Gesù è la speranza

Fanno tristezza quei sacerdoti che hanno perso la speranza. Per questo Papa Francesco nella messa celebrata questa mattina a Santa Marta, ha rivolto ai sacerdoti presenti l’invito a coltivare questa virtù «che per i cristiani ha il nome di Gesù».

«Vedo tanti preti oggi qui – ha detto – e mi viene di dirvi una cosa: è un po’ triste quando uno trova un prete senza speranza, senza quella passione che dà la speranza; ed è tanto bello quando uno trova un prete che arriva alla fine della sua vita sempre con quella speranza, non con l’ottimismo, ma con la speranza, seminando speranza».

Perché vuol dire, ha aggiunto, che «questo prete è attaccato a Gesù Cristo. E il popolo di Dio ha bisogno che noi preti diamo questa speranza in Gesù, che rifa tutto, è capace di rifare tutto e sta rifacendo tutto: in ogni eucaristia lui rifà la creazione, in ogni atto di carità lui rifà il suo amore in noi».

Il Pontefice ha parlato della speranza ricollegando la riflessione odierna a quelle dei giorni precedenti, durante le quali aveva proposto Gesù come la totalità, il centro della vita del cristiano, l’unico sposo della Chiesa. Così oggi si è soffermato sul concetto espresso nella Lettera di san Paolo ai Colossesi (1, 24-2, 3): Gesù « mistero, mistero nascosto, Dio». Un mistero, quello di Dio, che «è apparso in Gesù» che è «la nostra speranza: è il tutto, è il centro ed è anche la nostra speranza».

Purtroppo però, ha osservato il vescovo di Roma, la «speranza è una virtù» considerata «abitualmente di seconda classe. Non crediamo tanto – ha spiegato – nella speranza: parliamo della fede e della carità, ma la speranza è un po’, come diceva uno scrittore francese, la virtù umile, la serva delle virtù; e non la capiamo bene».

L’ottimismo, ha spiegato, è un atteggiamento umano che dipende da tante cose; ma la speranza è un’altra cosa: «è un dono, è un regalo dello Spirito Santo e per questo Paolo dirà che non delude mai». Ed ha anche un nome. E «questo nome è Gesù»: non si può dire di sperare nella vita se non si spera in Gesù. «Non si tratterebbe di speranza – ha precisato – ma sarebbe buonumore, ottimismo, come nel caso di quelle persone solari, positive, che vedono sempre la metà piena del bicchiere e non quella vuota».

Una conferma di questo concetto il Papa l’ha indicata nel brano del Vangelo di Luca (6, 6-11), nel riferimento al tema della libertà. Il racconto di Luca mette davanti agli occhi una duplice schiavitù: quella dell’uomo «con la mano paralizzata, schiavo della sua malattia», e quella «dei farisei, degli scribi, schiavi dei loro atteggiamenti rigidi, legalistici». Gesù «libera entrambi: fa vedere ai rigidi che quella non è la strada della libertà; e l’uomo dalla mano paralizzata lo libera dalla malattia». Cosa vuole dimostrare? Che «libertà e speranza vanno insieme: dove non c’è speranza, non può esserci libertà».

Tuttavia il vero insegnamento da trarre dalla liturgia odierna è che Gesù «non è un guaritore, è un uomo che ricrea l’esistenza. E questo – ha sottolineato il vescovo di Roma – ci dà speranza, perché Gesù è venuto proprio per questo grande miracolo, per ricreare tutto». Tanto che la Chiesa in una bellissima preghiera dice: «Tu, Signore, che sei stato tanto grande, tanto meraviglioso nella creazione, ma più meraviglioso nella redenzione…». Dunque, ha aggiunto il Papa, «la grande meraviglia è la grande riforma di Gesù. E questo ci dà speranza: Gesù che ricrea tutto». E quando «ci uniamo a Gesù nella sua passione – ha concluso il Papa – con lui rifacciamo il mondo, lo facciamo nuovo».