Il Papa e la pace

Di P. Alfonso M. Bruno, FI

La pace è come l’aria: si capisce quanto sia necessaria solo quando viene a mancare. L’Europa ha vissuto sessantotto anni di pace, durante i quali sono nate e cresciute generazioni di uomini e di donne che – per loro fortuna – non conoscono la guerra. Ora questi nuovi europei si affacciano improvvisamente su di una prospettiva che per loro è ignota, sia nella dimensione materiale, fatta di rischi e di privazioni, sia in quella morale, caratterizzata dall’odio e dalla paura.


La grande folla di piazza San Pietro era tuttavia composta nella sua immensa maggioranza da giovani e la stessa sensibilità collettiva rivelata da tale presenza dimostra che in tutto questo tempo la Chiesa ha svolto un compito fondamentale: quello di educare alla pace, ricordando che si tratta di una conquista da rinnovare e difendere ogni giorno.

Poi ci sono i credenti degli altri Continenti, quelli che hanno pagato in tutto il tempo trascorso dal 1945 il prezzo della nostra vita tranquilla: le guerre del Terzo Mondo, le guerre scoppiate paradossalmente in tempo di pace, hanno ormai fatto più morti dello stesso conflitto mondiale.

Qui si colloca il punto di contatto tra la riflessione storica e quella spirituale svolta dal Papa.

Qualcuno ha osservato che i delegati Israeliti erano arrivati in piazza San Pietro quando la veglia era già iniziata, avendo osservato il riposo sabbatico, protratto dal tramonto del venerdì al tramonto del sabato.

Le parole del Papa hanno preso spunto dal significato biblico del Settimo Giorno, quando Dio – contemplando la sua Creazione – dice che il mondo è “cosa buona”. Il Settimo Giorno è dunque il momento della santificazione universale, che l’uomo può rispettare soltanto se mantiene l’armonia dell’universo.

Il peccato originale di Adamo ed Eva, e poi il peccato di Caino, sono gravi e offendono Dio perché rompono l’armonia del mondo. E quando l’armonia del mondo si rompe – ammonisce il Papa – non subentra la disarmonia, bensì il caos, la negazione totale dell’ordine insito nel creato.

Se non vogliamo causare caos, dobbiamo rovesciare la proposizione di Caino, che dice di non essere il custode di suo fratello, e considerarci precisamente custodi, responsabili dei nostri fratelli. Il riflesso dell’armonia nella Creazione è infatti la fraternità, la concordia della famiglia umana. Ne risulta che la causa della pace, come contrario del peccato e della violenza, è indivisibile.

Colpisce il fatto che il Papa abbia parlato della guerra in Siria soltanto verso la fine del suo discorso e quasi marginalmente. Non già perché egli sottovaluti la gravità di quanto sta avvenendo in quel Paese, bensì perché lo considera come uno dei tanti effetti determinati da una generale situazione di negazione dell’armonia divina del mondo, del caos causato dalla superbia e dal peccato dell’uomo. E qui si torna alla geostrategia del Papa: la pace non può certamente prescindere dalla giustizia, la cui negazione è causa scatenante dei conflitti, in Siria come altrove.

Tuttavia, pregare e operare solo per la Siria, dedicarsi a spegnere questa o quella guerra, vorrebbe dire perdere di vista l’insieme dei problemi del mondo: per cui, se anche un singolo conflitto fosse impedito o fatto cessare, non per questo le guerre continuerebbero a imperversare e moltiplicarsi.

Il male che le determina deve essere dunque risolto alla radice, eliminando l’egoismo dell’animo umano, assumendo un atteggiamento di responsabilità e di condivisione nei riguardi dei problemi che affliggono il mondo.

In termini spirituali, ciò significa combattere il peccato, ma nella realtà dei termini storici significa perseguire una “ reductio ad unum” dell’umanità: non quella forzosa, tentata invano dall’ideologie, ma quella che consiste nell’accettazione della legge di Dio e nel ripristino dell’armonia nella creazione.

E’ per questo che sotto il colonnato del Bernini, che riproduce l’abbraccio del Cristo Pantocratore nella memoria architetturale degli absidi romanici, erano collocati una cinquantina di confessionali per permettere ai fedeli lì presenti di accostarsi al sacramento della riconciliazione.

Quello del Papa non è dunque un discorso, un progetto rivolto contro qualcuno, ma stabilisce ugualmente una divisione tra chi lo accetta e chi lo rifiuta. Se esso sarà condiviso, allora le diverse religioni, le diverse nazionalità, le diverse cause identitarie potranno trovare una giusta soluzione, nel rispetto degli altri. Altrimenti, non rimarrà che l’illusione perniciosa di combattere la guerra con la guerra, moltiplicandone gli effetti negativi di odio e di distruzione.

La Croce è l’unica risposta possibile alla violenza, in quanto è una risposta che la rifiuta ed è sempre segno di vittoria in orizzontale e in verticale.
Tratto da Zenit