «non lascia indietro nessuno».
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