Teresa tuo figlio vive e un giorno lo riabbraccerai

«Padre, per favore non mi lasci sola questa notte… Padre, mi aiuti, perché non so come fare per chiedere al Signore di fare la Sua volontà e non la mia». Queste parole sono state pronunciate tra singhiozzi pieni di dolore, ma non di disperazione, dalla mamma alcune ore prima della morte del piccolo Nicola.

Erano le 3 di mattina quando Nicola è tornato in cielo. Sono state ore terribili per la mamma, che già da due anni lottava e accompagnava giorno e notte suo figlio nel tentativo di salvarlo dalla morte.

«Soffro, soffro molto, padre, ma non sono disperata. L’altro giorno, quando è morta madre Cristina, le ho chiesto che intercedesse presso il Signore perché mi mostrasse presto la Sua volontà, e ora sento che sta per compiersi».

Sono state ore terribili anche per me, perché vivevo nel mio cuore il dramma di questa madre, che afferrandomi le mani mi supplicava di non lasciarla sola. Nicola è morto dopo sofferenze indicibili, causate da una malattia rarissima e congenita. Quanta tenerezza suscitava vederlo lì nella sua stanza avvolto in lenzuola bianche, circondato da orsetti e altri regali, con i pugni chiusi, quasi in segno di supplica, il corpo e il volto contratti dalla malattia che gli aveva indurito tutti i muscoli.

È rimasto con noi più di otto mesi e sono stati per tutti mesi di commozione e di tenerezza, ma soprattutto di domande: perché il dolore innocente? Perché a Nicola e non a un altro? Perché questo tipo di malattia rara? A che cosa servono tutto questo dolore e questa sofferenza? Perché lasciarlo continuare a vivere, quando il dolore lacerante tritura perfino le viscere di chi condivide con lui la vita? Per arrivare alla stanza di Nicola, volenti o meno, si doveva passare davanti al tabernacolo con l’Eucarestia. Tutte le volte che mi inginocchio contemplo il Santissimo Sacramento, guardo il quadro della Divina Provvidenza e una luce illumina tutte queste domande.

Che cosa significa che “illumina le domande” che il dolore suscita all’intelligenza? Significa una sola cosa: Dio, al dolore dell’innocente, risponde con il dolore e la morte di Suo Figlio. Il dolore di Nicola, la sua utilità, è esclusivamente nella partecipazione al dolore e alla morte di Cristo. Guardare all’Eucarestia e guardare a Nicola erano diventati per me la stessa cosa. Il Cristo Eucarestia vive nel Cristo che soffre; il Cristo che si dona come cibo per la pienezza è lo stesso Cristo che vive nel dolore e nella sofferenza di Nicola. La dignità della vita di Nicola dipendeva da questo fatto, da questa certezza: Nicola era il volto vivo, visibile, palpabile della Gloria di Cristo.

Tutta l’attenzione, l’affetto che gratuitamente gli offrivano, nasceva e nasce da questa certezza: qualunque vita umana è il volto di Cristo.

Per i suoi genitori, che ci hanno dato una grande testimonianza, questa certezza era più chiara ed evidente della loro stessa esistenza. Da questa certezza, e solo da questa posizione, nasce, sorge come da una fonte cristallina l’amore, quell’amore che ha permesso a Nicola di vivere la sua vita con tanta serenità.

Quando era ancora cosciente diceva a sua madre, che adorava: «Mammina, quando sarò grande io andrò a lavorare e tu rimarrai a casa a riposare». Tenerezza di un bambino, tenerezza che esce direttamente dal cuore di Dio, dal quale Nicola è venuto e al quale è tornato. Tutti, con la morte di Nicola, abbiamo perso una consolazione in terra e guadagnato un angelo in cielo.

Prima di congedarmi da lui, ho celebrato la Messa: il suo corpo freddo nella bara era di una bellezza angelica, una bellezza che è stata l’ultima consolazione per la mamma, che con discrezione gridava: «Nicola, perché non posso stringerti al mio petto, tenerti tra le mie braccia calde, invece che vederti in quella fredda bara, che chiudendoti alla mia vista ti porterà sotto terra, lontano da me?».

Teresa, tuo figlio vive, e un giorno lo riabbraccerai. Grazie per la tua testimonianza, e che il tuo Nicola sia nostro custode, rifugio e guida.

paldo.trento@gmail.com

tratto da Tempi.it