Rolando Rivi – Il seminarista “tutto di Gesù”

Sabato 5 ottobre prossimi a Modena, in Piazza Grande, avrà luogo la Celebrazione Eucaristica della beatificazione di Rolando Rivi

Dalla grande tragedia che fu la Seconda Guerra Mondiale, con tutto il suo strascico di orrori contro l’umanità, emergono ormai sempre più chiaramente, tante belle figure di sacerdoti, religiosi, seminaristi, laici , che testimoniarono la loro fede cattolica e l’amore per i fratelli sofferenti in quella situazione, a qualunque parte i belligeranti appartenessero.

Oltre gli eroi, che giustamente sono stati riconosciuti e onorati dalle Nazioni in guerra, vi furono anche eroi più silenziosi, nascosti o rimasti a lungo trascurati nel ricordo ufficiale, ma che pur diedero la loro vita per la salvezza di altri, in virtù dell’amore totale verso Dio e di riflesso verso i fratelli nell’umanità; in molti casi pagarono con la vita, la loro fedeltà a Cristo ed alla Chiesa, denunciando e lottando contro la barbarie ideologica imperante. 

I martiri del tempo

La Chiesa, passata la disastrosa bufera e mettendo insieme notizie, testimonianze, scritti, verificando ed approvando virtù e miracoli ottenuti per la loro intercessione, ha provveduto ad elevare alla gloria degli altari o avviando le cause per la beatificazione, molti di questi suoi figli, martiri per la fede, uccisi con le armi o lasciati morire nei famigerati campi di sterminio. 

Si citano alcuni: S. Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), frate conventuale francescano polacco; beato Giuseppe Kowalsky († 4 luglio 1942), salesiano polacco; santa Edith Stein (1891-1942), carmelitana olandese di origine ebrea; beato Tito Brandsma (1881-1942), carmelitano olandese; beato Marcello Callo (1921-1945), laico cattolico francese; beato Secondo Pollo (1908-1941), sacerdote italiano, cappellano degli Alpini; servo di Dio Salvo D’Acquisto (1920-1943), brigadiere dei carabinieri; servi di Dio Flavio Corrà (1917-1945) e Gedeone Corrà (1920-1945), fratelli veronesi, giovani d’Azione Cattolica; servo di Dio Gino Pistoni (1924-1944), partigiano d’Ivrea, giovane d’Azione Cattolica; servo di Dio Giuseppe Rossi (1912-1945), parroco di Castiglione d’Ossola; ecc. 

La situazione in Italia

L’Italia fu particolarmente colpita dalle tragiche vicende, prima con l’affermarsi del regime fascista, con le leggi razziali, con la sciagurata alleanza col nazismo hitleriano, poi con la partecipazione alla II Guerra Mondiale, che tante vittime e distruzioni apportò al popolo italiano e infine con la perdita della guerra, il dissolvimento dell’esercito, l’invasione alleata con centinaia di bombardamenti, il ritiro delle truppe tedesche con stragi e rappresaglie sulla popolazione, la Repubblica di Salò nell’Alta Italia, il movimento della Resistenza, gli scontri sanguinosi tra fascisti, tedeschi e partigiani, la caduta definitiva del Fascismo, le vendette finali con migliaia di esecuzioni-omicidi. 

È impossibile in questa limitata scheda, annoverare le vittime cattoliche innocenti o ritenute colpevoli da una delle parti contendenti, perché espletavano la carità di Cristo anche con gli appartenenti all’altra parte, oppure alzavano la voce in difesa di quanti subivano vendette, violenza e soprusi. 

Il martirio della Chiesa Italiana

Ci furono vittime dei nazi-fascisti, come don Giuseppe Morosini (1913-1944), fucilato a Roma e don Pietro Pappagallo, ucciso alle Fosse Ardeatine († 24-3-1944), come i tanti parroci uccisi dai tedeschi insieme ai loro fedeli, a S. Anna di Stazzena, Boves, Marzabotto, ecc. e i tanti sacerdoti e parroci uccisi dei partigiani e militanti comunisti, anche oltre il 25 aprile 1945, come don Umberto Pessina, parroco di San Martino di Correggio († 18 giugno 1946). 

In Emilia Romagna e soprattutto nel famigerato “Triangolo della morte” (Bologna, Modena, Reggio Emilia), perirono di morte violenta, vittime da ambo le parti, ben 93 sacerdoti e religiosi; la maggior parte a seguito delle vendette dei ‘rossi’ contro le ex ‘camicie nere’, fra i quali inclusero spesso anche le tonache nere, cioè i preti, a volte accusati di aver collaborato con il regime, oppure di aver aiutato qualche fascista fuggitivo. E in questo clima di strisciante Guerra Civile, bagnato dal sangue di migliaia di vittime delle vendette, s’inquadra la vicenda terrena e il martirio del quattordicenne seminarista Rolando Rivi, colpevole solo di indossare la veste talare in quel periodo di odio scatenato contro il clero, che alzava la voce a condannare in nome di Dio gli eccidi dell’immediato dopoguerra. 

Rolando Rivi nacque il 7 gennaio 1931 a San Valentino, villaggio del Comune di Castellarano (Reggio Emilia).

Il papà di Rolando era cresciuto educato alla fede genuina e forte della sua mamma, e nei tempi eroici dell’Azione Cattolica degli anni Venti, aveva fatto parte dei giovani iscritti della sua parrocchia; prima di andare a lavorare nei campi, ogni mattina assisteva alla celebrazione della Messa e si accostava alla Comunione. 

In questa atmosfera di forte religiosità e fede concreta, crebbe Rolando, insieme al fratello maggiore Guido e alla sorella minore Rosanna. 

Sano di salute ed esuberante nel carattere, con la sua vivacità procurava spesso ansia ai genitori, ma la nonna Anna aveva intuito il suo temperamento e diceva: “Rolando o diventerà un mascalzone o un santo! Non può percorrere una via di mezzo”. 

A sei anni nel 1937, iniziò a frequentare le scuole elementari e nel contempo la parrocchia; sia la maestra Clotilde Selmi, sia la catechista Antonietta Maffei, profusero nella giovane anima di Rolando l’amore per la vita, per la famiglia, per Gesù, per i fratelli, completando ed integrando l’educazione che riceveva dai suoi familiari. 

Fu ammesso a ricevere l’Eucaristia quasi subito, perché era tra i fanciulli che si erano preparati meglio ed in fretta; fece la Prima Comunione il 16 giugno 1938 festa del Corpus Domini; dopo quel giorno Rolando cambiò, pur rimanendo vivace divenne più maturo e responsabile, cambiamento che si accentuò dopo aver ricevuto la Cresima il 24 giugno 1940. 

Intanto il suo parroco don Olinto Marzocchini divenne il suo maestro e modello di vita, indirizzando da padre spirituale la sua giovane e innocente anima verso la scoperta di Cristo. 

Rolando si accostava ogni settimana al Sacramento della Penitenza e ogni mattina si alzava presto per servire la Messa e ricevere la Comunione. 

Aveva quasi 11 anni, quando non potendo più contenere dentro di sé la voce di Gesù che lo chiamava, disse ai genitori e nonni: “Voglio farmi prete, per salvare tante anime: Poi partirò missionario per far conoscere Gesù, lontano, lontano”. 

I suoi pii genitori non si opposero, e Rolando completato il ciclo delle elementari, all’inizio dell’ottobre 1942 entrò nel Seminario di Marola (Carpineti, Reggio Emilia) per le medie-ginnasio; come allora si usava, vestì subito la tonaca talare e Rolando ne fu orgoglioso, portandola con dignità e amore. 

L’avvertiva come segno della sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa e ne era fiero, e proprio l’amore che portava all’abito talare, sarà la causa della sua prematura fine. 

Si distinse subito per lo studio, per la bontà verso tutti, per la sua gioia verso Gesù, per le preghiere prolungate davanti al Tabernacolo; divideva con i compagni, cibo, frutta, dolci, che spesso erano portati dai suoi genitori in visita. 

Amante della musica, entrò a far parte della corale e cominciò a suonare l’armonium e l’organo per rendere più solenni le cerimonie liturgiche; quando tornava a casa, aiutava i genitori nei lavori di campagna e suonando l’armonium accompagnava il coro parrocchiale, dove cantava anche il padre Roberto; organizzava i ragazzi nei giochi, partecipò ai pellegrinaggi mariani che don Marzocchini organizzava. 

Intanto la guerra infuriava e anche il tranquillo villaggio di San Valentino ne era scosso; dopo l’8 settembre 1943 con la caduta di Benito Mussolini e l’occupazione della Penisola da parte dei tedeschi, si erano aggregate, specie nelle province emiliano-romagnole, formazioni partigiane, che a parte gruppi minoritari di cattolici democratici, erano in maggioranza composte da comunisti, socialisti, aderenti al Partito d’Azione, tutti accomunati oltre che dall’odio verso i fascisti, anche da una forte connotazione anticattolica. 

La frangia più estrema, quella dei comunisti, non si limitava a combattere i tedeschi; vedendo nel clero un pericoloso argine al proprio progetto rivoluzionario, l’anticlericalismo diventò violento e man mano sempre più minaccioso. 

Nel giugno 1944, quando Rolando finì la II Media, i tedeschi occuparono il Seminario di Marola e i seminaristi furono mandati a casa. 

Anche Rolando dovette tornare a San Valentino, portando con sé i libri per poter continuare a studiare a casa e per non perdere l’anno scolastico. 

Continuò a sentirsi seminarista, la chiesa e la casa parrocchiale furono i luoghi prediletti per il trascorrere del suo tempo: la Messa quotidiana con la Comunione, la meditazione, la visita pomeridiana a Gesù nel Tabernacolo, il rosario alla Madonna, suonava con letizia l’armonium; simpatico a tutti, riprese i contatti con i bambini, con i coetanei, insegnando loro a fare i chierichetti, a sera in casa, guidava vicino alla nonna, la recita del rosario. 

Il parroco l’osservava compiaciuto del suo fervore, che non veniva meno fuori dell’ambiente specifico del seminario, d’altra parte Rolando Rivi non smise di portare la tonaca, pur restando a casa, in attesa di poter ritornare nel Seminario. 

I genitori, spaventati da quanto succedeva nei dintorni, con le scorribande di tedeschi, fascisti e partigiani, accompagnate anche da furti, razzie e violenze, insistevano col figlio di togliersi quella benedetta veste nera, perché i tempi non erano buoni per il momento; ma Rolando rispondeva: “Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela”; “Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù”. 

Intanto a San Valentino anche don Olinto Marzocchini era stato aggredito una notte, e giacché già altri preti (Donatelli, Ilariucci, Corsi, Manfredi), erano stati uccisi dai partigiani comunisti (nella sola provincia di Reggio Emilia si conteranno alla fine 15 sacerdoti uccisi), fu opportunamente trasferito in luogo più sicuro e al suo posto fu inviato un giovane sacerdote, don Alberto Camellini. 

Rolando si trovò ancora più spaesato, venendo meno la sua guida spirituale, ma soprattutto era addolorato per la violenza che don Olinto aveva subito; comunque prese a collaborare col nuovo vice curato, con la consueta disponibilità ed entusiasmo. 

Trascorse così l’inverno a San Valentino, allietando e solennizzando le funzioni religiose dell’Immacolata, del Natale, dell’Epifania, con le armoniose note dell’organo da lui suonato. 

Il 1° aprile 1945, Pasqua di Resurrezione, ritornò in parrocchia don Marzocchini e al suo fianco rimase il giovane curato don Capellini, e come previsto, Rolando partecipò alle solenni funzioni della Settimana Santa, alternandosi al servizio dell’altare e al suono dell’organo; il parroco insistendo, volle dargli un piccolo dono in denaro, per ricompensarlo di tutti servizi fatti in quell’intenso periodo di celebrazioni. 

Il martirio del giovane seminarista

C’era ancora la guerra, ma nell’aria si avvertiva che stava finalmente avviandosi alla fine; Rolando nei giorni successivi, non mancò mai alla Messa e alla Comunione e dopo con i libri sottobraccio, nel fiorire della primavera, si spostava in un vicino boschetto a studiare. 

E anche martedì 10 aprile al mattino presto, era già in chiesa per la Messa cantata in onore di s. Vincenzo Ferreri, che non si era potuta celebrare il 5 aprile, perché cadeva nell’Ottava di Pasqua, suonò e accompagnò all’organo i cantori, fra i quali suo padre; ricevette come al solito la Comunione e al termine della celebrazione, dopo aver preso accordi con i cantori per la Messa dell’indomani, ritornò a casa. 

Mentre i genitori si recavano a lavorare nei campi, Rolando prese i libri e si allontanò come al solito a studiare nel boschetto, indossando sempre la sua veste nera. 

A mezzogiorno, i genitori l’attendevano per il pranzo e non vedendolo si recarono nel vicino boschetto a cercarlo; trovarono a terra i libri e un biglietto: ”Non cercatelo; viene un momento con noi partigiani”. 

I partigiani comunisti che l’avevano sequestrato, lo portarono nella loro ‘base’; il padre e il cappellano don Camellini, angosciati presero a cercarlo dovunque nei dintorni, intanto Rolando era stato spogliato della veste nera, che li irritava particolarmente, percosso con la cinghia sulle gambe e schiaffeggiato. 

Rimase tre giorni prigioniero dei partigiani, subendo offese e violenze; davanti a quel poco più di un ragazzino piangente, qualcuno di loro mosso a pietà, propose di lasciarlo andare, perché in effetti era soltanto un ragazzo; ma altri si rifiutarono e lo condannarono a morte, per avere “un prete futuro in meno”. 

Lo portarono in un bosco presso Piane di Monchio (Modena); scavata lì una fossa, Rolando fu fatto inginocchiare sul bordo e quando lui, avendo ormai compreso, singhiozzando implorò di risparmiarlo, ebbe come risposta dei calci e mentre pregava per sé e per i suoi cari, due scariche di rivoltella, una al cuore e una alla fronte, lo fecero stramazzare colpito a morte nella fossa. 

Fu ricoperto con pochi centimetri di terra e foglie secche; era venerdì 13 aprile 1945 e Rolando aveva solo 14 anni e 3 mesi: la sua veste da seminarista fu arrotolata come un pallone da calciare e dopo appesa come un trofeo di guerra, sotto il porticato di una casa vicina. 

Solo il giorno dopo, su indicazione di uno dei partigiani, il padre Roberto e il cappellano ritrovarono il corpo, la salma ricomposta, fu posta in una bara improvvisata e portata nella chiesa parrocchiale di Monchio per la funzione liturgica, e poi sepolta nel locale cimitero parrocchiale. 

Solo dopo, il padre e il cappellano ritornarono a San Valentino a portare la notizia alla desolata madre e al villaggio; la notizia suscitò uno sgomento generale di fronte a tanta barbarie. 

A guerra ultimata, il 29 maggio 1945, la salma del giovane martire fu riportata nel suo villaggio, posta in una bara bianca e fra le lacrime di tutta la popolazione, fu tumulata in località Montadella. 

I suoi genitori scrissero sulla sua tomba: “Tu che dalle tenebre e dall’odio fosti spento, vivi nella luce e nella pace di Cristo”. 

Rolando Rivi fu, ed è, una delle tante stelle luminose del firmamento affollato dei martiri, specie del XX secolo, che passando dalla Rivoluzione Messicana, alla Guerra Civile Spagnola, alla Rivoluzione e persecuzione in Russia o vittime delle due Guerre Mondiali, hanno testimoniato con il loro sangue innocente, la fede in Cristo seguendolo lungo il Calvario. 

Dopo 60 anni, il 7 gennaio 2006, l’arcivescovo di Modena mons. Benito Cocchi, ottenuto il nulla osta dalla Santa Sede il 30 settembre 2005, ha dato inizio, nella chiesa modenese di Sant’Agostino, al processo diocesano per la beatificazione del seminarista Rolando Rivi, martire innocente, caduto sotto l’odio anticlericale e anticristiano del tempo, per aver voluto testimoniare, indossando l’abito talare fino all’ultimo, la sua appartenenza a Cristo.

Antonio Borrelli