Storie di cristiani perseguitati. La vecchietta che ha salvato la chiesa di Asomatos

La gente si accalca, spinge, vuole vedere il vescovo ma, soprattutto, vuole vedere quell’anziana donna che ha spinto il prelato a venire fin lì. 

Di lei si riesce a scorgere solo la cuffia nera e il sorriso rugoso; è intimidita dalla ressa, le chiedono di parlare, cava dalla tasca un foglietto, per non confondersi:

«Il mio nome è Emily Bartella. Sono nata ad Asomatos ottantasei anni fa. Sono cristiana maronita. Un tempo nel mio villaggio vivevano più di duecentocinquanta persone, tutte cristiane come me. Quando nel 1974 i turchi hanno invaso questa parte dell’isola di Cipro siamo stati tutti cacciati dalle nostre case e il paese è stato trasformato in un quartier generale dell’esercito. I soldati hanno alzato barricate di filo spinato, hanno messo un cartello con il divieto di ingresso, scritto in turco, e ci hanno spinti via».

«Gli anziani protestarono ma i militari non vollero sentir ragioni. “Lasciateci almeno la nostra chiesa”, dissero i vecchi. “Non vogliamo vederla trasformata in un’autorimessa”. Il generale, ridendo, rispose: “Noi non siamo dei selvaggi. Se qualcuno vuole andare a messa la domenica venga pure, tra le nove e le undici del mattino. Noi lo faremo entrare. Ma se non viene nessuno, della vostra chiesa facciamo quello che ci pare”».

«La domenica successiva eravamo lì, in fila davanti ai cancelli, con il prete davanti a tutti. Ci hanno fatto entrare e ci hanno lasciato celebrare la messa. Poi siamo dovuti andar via. Allontanati dalle nostre abitazioni, vivevamo in ricoveri di fortuna, chi nel casolare di campagna, chi in una baracca del proprio podere, chi da qualche parente nei villaggi vicini. Pensavamo si trattasse di una situazione passeggera; “prima o poi ci restituiranno Asomatos” si diceva “quando la guerra sarà finita”».

«Non è stato così. Ogni domenica, allora, andavamo tutti a Messa, per difendere la nostra chiesa, per non vederla trasformata in un’autorimessa. Pian piano, però, la gente ha cominciato a perdere la speranza, ha iniziato a non sopportare più di vivere in stamberghe, come capre, e sono iniziate le partenze. Ogni settimana una o due famiglie emigravano; andavano in altri paesi, in altre nazioni dove un parente era riuscito a preparare loro una vita migliore. Ogni settimana, in fila ai cancelli per la Messa, eravamo sempre di meno. Nel giro di un paio d’anni siamo rimaste solo in due, la mia amica Eleni e io. Il prete arrivava da Karpashia solo per noi».

«Il comandante turco, ogni domenica, ci guardava dal suo balcone con un sorriso ironico; i suoi soldati scommettevano su quanto saremmo ancora durati. Noi però continuavamo a farci forza l’un l’altra. Eleni diceva: “Siamo due vedove, i nostri figli sono sistemati, cos’altro dovremmo fare nella vita se non difendere la nostra chiesa?”. Io ero d’accordo con lei».

«Siamo andate a Messa insieme per quasi trent’anni, poi Eleni è morta e sono rimasta sola».

«Il prete di Karpashia cominciò a stancarsi di venire ad Asomatos solo per me, mi disse di andare a vivere da mio figlio, che tanto una chiesa in più o in meno non avrebbe fatto differenza; i turchi ne avevano distrutte a migliaia sull’isola. Io risposi che volevo rimanere, volevo continuare ad andare a Messa nella mia chiesa; gli dissi di cercare un altro prete se non voleva che dicessi io la Messa. Iniziò a venire un sacerdote di Kormakitis, era un ragazzo giovane e raccontò della mia solitudine ad alcuni dei suoi parrocchiani che iniziarono a seguirlo per non lasciarmi sola. A Messa, eravamo una decina».

«La voce si sparse e in molti presero a seguire l’esempio di quei primi. Adesso, ad Asomatos, alla Messa della domenica mattina, partecipano più di cento persone. Qualche mese fa, guardando la navata piena come un tempo, ho iniziato a pensare di avercela fatta. “Ho salvato la chiesa”, mi son detta. “Ora sono vecchia, posso andare a vivere da mio figlio, ci penseranno altri a continuare”».

«Poi, però, mi è arrivata la notizia che la Fondazione Maroniti nel Mondo voleva assegnarmi un riconoscimento per la mia perseveranza; il vescovo Youssef Soueif in persona sarebbe venuto a celebrare la Messa nella nostra chiesa di Asomatos. Ho capito, allora, che non potevo andarmene, che il mio posto è qui. Aveva ragione Eleni: che altro devo fare nella vita se non difendere la mia chiesa? Grazie eminenza! Grazie a tutti voi per avermi aiutata a restare».

Il 22 aprile 2012 una delegazione della Fondazione dei Maroniti nel Mondo, guidata dal vescovo Youssef Soueif, raggiunge Asomatos per consegnare a Emily Bartella un riconoscimento per la sua lunga ed eroica resistenza.

Agosto 1, 2013 Franco Molon tratto da Tempi.it