San Giovanni Bosco – Sette considerazioni per i giorni della settimana.

1. Domenica: Fine dell’uomo.

2. Lunedì: Il peccato mortale.

3. Martedì: La Morte.

4. Mercoledì: Il Giudizio.

5. Giovedì: L’Inferno.

6. Venerdì: L’eternità delle pene.

7. Sabato: Il Paradiso.

Siccome desidero grandemente che ogni giorno facciate qualche poco di lettura spirituale, e penso che non tutti potete avere i libri a ciò convenienti, così vi presento qui sette brevi considerazioni, distribuite per ciascun giorno della settimana, perché servano a quelli di voi che non possono leggere altri libri di tal genere. Prima di cominciar la lettura, fate in ginocchio questa preghiera:

Mio Dio, mi pento con tutto il cuore d’avervi offeso; fatemi la grazia ch’io ben conosca le verità che sono per meditare, e mi accenda d’amore per voi. Vergine Maria, Madre di Gesù, Angelo mio Custode, Santi e Sante del Paradiso, pregate per me.

DOMENICA

Fine dell’uomo.

1. Considera, o figliuolo, che questo tuo corpo, quest’anima tua ti furono dati da Dio senza alcun tuo merito, col crearti Egli a sua immagine. Egli poi ti fece suo figlio col Santo Battesimo; ti amò e ti ama con tenerezza di padre, e t’ ha creato per l’unico fine che tu lo ami e lo serva in questa vita, e possa così essere un giorno eternamente felice con Lui in Paradiso. Sicché non sei al mondo solamente per godere, né per farti ricco, né per mangiare, bere e dormire come le bestie; il tuo fine è di gran lunga più nobile e più sublime; il tuo fine è amare e servire il tuo Dio, e salvarti l’anima. Se farai questo, quante consolazioni proverai in punto di morte! Ma se non attendi a servire Iddio, quanti rimorsi proverai in fin di vita! Le ricchezze, i piaceri tanto da te ricercati, non serviranno più che ad amareggiarti il cuore, venendo tu allora a conoscere il danno che queste cose han cagionato all’anima tua.

Figliuol mio, guàrdati bene dall’essere di quei tali, che pensano solo a soddisfare il corpo con opere, discorsi e divertimenti cattivi: in quella ultim’ora costoro si troveranno in gran pericolo di andare eternamente perduti. Un segretario del Re d’Inghilterra moriva dicendo: «Povero me! ho consumato tanta carta a scriver lettere per il mio principe, e non ne ho mai usato un foglio per notare i miei peccati e fare una buona confessione!».

2. Cresce poi ai tuoi occhi l’importanza di questo fine, se consideri che da esso dipende la tua salvezza o la tua perdizione. Se salvi l’anima, tutto va bene, e godrai per sempre; ma se la sbagli, perderai anima e corpo, Dio e Paradiso, e sarai per sempre dannato. Non imitare quei disgraziati che vanno illudendosi col dire: «Fo questo peccato, ma dopo me ne confesserò». Non ingannare in tal modo te stesso: Dio maledice colui che pecca colla speranza del perdono: Maledictus homo qui peccat in spe. Ricòrdati che tutti quelli che sono all’inferno, avevano speranza di emendarsi poi, e intanto si sono eternamente perduti. Chi sa se poi avrai il tempo di confessarti? Chi ti assicura che tu non muoia subito dopo il peccato, e l’anima tua non precipiti giù nell’inferno? Oltre a ciò che pazzia è mai questa, di farti una piaga colla speranza di avere poi un medico che te la guarisca? Metti dunque in disparte la fallace lusinga di poterti dare a Dio più tardi; in questo stesso momento detesta ed abbandona il peccato, che è il sommo di tutti i mali, e che, allontanandoti dal tuo fine, ti priva di tutti i beni.

3. Qui per altro voglio farti osservare un laccio terribile, con cui il demonio coglie e conduce alla perdizione tanti cristiani, ed è di permettere che imparino le cose di Religione, ma non che le mettano in pratica. Sanno costoro di essere creati da Dio per amarlo e servirlo, e intanto colle loro opere sembra non cerchino nient’ altro che la propria rovina. Quante persone infatti non si vedon nel mondo, le quali pensano a tutto fuorché a salvarsi! Se io dico ad un giovane che frequenti i Sacramenti, che faccia un po’ di orazione, risponde: «Ho altro da fare, ho da lavorare, ho da divertirmi». Oh infelice! e non hai un’anima da salvare?

Perciò tu, o giovane cristiano che leggi questa considerazione, procura di non lasciarti in questo modo ingannare dal demonio; prometti al Signore che quanto farai, dirai e penserai in avvenire, sarà tutto per l’anima tua; perché sarebbe la più grande fama occuparti tanto seriamente di quello che finisce così presto, e pensar sì poco all’eternità che non avrà più fine. S. Luigi poteva godere piaceri, ricchezze ed onori, ma a tutto rinunziò dicendo: «Che mi giova questo per la mia eternità? Quid haec ad aeter nitatem»?

Conchiudi anche tu così: «Ho un’anima; se la perdo ho perduto ogni cosa. ! Se guadagno anche tutto il mondo, ma con danno dell’ anima mia, a che mi giova? Quidenim prodest homini, si mundum univérsum lucrétur, animae vero suae detriméntum patiatur? Se divento un grand’uomo, un riccone; se mi acquisto la fama di sapiente col farmi padrone di tutte le arti e le scienze di questo mondo, ma poi perdo l’anima mia, a che mi giova»? A nulla ti giova tutta la sapienza di Salomone, se te ne vai perduto. Di’ dunque così: «Sono stato creato da Dio per salvarmi l’anima, e la voglio salvare a qualunque costo, e voglio che per l’avvenire l’amare Iddio e il salvar l’anima mia sia l’unico scopo, delle mie azioni. Si tratta di essere o sempre beato o sempre infelice: vada dunque ogni cosa, purch’io mi salvi! Mio Dio, perdonatemi i miei peccati e fate che non mi accada mai più la disgrazia di offendervi: anzi aiutatemi colla vostra santa grazia, affinché io possa fedelmente amarvi e servirvi per l’avvenire. Maria, mia speranza, intercedete per me».

LUNEDÌ



Il peccato mortale.

1. Oh se tu sapessi, figliuolo, mio, che cosa fai quando commetti un peccato mortale! Tu volti le spalle a quel Dio che ti creò e ti fece tanti benefizi; disprezzi la sua grazia e la sua amicizia. Chi pecca, dice col fatto al Signore: «Va’ lontano da me, io non ti voglio più obbedire, non ti voglio più servire, non ti voglio più riconoscere per mio Signore: Non sérviam. Il mio Dio è quel piacere, quella vendetta, quella collera; quel discorso cattivo, quella bestemmia». Si può immaginare un’ingratitudine più mostruosa di questa? Pure, o il figliuol mio, questo tu hai fatto ogni volta che hai offeso il tuo Signore.

2. Più grande ancora poi ti apparirà questa ingratitudine, se rifletti che per peccare tu ti servi di quelle medesime cose che ti diede Iddio. Orecchie, occhi, bocca, lingua, mani, piedi, san tutti doni di Dio, e tu te ne sei servito per offenderlo! Oh! ascolta dunque ciò che ti dice il Signore: «Figlio, io ti creai dal niente; ti diedi quanto hai presentemente, ti feci nascere nella vera Religione, ti feci dare il santo Battesimo. Potevo lasciarti morire quando eri in peccato: ti conservai in vita per non mandarti all’inferno: e tu, dimenticando tanti benefizi, vuol servirti di questi stessi miei doni per offendermi»? Chi non si sente compreso da rincrescimento per aver fatto un’ingiuria così enorme a un Dio sì buono, sì benefico verso di noi, miserabili sue creature?

3. Tu devi pur considerare che questo Dio, quantunque buono ed infinitamente misericordioso, tuttavia resta grandemente sdegnato quando l’offendi. Perciò, quanto più a lungo tu vivi nel peccato, tanto più vai provocando e accrescendo l’ira di Dio contro di te. Quindi hai molto da temere che i tuoi peccati diventino così numerosi, ch’Egli alla fine ti abbandoni. In plenitùdine peccatorum puniet. Non già che sia per mancarti la misericordia divina, ma ti mancherà il tempo per chieder perdono, perché non merita la misericordia del Signore chi ne abusa per offenderlo. Infatti, quanti già vissero nel peccato colla speranza di convertirsi, e intanto giunse la morte, mancò loro il tempo di aggiustare le cose di coscienza, ed ora sono eternamente perduti! Trema che lo stesso non sia per avvenire a te. Dopo tanti peccati che il Signore t’ ha perdonato, devi giustamente temere che ad un nuovo peccato mortale l’ira divina ti colpisca: e ti mandi all’inferno.

Ringrazialo di averti aspettato sinora, e fa’ in questo punto una ferma risoluzione dicendo: «Basta, Signore: quel po’ di vita che mi resta non lo voglio più spendere ad offendervi: lo spenderò invece ad amarvi e a piangere i miei peccati. Me ne pento con tutto il cuore.

Gesù mio, vi voglio amare, datemi forza. Vergine Santissima, Madre del mio Gesù, aiutatemi. Così sia».

MARTEDÌ



La morte.

1. La morte è una separazione dell’anima dal corpo, con un totale abbandono delle cose di questo mondo. Considera pertanto, figliuolo, che l’anima tua avrà da separarsi dal corpo: ma non sai dove avverrà questa separazione. Non sai se la morte ti coglierà nel tuo letto, o sul lavoro, o per istrada, o altrove. La rottura di una vena, un catarro, un impeto di sangue, una febbre, una piaga, una caduta, un terremoto, un fulmine, basta a privarti della vita. Ciò può essere di qui a un anno, a un mese, a una settimana, a un’ora, e forse appena finita la lettura di questa considerazione. Quanti la sera si posero a dormire stando bene, e la mattina furon trovati morti! Quanti, colpiti da qualche accidente, morirono all’istante! e poi dove andarono? Se erano in grazia di Dio, beati loro! sono per sempre felici; se invece erano in peccato mortale, sono eternamente perduti. Dimmi, figliuolo mio, se tu dovessi morire in questo momento, che ne sarebbe dell’anima tua? Guai a te se non ti tieni apparecchiato! Chi non è preparato oggi a morir bene, corre grave pericolo di morir male.

2. Quantunque sia incerto il luogo e incerta l’ora di tua morte, ne è però certa la venuta. Speriamo pure che l’ora estrema di tua vita non venga in maniera repentina o violenta, ma lentamente e con ordinaria malattia. Verrà ad ogni modo un giorno in cui, steso in un letto, sarai vicino a passare alla eternità, assistito da un sacerdote che ti raccomanderà l’anima, col crocifisso da un canto, una candela accesa dall’altro, e attorno i parenti che piangono. Avrai la testa addolorata, gli occhi oscurati, la lingua arsa, le fauci chiuse, oppresso il petto, il sangue gelato, la carne consunta, il cuore trafitto. Spirata che avrai l’anima, il tuo corpo vestito di pochi cenci verrà gettato a marcire in una fossa… Quivi i sorci ed i vermi ti roderanno tutte le carni, e di te non rimarrà niente altro che quattr’ossa spolpate ed un po’ di polvere fetente. Apri un sepolcro e vedi a che è ridotto quel giovane ricco, quell’ambizioso, quel superbo. Leggi attentamente queste righe, figliuolo mio, e ricòrdati che si applicano anche a te come a tutti gli altri uomini. Adesso il demonio per indurti a peccare vorrebbe distoglierti da questo pensiero, e scusare la colpa, dicendoti che non c’è gran male in quel piacere, in quella disobbedienza, nel tralasciare la Messa nei giorni festivi; ma in morte ti scoprirà la gravezza di questi e di altri tuoi peccati, e te li metterà innanzi. E che farai tu allora, sul punto d’incamminarti per la tua eternità? Guai a chi si trova in disgrazia di Dio in quel momento!

3. Considera che da quel momento dipende la tua eterna salute, o la tua eterna dannazione. Vicini a morire, vicini a quell’ultimo chiuder di bocca, al lume di quella candela, quante cose si vedranno! Due volte ci si tiene accesa dinanzi una candela: quando siamo battezzati e al punto di morte; la prima volta per farci conoscere i precetti della divina legge che dobbiamo osservare; la seconda per farci vedere se li abbiamo osservati. Perciò, o figlio mio, alla luce di questa vedrai se avrai amato il tuo Dio, oppure se l’avrai disprezzato; se avrai onorato il suo santo nome, o se l’avrai bestemmiato; vedrai le feste profanate, le Messe tralasciate, le disobbedienze fatte a’ superiori, gli scandali dati ai compagni; vedrai quella superbia, quell’orgoglio, che ti lusingarono; vedrai… oh Dio! tutto vedrai in quel momento, nel quale ti s’aprirà dinanzi la via dell’eternità: Moméntum a quo pendet aetérnitas. Oh grande, terribile momento, da cui dipende un’eternità di gloria o di pena! Capisci quel che ti dico? Voglio dire che da quel momento dipende l’andare in Paradiso o all’inferno; l’essere per sempre contento, o per sempre afflitto; per sempre figlio di Dio, o per sempre schiavo del demonio; per sempre godere cogli Angioli e coi Santi in Cielo, o gemere ed ardere per sempre coi dannati nell’inferno!

Temi grandemente per l’anima tua, e pensa che dal viver bene dipende una buona morte ed un’eternità di gloria. Perciò non tardar più, e preparati fin d’ora a fare una buona confessione e ad aggiustar bene le partite della tua coscienza, promettendo al Signore di perdonare a’ tuoi nemici, di riparare gli scandali dati, di essere più obbediente, di astenerti dalle carni nei giorni proibiti, di non più perder tempo, di santificare la feste, di adempiere i doveri del tuo stato.

Intanto mettiti dinanzi al tuo Signore, e digli di cuore così: «Mio Signore, sin da questo momento io mi converto a Voi; vi amo, voglio amarvi e servirvi sino alla morte. Vergine Santissima, Madre mia, aiutatemi in quel punto terribile. Gesù, Giuseppe e Maria, spiri in pace con voi l’anima mia».

MERCOLEDÌ



Il Giudizio.

1. È la sentenza che il Salvatore pronuncerà in fine della nostra vita, sentenza con cui sarà fissata la sorte di ciascuno per tutta l’eternità. Appena uscita l’anima dal corpo, subito comparirà davanti al Divin Giudice. La prima cosa che rende questa comparsa terribile all’anima del peccatore, si è il trovarsi sola al cospetto di un Dio disprezzato, di un Dio che conosce ogni segreto del nostro cuore, ogni nostro pensiero. E quali cose porteremo con noi? Porteremo quel tanto di bene e di male che avremo fatto in vita: Ut réferat unusquisque propria corporis, prout gessit, sive bonum, sive malum. Non si può trovare né scusa, né pretesto. S. Agostino parlando di questa tremenda comparsa dice: «Quando, o uomo, comparirai davanti al Creatore per essere giudicato avrai sopra di te un Giudice sdegnato; da un canto i peccati che ti accusano; dall’altro i demoni pronti ad eseguire la condanna; dentro una coscienza che ti agita e ti tormenta; al di sotto un inferno spalancato che sta per ingoiarti. In tali strette dove andrai, dove fuggirai?». Beato te, o figliuolo, se avrai operato bene in vita tua. Intanto il Giudice divino aprirà i libri della coscienza, e comincerà l’esame: Judicium sedit, et libri apérti sunt.

2. Dirà allora questo Giudice inappellabile: – Chi sei tu? – Sono un cristiano, – risponderai. – Bene, – egli ripiglierà, – se sei cristiano, vedrò se hai operato da cristiano. – Indi comincerà a rammentarti le promesse fatte nel S. Battesimo, colle quali rinunziasti al demonio, al mondo, alla carne; ti rammenterà le grazie che t’avrà concesse, i Sacramenti frequentati, le prediche, le istruzioni, gli avvisi dei confessori, le correzioni de’ parenti: ogni cosa ti verrà schierata dinanzi. – Ma tu, dirà il divin Giudice, a dispetto di tanti doni, di tante grazie, oh quanto male hai corrisposto alla tua professione di cristiano! Già nell’età in cui appena cominciavi a conoscermi, cominciasti a offendermi con bugie, con mancanze di rispetto in chiesa, con disobbedienze a’ tuoi genitori, e con molte altre trasgressioni de’ tuoi doveri. Almeno col crescere negli anni tu avessi meglio regolate le tue azioni; ma no, coll’età purtroppo crebbe in te anche il disprezzo alla mia legge. Messe perdute, profanazioni de’ giorni festivi, bestemmie, vigilie non osservate, Confessioni mal fatte, Comunioni talvolta sacrileghe, scandali dati a’ tuoi compagni: ecco quel che hai fatto invece di servirmi.

Verso lo scandaloso poi si volgerà tutto pieno di sdegno, dicendo: – Vedi quell’anima che cammina per la strada del peccato? Sei tu, che co’ tuoi discorsi scandalosi le insinuasti la malizia. Tu come cristiano dovevi col buon esempio insegnare a’ tuoi compagni la via del Paradiso; invece, tradendo il mio Sangue, hai loro insegnato la strada della perdizione. Vedi quell’anima laggiù nell’inferno? Sei tu che co’ tuoi perfidi consigli la togliesti a me per consegnarla al demonio: tu fosti causa della sua eterna perdizione. Ora vada l’anima tua per l’anima che hai fatto perdere col tuo scandalo: Répetam animam tuam pro anima illius.

Che te ne pare, figliuolo, di questo esame? Che cosa ti dice la tua coscienza? Sei ancora a tempo, se vuoi: chiedi perdono a Dio de’ tuoi peccati, con una sincera promessa di non peccar più; e comincia fin d’oggi una vita da buon cristiano, per prepararti un corredo di opere buone pel giorno in cui dovrai comparire davanti al tribunale di Gesù Cristo.

3. Al conto rigoroso che il Giudice supremo esige dal peccatore, questi tenterà di opporre qualche scusa o pretesto, dicendo che non sapeva di dover venire a tanto stretto esame. Ma gli sarà risposto: – E non udisti quella predica e quel catechismo? non lo leggesti in quel libro, che io ti avrei domandato conto di ogni cosa? – Il disgraziato allora si raccomanderà alla misericordia divina, ma questa non sarà più per lui, perché non merita misericordia chi per tanto tempo ne ha abusato, e perché colla morte finisce il tempo della misericordia. Si raccomanderà agli Angeli, ai Santi, a Maria Santissima; e Maria risponderà a nome di tutti; – Adesso chiedi il mio aiuto? Non m’ hai voluta per madre in vita, ed ora io non ti voglio più per figlio, non ti conosco più. – Allora il peccatore, non trovando più alcuno scampo, griderà alle montagne, alle pietre, che lo coprano, e non si muoveranno. Invocherà l’inferno, e lo vedrà aperto: Inférius horréndum chaos; quello è l’istante in cui l’inesorabile Giudice proferirà la tremenda sentenza: – Figlio infedele, dirà, va’ lungi da me: il mio Padre celeste ti ha maledetto: io pure ti maledico; vattene al fuoco eterno a gemere e a penare coi demoni per tutta l’eternità: Discédite a me, maledicti, in ignem aetérnum. – Quell’anima infelice, prima di allontanarsi per sempre dal suo Dio, volgerà per l’ultima volta lo sguardo al Cielo, e nel colmo della desolazione dirà: – Addio, compagni, addio, amici, che abitate nel regno della gloria; addio, padre, madre, fratelli, sorelle; voi godrete per sempre, io sarò per sempre tormentato. Addio, Angelo custode, Angeli e Santi tutti del Paradiso; io non vi rivedrò mai più. Addio, o Salvatore; addio, o Croce santa; addio, o Sangue sparso invano per me, io non vi rivedrò mai più. Da questo momento io non son più figlia di Dio, e sarò per sempre schiava dei demoni nell’inferno. – E allora i demoni, resi padroni di lei, trascinandola ed urtandola la faranno piombare nei loro abissi di pene, di miserie, di tormenti eterni.

Figliuolo, non temi per te una simile sentenza? Ah! per amor di Gesù e di Maria! preparati con opere buone una sentenza favorevole, e ricòrdati che quanto è spaventosa la sentenza proferita contro del peccatore, altrettanto consolante sarà l’invito che Gesù farà a chi visse cristianamente. – Vieni, gli dirà, vieni al possesso della gloria che t’ ho preparata. Tu mi hai servito fedelmente nel breve tempo di tua vita, ora godrai in eterno: Intra in gaudium Dòmini tui. – Gesù mio, fatemi la grazia ch’io possa esser uno di questi benedetti. Vergine Santissima, aiutatemi Voi; proteggetemi in vita ed in morte, e specialmente quando mi presenterò al divin vostro Figlio per essere giudicato.

GIOVEDÌ



L’Inferno.

1. L’inferno è un luogo destinato dalla divina Giustizia a punire con supplizio eterno quelli che muoiono in peccato mortale. La prima pena che i dannati patiscono nell’inferno si è la pena dei sensi, i quali sono tormentati da un fuoco che brucia orribilmente senza mai diminuire. Fuoco negli occhi, fuoco nella bocca, fuoco in ogni parte. Ogni senso patisce la propria pena. Gli occhi sono accecati dal fumo e dalle tenebre, atterriti dalla vista dei demoni e degli altri dannati. Le orecchie giorno e notte non odono che continui urli, pianti e bestemmie. L’odorato soffre oltremodo pel fetore di quello zolfo e bitume ardente che soffoca. La bocca è crucciata da ardentissima sete e fame canina: Et famem patiéntur ut canes. Il ricco Epulone in mezzo a quei tormenti alzò lo sguardo al cielo e chiese per somma grazia una piccola goccia di acqua, per temperare l’arsura della sua lingua, e anche una goccia d’acqua gli fu negata. Onde quegli sventurati, arsi dalla sete, divorati dalla fame, tormentati dal fuoco, piangono, urlano e si disperano. Oh inferno, inferno, quanto sono infelici quelli che cadono ne’ tuoi abissi! Che ne dici, figliuolo mio? se tu avessi a morire in questo momento, dove andresti? Se ora non puoi tenere un dito sopra la fiammella di una candela, se non puoi soffrire nemmeno una scintilla di fuoco sulla mano senza gridare, come potrai reggere allora tra quelle fiamme per tutta l’eternità?

2. Considera inoltre, figliuolo mio, il rimorso che proverà la coscienza dei dannati. Essi soffriranno un inferno nella memoria, nell’intelletto; nella volontà. Si ricorderanno continuamente del motivo per cui si sono perduti, cioè per aver voluto dare sfogo a una qualche passione: questo ricordo è quel verme che non muore mai: Vermis eorum non moritur. Si ricorderanno del tempo che fu loro dato da Dio per salvarsi ancora dalla perdizione, dei buoni esempi dei compagni, dei propositi fatti e non eseguiti. Ripenseranno alle prediche udite, agli avvisi del confessore, alle buone ispirazioni avute di lasciare il peccato, e vedendo che non c’è più rimedio, manderanno urla disperate. La volontà poi non avrà mai più niente di quello che vuole, è al contrario patirà tutti i mali. L’intelletto infine conoscerà il gran bene che ha perduto. L’anima separata dal corpo, presentandosi al divin tribunale, intravede la bellezza di Dio, conosce tutta la sua bontà, quasi contempla per un istante lo splendore del Paradiso, forse ode anche i canti dolcissimi degli Angeli e dei santi. Che dolore, vedendo che tutto ha perduto per sempre! Chi potrà mai resistere a tali tormenti?

3. Figlio mio, che ora non curi di perder il tuo Dio e il Paradiso, conoscerai la tua cecità quando vedrai tanti tuoi compagni più ignoranti e più poveri di te trionfare e godere nel regno de’ cieli, e fu maledetto da Dio sarai cacciato via da quella patria beata, dal godimento di Lui, dalla compagnia della Santissima Vergine e dei Santi. Su dunque, fa’ penitenza; non aspettare che non vi sia più tempo: datti a Dio. Chi sa che non sia questa l’ultima chiamata, e che se non vi corrispondi, Iddio non t’abbandoni e non ti lasci piombare giù in quegli eterni supplizi! Deh! Gesù mio, liberatemi dall’inferno! A poenis inférni libera me, Domine!

VENERDÌ



L’eternità delle pene.

1. Considera, figliuolo mio, che se andrai all’inferno, non ne uscirai mai più. Là si patiscono tutte le pene e tutte in eterno. Passeranno cent’anni da che tu sarai nell’inferno, ne passeranno mille, e l’inferno incomincerà allora; ne passeranno centomila, cento milioni, passeranno milioni di secoli, e l’inferno sarà da principio. Se un Angelo portasse la nuova ai dannati, che Dio li vuol liberare dall’inferno quando saranno passati tanti milioni di secoli, quante sono le gocce d’acqua del mare, le foglie degli alberi e i granelli di sabbia della terra, questa nuova porterebbe loro la più grande consolazione. È vero, direbbero, che hanno da passare tanti secoli, ma un giorno avranno da finire. Invece passeranno tutti questi secoli e tutti i tempi immaginabili e l’inferno sarà sempre da capo. Ogni dannato farebbe volentieri questo patto con Dio: Signore, accrescete quanto vi piace questa mia pena, fatemi stare in questi tormenti quanto tempo vorrete, purché mi diate la speranza che un giorno finiranno. Ma no: questa speranza, questo termine, non verranno mai.

2. Almeno il povero dannato potesse ingannar se stesso e lusingarsi col dire: Chi sa, forse un giorno Dio avrà pietà di me, e mi caverà da questo baratro! Ma no, neppur questo: egli si vedrà sempre scritta dinanzi la sentenza della sua eternità infelice. Dunque, andrà dicendo, tutte queste pene, questo fuoco, queste grida non hanno più da finire per me? No, gli verrà risposto, no, mai. E dureranno sempre? Sempre, per tutta l’eternità. Sempre, vedrà scritto su quelle fiamme che lo bruciano; sempre, sulla punta delle spade che lo trafiggono; sempre, su quei demoni che lo tormentano; sempre, su quelle porte chiuse per lui in eterno. Oh eternità! oh abisso senza fondo! oh mare senza sponda! oh caverna senza uscita! chi non tremerà pensando a te? Maledetto peccato! che tremendo supplizio prepari a chi ti commette! Ah! non più, non più peccati in vita mia.

3. Quello poi che ti deve colmar di spavento, è il pensare che quella orrenda fornace sta sempre aperta sotto i tuoi piedi, e che basta un sol peccato mortale a farviti cadere. Capisci, figliuol mio, ciò che leggi? Una pena eterna per un sol peccato mortale, che commetti con tanta facilità. Una bestemmia, una profanazione dei giorni festivi, un furto, un odio, una parola, un atto, un pensiero osceno basta per farti condannare alle pene dell’inferno. Ah! dunque, figliuolo, ascolta il mio consiglio: se la coscienza ti rimorde di qualche peccato, va’ presto a confessartene per cominciare una buona vita; pratica ogni mezzo che ti suggerirà il confessore; se è necessario, fa’ una confessione generale; prometti di fuggire le occasioni pericolose, i cattivi compagni, e se Dio ti chiamasse anche a lasciare il mondo, arrenditi presto. Qualunque cosa si faccia per iscampare da un’eternità di pene, è poco, è niente: Nulla nimia securitas, ubi periclitatur aetérnitas. (San Bernardo). Oh quanti nel fior di loro età abbandonarono il mondo, la patria, i parenti, e andarono a confinarsi nelle grotte, nei deserti, vivendo soltanto di pane ed acqua, anzi talvolta di sole radici d’erbe, e tutto questo per evitare l’inferno! E tu che fai? dopo tante volte che hai meritato l’inferno col peccato, che fai? Mettiti ai piedi del tuo Dio e digli: «Signore, eccomi pronto a far quello che volete; non più peccati in vita mia; già troppo vi ho offeso; datemi pure ogni pena in questa vita, purché io possa salvare l’anima mia».

SABATO



Il Paradiso.

1. Quanto fa spavento il pensiero e la considerazione dell’inferno, altrettanto consola quello del Paradiso, preparato da Dio a tutti coloro che l’amano e lo servono nella vita presente. Per fartene un’idea considera una notte serena. Quanto è mai bello a vedersi il cielo con quella moltitudine e varietà di stelle! Quali son piccole, quali più grandi: mentre le une nascono sull’orizzonte, le altre già tramontano; ma tutte con ordine e secondo la volontà del lor Creatore. Aggiungi a ciò la vista di un bel giorno, ma in modo che lo splendore del sole non impedisca di veder bene le stelle e la luna. Supponi altresì di avere quanto di bello si può ritrovar nel mare, nella terra; nei paesi, nelle città, nei palazzi dei re e dei monarchi di tutto il mondo. Aggiungi ancora ogni più squisita bevanda, ogni cibo più saporito; la più dolce musica, l’armonia più soave. Or bene tutto questo insieme è un nulla a paragone dell’eccellenza, dei beni, dei godimenti del paradiso. Oh come è desiderabile e amabile quel luogo, ove si godono tutti i beni! Il beato non potrà a meno di esclamare: Io sono saziato dalla gloria del Signore: Satiàbor cum apparùerit gloria tua.

2. Considera poi la gioia che proverà l’anima tua nell’entrare in Paradiso; l’incontro e l’accoglienza dei parenti e degli amici; la nobiltà, la bellezza dei Cherubini, dei Serafini, di tutti gli Angeli e di tutti i Santi, che a milioni e milioni lodano il Creatore; il coro degli Apostoli, l’immenso numero dei Martiri, dei Confessori, delle Vergini. V’è pure una gran moltitudine di giovani, i quali, perché conservarono la virtù della purità, cantano a Dio un inno che niun altro può imparare. Oh quanto godono in quel regno i beati! Sono sempre in allegrezza, senza infermità, senza dispiaceri e senza affanni che turbino la loro pace, il loro contento.

3. Osserva inoltre, o figliuolo, che tutti i beni ora considerati sono un nulla, a confronto della grande consolazione che si prova nel vedere Iddio. Egli consola i beati col suo amorevole sguardo, e sparge nel loro cuore un mare di delizie. Nello stesso modo che il sole illumina e abbellisce tutto il mondo, così Iddio colla sua presenza illumina tutto il Paradiso e ne riempie i fortunati abitatori di piaceri inesprimibili. In Lui. vedrai come in uno specchio tutte le cose, godrai tutti i piaceri della mente e del cuore. S. Pietro sul monte Tabor, per aver mirato una sola volta il viso di Gesù raggiante di luce, fu ripieno di tanta dolcezza, che fuori di sé esclamò: «O Signore, buona cosa è per noi lo star qui: Domine, bonum est nos hic esse». E vi sarebbe rimasto per sempre. Quale gioia sarà dunque il contemplare non per un istante, ma per sempre, per sempre godere questo viso divino che innamora gli Angeli e i Santi, che abbellisce tutto il Paradiso! E la bellezza ed amorevolezza di Maria; di quanto gaudio deve pur riempire il cuore del beato! Oh sì! quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore! Quam dilécta tabernàcula tua, Domine virtutum! Perciò tutte le schiere degli Angioli e dei Beati cantano la sua gloria dicendo: Santo, Santo, Santo è il Dio degli eserciti; a Lui sia onore e gloria per tutti i secoli.

Coraggio dunque, figliuolo: ti toccherà patire qualche cosa in questo mondo, ma non importa: il premio che avrai in Paradiso compenserà infinitamente tutti i tuoi patimenti. Che consolazione sarà la tua, quando ti troverai in Cielo in compagnia dei parenti, degli amici, dei Santi, dei Beati, e dirai: Sono salvo e sarò sempre col Signore: Semper cum Domino érimus. Allora sì che benedirai il momento in cui lasciasti il peccato; il momento in cui facesti quella buona confessione e cominciasti a frequentare i Sacramenti, il giorno in cui lasciasti i cattivi compagni e ti desti alla virtù; e pieno di gratitudine ti volgerai al tuo Dio, e a Lui canterai lode e gloria. per tutti i secoli. Così sia.