L’11 settembre 2001 e quella chiesa ai piedi delle Torri

St. Peter’s Church a New York

Ri­cor­ren­za in­fau­sta quel­la del­l’11 set­tem­bre, al­me­no dal 2001, data del­l’at­ten­ta­to alle Torri ge­mel­le. Una tra­ge­dia che ne ha cau­sa­te altre, negli anni, forse più oscu­re. Tante le sto­rie le­ga­te a quel dram­ma­ti­co gior­no, che gior­na­li­sti, re­gi­sti, poeti e scrit­to­ri hanno fatto co­no­sce­re al gran­de pub­bli­co. Sto­rie di lutti, di fa­mi­glie di­strut­te, di vite spez­za­te. Sto­rie tra­gi­che, in­som­ma; né po­treb­be es­se­re di­ver­sa­men­te data la cir­co­stan­za. E però c’è un’ec­ce­zio­ne alla re­go­la. Un’ec­ce­zio­ne che ha a che ve­de­re con la chie­sa che si trova a ri­dos­so delle Torri, in­ti­to­la­ta a san Pie­tro. Ed è la sto­ria che an­dia­mo a rac­con­ta­re.

Era il 1785 quan­do, con una do­na­zio­ne prov­vi­den­zia­le di 1000 mo­ne­te d’ar­gen­to of­fer­te da Carlo III re di Spa­gna, i cri­stia­ni di New York rag­giun­se­ro la somma ne­ces­sa­ria per edi­fi­ca­re la prima chie­sa cat­to­li­ca della città. La do­mi­na­zio­ne in­gle­se – la cui legge proi­bi­va il culto cat­to­li­co – era ap­pe­na ter­mi­na­ta, gli Stati Uniti d’A­me­ri­ca sa­reb­be­ro nati di lì ad un anno e Geor­ge Wa­shing­ton avreb­be pre­sta­to il suo giu­ra­men­to sol­tan­to tre anni dopo. Per i fe­de­li new­yor­ke­si del­l’e­po­ca si co­ro­na­va fi­nal­men­te il sogno di una chie­sa in cui poter pre­ga­re: avreb­be­ro vo­lu­to si­tuar­la a Broad Street, ossia nei pres­si di quel­lo che al­lo­ra ve­ni­va con­si­de­ra­to il cen­tro della città, ma a causa di un dif­fu­so sen­ti­men­to an­ti­re­li­gio­so, fu­ro­no co­stret­ti a ri­pie­ga­re in una zona al tempo più pe­ri­fe­ri­ca. La prima pie­tra venne posta così a Bar­clay Street, nella parte bassa di Ma­n­hat­tan. Nel 1786 la chie­sa, al­lo­ra co­strui­ta in stile geor­gia­no, era pron­ta per la ce­le­bra­zio­ne della prima messa e venne si­gni­fi­ca­ti­va­men­te in­ti­to­la­ta a San Pie­tro. 

Tu es Pe­trus et super hanc pe­tram edi­fi­ca­bo ec­cle­siam meam.

Nes­su­no al­lo­ra avreb­be po­tu­to im­ma­gi­na­re che pro­prio in quel­la zona, qual­che se­co­lo dopo, sa­reb­be­ro svet­ta­ti alti fino al cielo gli edi­fi­ci del com­ples­so eco­no­mi­co più im­por­tan­te del pia­ne­ta, il World Trade Cen­ter, cuore pul­san­te della città, sim­bo­lo del­l’o­pu­len­za e del po­te­re sta­tu­ni­ten­si nel mondo. Né tan­to­me­no avreb­be­ro po­tu­to sa­pe­re che quel­la chie­sa, de­di­ca­ta pro­prio al prin­ci­pe degli apo­sto­li, sa­reb­be scam­pa­ta pres­so­ché in­tat­ta al­l’in­fer­no del ter­ri­bi­le 11 set­tem­bre 2001.

Nel gior­no del tre­men­do at­ten­ta­to, in­fat­ti, tutti gli edi­fi­ci cir­co­stan­ti al World Trade Cen­ter crol­la­ro­no o ven­ne­ro se­ria­men­te dan­neg­gia­ti dalle fiam­me, dalla pol­ve­re e dai de­tri­ti pro­ve­nien­ti dalle Twin To­wers in ro­vi­na. Anche St. Pe­ter’s Chur­ch avreb­be po­tu­to fare la stes­sa fine. Ma non av­ven­ne. Un buco al tetto, cau­sa­to dalla ca­du­ta di un pezzo del car­rel­lo aereo stac­ca­to­si al mo­men­to dello schian­to da uno dei due ve­li­vo­li che col­pi­ro­no le torri, fu l’u­ni­co danno su­bi­to. 

«Cadde la piog­gia, stra­ri­pa­ro­no i fiumi, sof­fia­ro­no i venti e si ab­bat­te­ro­no su quel­la casa, ed essa non cadde, per­ché era fon­da­ta sopra la roc­cia», si legge nel Van­ge­lo. Quel gior­no a New York, lungo le stra­de, sotto lo sguar­do at­ter­ri­to dei cit­ta­di­ni e del mondo in­te­ro, tutto era morte, ru­mo­re di ca­ta­stro­fe, fra­stuo­no di si­re­ne e grida di ter­ro­re. Ma a St. Pe­ter’s, tra le mura gra­ni­ti­che che nei primi dell’ʼ800 vi­de­ro la con­ver­sio­ne di Eli­za­be­th Ann Seton, la prima santa ame­ri­ca­na, re­gna­va solo un gran si­len­zio.

Et por­tae in­fe­ri non pre­va­le­bunt ad­ver­sus eam.

L’interno di St. Peter’s Church

La chie­sa era de­ser­ta: chi vi la­vo­ra­va era riu­sci­to a met­ter­si in salvo e a far ri­tor­no a casa. Il par­ro­co, padre Kevin Ma­di­gan, era usci­to per ve­de­re se po­te­va es­se­re di aiuto nelle ope­ra­zio­ni di soc­cor­so e sol­tan­to per un mi­ra­co­lo si salvò dalla piog­gia di de­tri­ti che di lì a poco sa­reb­be ve­nu­ta giù. Fu­ro­no quat­tro soc­cor­ri­to­ri, co­per­ti di pol­ve­re e con il volto ri­ga­to dalle la­cri­me, a ria­pri­re quel gior­no, dopo l’at­ten­ta­to, le porte di San Pie­tro: tra­spor­ta­va­no il corpo di un uomo, padre My­chal Judge, il pom­pie­re e padre fran­ce­sca­no uc­ci­so da un de­tri­to in ca­du­ta nel­l’a­trio della Torre Nord, men­tre pre­sta­va soc­cor­so a co­lo­ro che si tro­va­no in­trap­po­la­ti nel­l’e­di­fi­cio. I quat­tro pen­sa­ro­no fosse quel­lo il posto mi­glio­re in cui por­ta­re al ri­pa­ro il corpo senza vita di un sa­cer­do­te. Lo de­po­se­ro sul pa­vi­men­to in marmo di fron­te al­l’al­ta­re mag­gio­re, con al collo una stola presa in sa­cre­stia e il di­stin­ti­vo da vi­gi­le del fuoco. Era la vit­ti­ma “0001” del­l’at­ten­ta­to alle Torri Ge­mel­le.

Ground zero

Le porte di San Pie­tro, da quel gior­no e nei gior­ni a ve­ni­re, non si chiu­se­ro più. Fino al 28 ot­to­bre, data in cui cessò la legge mar­zia­le nella zona, essa co­sti­tuì una base e un ri­fu­gio per i vo­lon­ta­ri e i vi­gi­li del fuoco che la­vo­ra­va­no tra le ma­ce­rie delle Torri: «Noi era­va­mo il primo posto dove por­ta­va­no tutte le at­trez­za­tu­re di emer­gen­za. Tutto era in di­sor­di­ne», rac­con­tò qual­che tempo dopo padre Ma­di­gan al St. An­tho­ny Mes­sen­ger: «La roba era im­pi­la­ta in muc­chi alti sei piedi su tutte le pan­che – ben­dag­gi, ma­sche­re del gas, sti­va­li, ma­ni­chet­te an­tin­cen­dio e ba­rat­to­li di cibo per i la­vo­ra­to­ri e i vo­lon­ta­ri, al­cu­ni dei quali sta­va­no dor­men­do in chie­sa in sac­chi a pelo». Ma per i soc­cor­ri­to­ri che vis­se­ro più di un mese a San Pie­tro, e anche per i tanti che or­bi­ta­va­no lì at­tor­no, quel­la chie­sa non rap­pre­sen­ta­va sol­tan­to una base ope­ra­ti­va: in quel luogo, sep­pur tra la pol­ve­re e il di­sor­di­ne do­vu­ti alle ope­ra­zio­ni, si po­te­va pre­ga­re, cer­ca­re un so­ste­gno re­li­gio­so nella tra­ge­dia che si era ab­bat­tu­ta sulla città e, per chi l’a­ves­se vo­lu­to, ascol­ta­re quo­ti­dia­na­men­te la santa messa.

Fu im­pos­si­bi­le per padre Ma­di­gan co­no­sce­re quan­ti dei suoi par­roc­chia­ni per­se­ro la vita nel­l’at­ten­ta­to del­l’11 set­tem­bre, per­ché a St. Pe­ter’s i volti di chi as­si­ste­va alle ce­le­bra­zio­ni erano sem­pre di­ver­si. Per lo più si trat­ta­va di ano­ni­mi fe­de­li, ma­ga­ri di pas­sag­gio, che usci­ti dal caos del World Trade Cen­ter, an­da­va­no a cer­ca­re un po’ di si­len­zio e rac­co­gli­men­to du­ran­te la pausa pran­zo o in qual­che altro mo­men­to li­be­ro della gior­na­ta la­vo­ra­ti­va. Per as­si­ste­re alla Messa o sem­pli­ce­men­te per dire una pre­ghie­ra. 

Ground zero

E an­co­ra oggi è lo stes­so. I new­yor­ke­si pas­sa­no di lì, en­tra­no la­scian­do­si alle spal­le i ru­mo­ri della città e si fer­ma­no per qual­che istan­te di fron­te al­l’al­ta­re prin­ci­pa­le – lo stes­so dove era so­li­ta fer­mar­si santa Eli­za­be­th Seton – sopra al quale cam­peg­gia un bel di­pin­to della Cro­ci­fis­sio­ne del­l’ar­ti­sta mes­si­ca­no Jose Val­le­jo, do­na­to alla chie­sa dal­l’ar­ci­ve­sco­vo di Città del Mes­si­co nel 1789. Pochi istan­ti di si­len­zio, prima di ri­tuf­far­si nel vor­ti­co­so tram­bu­sto della Gran­de Mela. Ma­ga­ri per chie­de­re o rin­gra­zia­re. O ma­ga­ri per ri­cor­da­re, di fron­te al volto di Gesù cro­ci­fis­so, i pro­pri morti.

Et tibi dabo cla­ves Regni Cae­lo­rum.

di Paola Di Sabatino