Alla luce delle dichiarazioni dottrinali sul Purgatorio di Clemente VI, del Concilio di Firenze e del Concilio di Trento – a completamento di quanto scritto a suo tempo sulla dottrina di Innocenzo IV e del Concilio di Lione – possiamo sintetizzare in via conclusiva la dottrina cattolica sul Purgatorio nel modo che segue. L’esistenza stessa del Purgatorio si fonda sulla necessità di eliminare le nefaste conseguenze dei peccati commessi in vita, sotto il duplice aspetto della “macchia”(o deterioramento o alterazione in peggio della persona) che ogni peccato commesso lascia nell’anima e che deve essere “cancellata”attraverso una purificazione, e della pena dovuta per ogni peccato con cui la divina giustizia esige di essere soddisfatta.
Questi concetti sono molto sgraditi all’uomo contemporaneo e (sovente) frettolosamente accantonati in nome della (pseudo) dottrina della misericordia – che è una vera caricatura della sua versione autentica – in nome della quale la misericordia di Dio con una sorta di colpo di spugna cancellerebbe in modo estemporaneo, istantaneo ed automatico non solo il peccato, ma anche tutte le sue conseguenze. A tutti piacerebbe che così fosse, ma così non è. In Dio giustizia e misericordia sono entrambi attributi reali, per cui la sua misericordia è sempre giusta (cioè con essa vanno sempre contemperate – e non negate – le esigenze della divina giustizia) e la sua giustizia è sempre misericordiosa (nel senso che Dio non esige tutto quello che dovrebbe essergli “pagato”, ma usa sempre clemenza e grande bontà). Sappiamo dalla dottrina sul sacramento della penitenza che queste conseguenze del peccato vengono (in parte – e solo in parte) cancellate dalla “soddisfazione sacramentale”(cioè dalla penitenza che il sacerdote impone al termine al confessione). Il resto spetta alla libera determinazione del penitente e, se egli non fa sufficiente penitenza in questa vita, inesorabilmente dovrà purificarsi e saldare i conti con la divina giustizia in Purgatorio, attraverso delle pene reali e in certo modo “sensibili”, a contatto con il fuoco che realmente è presente in Purgatorio (non essendo una semplice metafora). L’unica possibilità di vedersi alleviare queste pene sono i suffragi che i fedeli viventi possono offrire per loro: Messe, preghiere, elemosine e altri gesti. Qui è bene spendere qualche parola in più, stante la delicatezza della materia e la perdita progressiva di coscienza della loro importanza. La santa Messa può essere offerta per i defunti in due modi: o offrendo la propria personale partecipazione ad una santa Messa con questa intenzione, oppure – cosa infinitamente più grande – facendo celebrare una santa Messa per il proprio defunto. Valore molto grande hanno le cosiddette “Messe gregoriane”, cioè un ciclo di trenta sante Messe consecutive celebrate per un medesimo defunto. Si badi tuttavia ad alcune considerazioni. Perché il valore di suffragio della santa Messa sia pieno e totalmente efficace, è necessario che la santa Messa sia rigorosamente celebrata e applicata per un solo defunto. In questo senso non è da approvare la consuetudine di alcuni fedeli che chiedono di celebrare una Messa per due congiunti insieme (per esempio padre e madre) o, peggio, per i defunti di un’intera famiglia. Più ancora da condannare, perchè si tratta di un vero e proprio abuso, è la prassi, del tutto illecita, da parte di alcuni sacerdoti di cumulare in un unica Messa più intenzioni, fino a raggiungere 20 o 30 nomi di defunti per una sola Messa. Circa l’illiceità di tale prassi, soprattutto in ordine al danno che così ne avranno le povere anime del Purgatorio, si è chiaramente espresso un documento della Chiesa – precisamente della Congregazione per il Clero, emanato il 22 Febbraio 1991 – con lo scopo di rispondere alle “ripetute sollecitazioni e attese di molti Pastori che si sono rivolti alla
Santa Sede per avere chiarimenti e direttive in merito alla celebrazione di sante Messe che vengono comunemente chiamate plurintenzionali o anche cumulative”.Ecco cosa vi si legge. Art. 1 §1. A norma del canone 948, devono essere applicate Messe distinte secondo le intenzioni di coloro per i quali singolarmente l’offerta data, anche se esigue, è stata accettata. Perciò il sacerdote che accetta l’offerta per la celebrazione di una santa Messa per una intenzione particolare è tenuto per giustizia a soddisfare personalmente l’obbligo assunto oppure a commetterne l’adempimento ad altro sacerdote §2. Contravvengono pertanto a questa norma e si assumono la relativa responsabilità morale i sacerdoti che raccolgono indistintamente offerte per la celebrazione di messe secondo particolari intenzioni e, cumulandole in un’unica offerta all’insaputa degli offerenti, vi soddisfano con un’unica santa messa celebrata secondo un’intenzione detta «collettiva». Art. 2 – §1. Nel caso in cui gli offerenti, previamente ed esplicitamente avvertiti, consentano liberamente che le loro offerte siano cumulate con altre in un’unica offerta, si può soddisfarvi con una sola santa messa, celebrata secondo un’unica intenzione «collettiva». §2. In questo caso è necessario che sia pubblicamente indicato il giorno, il luogo e l’orario in cui tale santa messa sarà celebrata, non più di due volte per settimana. Commenteremo queste disposizioni proseguendo anche il discorso sui suffragi nella prossima puntata.
Tratto da Don Leonardo Maria Pompei