Abbiamo concluso l’articolo precedente rammentando le disposizioni della Chiesa in tema di applicazione delle sante Messe. Il documento ricordava la necessità che ogni singola Messa sia applicata per una sola e singola intenzione e che eventuali eccezioni (possibili solo per ragioni di necessità pastorale, previo avviso ai fedeli e a giorni fissi e preliminarmente resi pubblici) non possono essere ammesse per più di due volte a settimana.
La situazione è reale e riguarda le numerose parrocchie in cui oggi opera un solo sacerdote, che può trovarsi nell’impossibilità oggettiva di soddisfare a tutte le richieste che arrivano. Ma si tratta sempre di una eccezione. Il motivo di queste disposizioni non è solo (e nemmeno principalmente) quello di evitare che si faccia un cumulo eccessivo di offerte per una singola Messa, cosa comunque del tutto inopportuna. Ma è il danno oggettivo che da simile prassi ne deriva alle anime del Purgatorio, che vedrebbero enormemente diminuire l’efficacia satisfattoria dei suffragi applicati. Il motivo teologico è molto semplice. La santa Messa, pur essendo la ripresentazione sacramentale del sacrificio della Croce (il cui valore, di per se, è infinito, in quanto atto del Figlio di Dio) è un atto finito, compiuto in un certo momento storico da una persona (il sacerdote) che agisce in persona di Cristo, ma non è Cristo. Il valore satisfattorio di una santa Messa, pertanto, non è infinito, ma limitato. Conseguentemente frazionarlo e dividerlo per un numero più o meno grande di intenzioni (e, quindi, di anime), ne provocherebbe un’inevitabile diminuzione della sua forza suffragante. Per lo stesso motivo, seguendo la dottrina di san Tommaso, a mio avviso non è affatto opportuno (anche se, questo, consentito dalla legge canonica vigente) che le intenzioni di Messa siano soddisfatte durante una Messa concelebrata. Una Messa concelebrata, infatti, è e rimane una sola Messa, per cui applicarvi una serie di intenzioni più o meno numerose a seconda del numero dei concelebranti, ne sminuisce fortemente la forza impetratoria ed espiatoria. Se è certamente vero che, in merito al diffondersi di tale prassi (che costituisce un vero e proprio abuso), i pastori hanno qualche responsabilità, bisogna però anche aggiungere, ad onor del vero, che spesso non poca colpa di ciò dipende dai fedeli e dalla loro non ben educata “emotività”. Molti di essi, infatti, esigono di “sentir pronunciare il nome del loro defunto”esattamente nel giorno del calendario corrispondente alla morte di esso, non importa se e quanti altri defunti siano “nominati”insieme con lui. Questa prassi è una tipica espressione sintomatica della cultura debole del nostro tempo, che è caratterizzato dal fenomeno speculare del calo della fede insieme a esponenziale aumento dell’emotività. Che un defunto sia “nominato ad alta voce”, infatti, non significa assolutamente nulla in ordine all’applicazione della Messa per quella intenzione (si badi che nel rito antico, che è stata la forma ordinaria della Messa per 1500 anni, la recita del canone era tutta in segreto e in segreto venivano ricordati i defunti, onde nessuno poteva sentirli “nominare”). Se il sacerdote fosse disonesto, potrebbe nominare un defunto e applicare la santa Messa per un proprio familiare, ingannando in questo modo i fedeli. Molto meglio, pertanto, sarebbe attendere che il sacerdote celebrante abbia una “Messa disponibile”, piuttosto che “sentire pronunciare un nome”insieme a molti altri e fare molto meno bene all’anima che si desidera suffragare. Parimenti, per concludere questo lungo e delicato argomento, non è cosa buona far celebrare Messe dove in un’unica intenzione (anche proveniente da un solo fedele offerente) si inseriscono più nomi: tipo quando si fa celebrare una non ben definita
“Messa per i defunti della famiglia X.”, oppure si fa celebrare una sola Messa per entrambi i genitori defunti o per i quattro nonni, etc. E’sempre da preferire la celebrazione di una singola Messa per una singola intenzione riferita ad una sola persona. Questa è stata la prassi costante della Chiesa. Discostarsi da essa non si può, senza incorrere nelle negative conseguenze suddette, che ricadono tutte sulle anime dei defunti. Oltre alla santa Messa, molto giovano i suffragi delle preghiere. Molto efficaci per i defunti sono anzitutto il santo Rosario, ma anche la pia pratica della Corona dei 100 requiem, che non è altro che una serie di cento “eterno riposo”da applicare per la persona defunta. Quando si è in stato di grazia e ci si può accostare alla comunione sacramentale, molto giova alle anime dei defunti applicare la santa comunione per una di esse. Stesso discorso vale per le elemosine, che possono essere applicate anche in suffragio delle anime dei defunti. Basta semplicemente esprimere mentalmente l’intenzione di fare una certa elemosina per l’anima del defunto “X”e quell’elemosina sarà da Dio applicata a sconto dei suoi peccati. L’ultimo grande strumento di suffragio per le anime purganti sono i sacramentali: in particolare l’acqua benedetta (prevista anche dal rituale delle esequie, durante la benedizione del sepolcro da parte del sacerdote) che va aspersa sulla tomba dei defunti, anche da parte di un comune fedele; così come accendere un cero benedetto (ovviamente di cera vera, non alimentato ad energia elettrica) dinanzi ai sepolcri dei defunti. Entrambe queste pie pratiche vantano una tradizione antichissima e andrebbero fatte spesso e con devozione per il bene delle povere anime del Purgatorio.
Tratto da Don Leonardo Maria Pompei