Tra le favelas, per salvare i bambini dall’aborto

In Brasile l’aborto è una piaga che, oltre a falcidiare ogni anno più di un milione di bambini nel ventre materno, fa sì che tantissime donne muoiano a seguito di interventi praticati clandestinamente e talvolta con pericolosissimi metodi fai-da-te. Le cronache riportano di giovani le quali, in preda alla triste aspirazione di interrompere la gravidanza, ricorrono a oggetti taglienti, farmaci scaduti o non testati, stravaganti infusi a base di marijuana, vino e bevande varie.

Lontano dalle luci della ribalta, c’è però chi penetra queste periferie geografiche ed esistenziali per proporre una soluzione alternativa all’aborto a ragazze disperate. La missione a favore della vita, in Brasile, ha il volto gentile e dolce di Maria das Dores Hipolito Pires, conosciuta come Doris Hipolito. Sposata e madre di due figli, questa donna ha permesso con il suo impegno che in 23 anni almeno altri 3mila bambini potessero venire alla luce.

L’intreccio tra la sua vita e i nascituri inizia nel 1991. Doris, all’epoca insegnante presso una scuola alla periferia di Rio de Janeiro, viene convocata una mattina dal preside il quale le propone di attivare un progetto di sostegno nei confronti delle tante studentesse che, dopo aver abortito, ne subivano le conseguenze psicologiche.

Di qui, Doris apre uno sportello di ascolto all’interno della scuola dove insegna e poco dopo, visto il successo ottenuto, decide di esportare il modello anche in altri istituti scolastici. L’assistenza a queste madri mancate, spesso poco più che bambine, inizia così a diventare per Doris un pane quotidiano.

Fervente cattolica, Doris chiede costantemente attraverso la preghiera che Dio la accompagni nel suo impegno. Un giorno, dopo aver recitato il Rosario, la donna sente il desiderio di pregare Maria per la difesa della vita. È così che, dopo aver ottenuto l’approvazione del proprio parroco, costituisce un gruppo di volontari che ogni 13 del mese, per tutto l’anno, si raduna in strada o in altri luoghi pubblici per recitare il Rosario e distribuire volantini di apologia alla vita e contro l’aborto.

Dopo pochi mesi, il gruppo riceve anche l’approvazione di mons. Werner Siebembrok, il quale lo integra nella Diocesi di Rio de Janeiro dandogli il compito di assistere le donne tentate dall’aborto nelle favelas della città. Il luogo dove Doris e gli altri volontari cominciano a lavorare è la malfamata zona di Baixada Fluminense, abitata da oltre 3milioni di persone e piena di cliniche abortiste in cui più che medici gravitano loschi figuri esperti in riti voodoo.

Armati di coraggio, Doris e i suoi si piazzano fuori da questi luoghi con l’intento di dissuadere dall’entrarvi le donne, che sono spesso tossicodipendenti e prostitute alla mercé di criminali. L’alternativa che viene loro offerta è piuttosto l’ingresso in una Casa d’accoglienza preposta a prendersi cura della madri durante la gravidanza, a far nascere i loro figli e a dare un’opportunità lavorativa dopo il parto.

La prima ragazza a mettere piede in questa struttura, affittata da Doris di tasca sua, è stata una senzatetto incinta incontrata sotto un cavalcavia mentre era in terribili condizioni psicofisiche. Il suo riscatto ha dato inizio a un ciclo virtuoso di donne recuperate all’interno di quella che è stata battezzata Casa de Amparo Pró-Vida (Casa della Difesa Pro-Vita).

Una simile iniziativa dovrebbe ricevere unanime consenso, ma purtroppo non è così. La Hipolito racconta che più volte hanno provato a mettere i bastoni tra le ruote alla sua struttura. In particolare, gruppi di femministe deplorano il suo lavoro perché lo reputano un ostacolo all’istanza di legalizzare l’aborto in Brasile. È stato emblematico quando una donna, un procuratore federale, giunta nella Casa della Difesa Pro-Vita per un’ispezione e viste le foto dei bambini salvati dall’aborto su un muro, ha esclamato: “Questa Casa non avrebbe mai dovuto esistere!”.

Inoltre minacce di morte attraverso telefonate anonime sono ormai una realtà, con cui però Doris ha imparato a convivere affidandosi alla Provvidenza. La stessa Provvidenza che ha consentito alla sua Casa di ricevere finanziamenti per pagare le bollette, di avere rifornimenti gratuiti di frutta e verdura da parte di un’azienda e di contare su una squadra di medici e psicologi volontari che assistono le ragazze che ivi risiedono.

Ultimo dono è un appezzamento di terreno, sul quale Doris ha intenzione di costruire una Casa, che sia più ampia dell’attuale (ormai insufficiente a ospitare le tante giovani che vi si rivolgono) e di proprietà, così da potersi esonerare dal pagamento dell’affitto. Di qui la scelta di avviare un progetto di crowd-funding attraverso una pagina internet. Una nuova sfida di quella che ormai, da quando ha ricevuto il permesso dei suoi familiari, è diventata la sua unica attività: salvare vite umane dall’aborto. A chi le chiede chi glielo faccia fare, Doris risponde così: “I potenti possono darmi il potere, ma i bambini possono darmi il Paradiso”.

Di Federico Cenci tratto da Zenit