La “grazia” di un figlio down raccontata da una giornalista

Più che per le affermazioni di principio, la battaglia a favore della vita passa attraverso l’aiuto e la condivisione. Lo insegna la storia personale di Gina, una giornalista americana che ha dato alla luce il proprio unico figlio grazie al supporto che le offrirono durante la gravidanza le suore della comunità Sisters of Life.

Religiose, queste, che sono consacrate sotto uno speciale, quarto voto – oltre quelli di povertà, castità e obbedienza – che consiste nel proteggere “la sacralità della vita umana”.

Ed è proprio sulla pubblicazione delle Sisters of Life che Gina ha deciso di raccontare la sua vicenda. La quale affonda le radici nell’evocativa data dell’11 settembre 2001. Quel giorno Gina, come inviata di AbcNews, assiste in presa diretta alla tragedia che si consuma a Ground Zero. Un’esperienza che la segna profondamente, tanto da indurla a prendersi dopo qualche settimana un periodo di vacanza per ritrovare “equilibrio nella propria vita”.

La meta di viaggio che Gina sceglie per riacquisire serenità è l’Italia. “Avevo sempre desiderato andare in Vaticano ed ero molto attratta da Giovanni Paolo II” , spiega. Durante il viaggio nel Belpaese, Gina conosce e si innamora di un uomo, con il quale inizia una relazione. La distanza non rappresenta un ostacolo per i due, che ad un certo punto iniziano anche a parlare di matrimonio. È proprio in quel momento, che Gina scopre di esser rimasta incinta.

La prospettiva di diventare genitori entusiasma la coppia, fin quando durante un controllo prenatale viene diagnosticata al nascituro la sindrome di Down. Un fulmine a ciel sereno, “scioccante” e “straziante”. Gina ricorda le notti quasi totalmente passate insonni, costellate di risvegli improvvisi “con un soffocante senso di disperazione, tristezza, paura”. Sentimenti aggravati dalle pressioni da parte del proprio ginecologo e del padre del piccolo, i quali cercano di persuadere Gina a interrompere la gravidanza.

In uno stato di vulnerabilità e profonda sofferenza, Gina cede a queste nefaste sirene e fissa un appuntamento per abortire. Di qui un senso di “disperazione assoluta” che perdura fin quando un’ancora di salvezza viene gettata improvvisamente in suo aiuto e del piccolo che porta in grembo. Àncora che indossa l’abito talare e ha la voce paterna di “un meraviglioso sacerdote che non mi ha fatto sentire abbandonata”, sostiene Gina.

Oltre a sostenere Gina con le parole adatte quando la incontra di persona, il prete innesca una vero e proprio circolo virtuoso: “una montagna di altre persone che ‘bombardavano’ il cielo con preghiere per me e per il mio bambino”. È in questa fase che nella coscienza di Gina inizia un vero e proprio conflitto tra la scelta di abortire o meno. “Il potere della preghiera non può mai essere sottovalutato – afferma pensando a quei giorni – perché nel mio cuore la paura stava prevalendo”.

Paura che si contrae gradualmente a seguito dell’incontro con le Sisters of Life, alle quali le consiglia di rivolgersi un sacerdote. Dopo un periodo di contatti telefonici con queste suore, Gina prende una decisione radicale: lascia il proprio compagno e si ritira per un periodo nel convento del Sacro Cuore di Gesù, dove risiedono le religiose. È qui, nell’intimo della preghiera e di una rinnovata relazione con Dio, che Gina acquisisce una sensazione “di leggerezza e di pace”, attraverso la quale a poco a poco riesce a formulare il proprio “sì” dinanzi alla prospettiva di diventare una madre – per giunta single – di un bambino Down.

Ma gli ultimi residui di tentazione di abortire crollano una mattina, nella sala colazioni del monastero. Gina si trova da sola, seduta al suo tavolo, quando si accorge della presenza di un’altra persona: un ragazzo down addetto alle pulizie. In quel momento, forse per il turbamento, fa cadere un vassoio a terra. Si china per raccoglierlo e, rialzando lo sguardo, si ritrova faccia a faccia con il giovane che la accoglie in un tenero abbraccio. Un idillio che dura poche decine di secondi, ma che assume il valore di una svolta nella vita di Gina. Qualche giorno più in là torna a casa e matura la decisione di accogliere quel bambino che cresce dentro di lei. Accoglienza che si concretizza qualche mese dopo, con la nascita di Angelo.

La sua testimonianza odierna è eloquente: “Onestamente, ringrazio Dio ogni giorno, perché Angelo mi ha salvata. Davvero. È molto importante dire che un bambino con disabilità non ci indebolisce, anzi ci rafforza”. Gina ammette che “è come se una parte di me che era insensibile sia stata accesa per prendersi cura di lui. Ho scoperto cose di me stessa che non conoscevo”. Soprattutto, ha conosciuto l’essenza vera della gioia, quella di un bambino che non lesina mai sorrisi e affronta con forza le difficoltà.

Racconta Gina che “a causa della sindrome di Down, Angelo ha l’artrite e passa ore tra fisioterapia, logopedia e altre attività di sostegno medico”. Ma, nonostante questo, trasmette positività e voglia di vivere ogni singolo giorno come fosse un dono. “Ora conosco – sospira Gina – la gioia profonda che si prova quando si compie la volontà di Dio”. La donna riavvolge il nastro della memoria e pensa che un tempo non avrebbe mai immaginato di diventare madre di un bambino down. Eppure oggi, dopo quell’incontro provvidenziale, sa che la nascita di Angelo è stata una “grazia”.

Di Federico Cenci tratto da Zenit