Cosa vuol dire essere “Popolo di Dio”?

Cosa vuole dire essere “popolo di Dio”? Intorno a questa domanda, papa Francesco ha articolato la propria catechesi, in occasione dell’Udienza generale di mercoledì 12 giugno, attingendo, anche stavolta, al Concilio Vaticano II (ed in particolare alla Lumen Gentium,n°9) e al Catechismo della Chiesa Cattolica (782).

La risposta fornita dal Santo Padre è stata la seguente: “Anzitutto vuol dire che Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo; perché è Lui che ci chiama, ci convoca, ci invita a fare parte del suo popolo, e questo invito è rivolto a tutti, senza distinzione, perché la misericordia di Dio «vuole la salvezza per tutti» (1Tm 2,4)”.

Gesù non pensò mai ai suoi Apostoli come ad un “gruppo esclusivo” o “di elite”, ha osservato il Pontefice, ma, piuttosto, li chiamò per fare «discepoli tutti i popoli» (cfr. Mt 28,19).

Francesco ha quindi rivolto un appello a “chi si sente lontano da Dio e dalla sua Chiesa, a chi è timoroso o indifferente, a chi pensa di non poter più cambiare: il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore!”.

Il Pontefice è quindi passato alla seconda domanda: “Come si diventa membri di questo popolo?”. Lo diventiamo con una nuova nascita, non fisica ma spirituale, attraverso il Battesimo. Ciò stimola una domanda ulteriore: “come faccio crescere la fede che ho ricevuto nel mio Battesimo […] e che il popolo di Dio possiede?”.

La terza domanda posta dal Papa è stata: “Qual è la legge del Popolo di Dio?”. Essa si identifica nella “legge dell’amore”, rivolto “a Dio” e “al prossimo”, secondo il nuovo comandamento lasciatoci dal Signore (cfr. Gv 13,34).

Si tratta, però di un amore “che non è sterile sentimentalismo o qualcosa di vago, ma che è il riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso tempo, l’accogliere l’altro come vero fratello, superando divisioni, rivalità, incomprensioni, egoismi”, ha precisato il Santo Padre.

Il mondo, ha osservato, è segnato da tante guerre, anche “tra cristiani”, anche “dentro il popolo di Dio”. Guerre, non necessariamente cruente o armate, ma comunque conflitti, rivalità e gelosie che possono nascere “nei posti di lavoro” o “nella stessa famiglia”.

Di fronte a tali attriti, “dobbiamo chiedere al Signore che ci faccia capire bene questa legge dell’amore”, comprendendo “quanto è bello” l’amore fraterno. “Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell’amore”, ha aggiunto il Papa.

La quarta domanda è stata: “Che missione ha questo popolo?”. La sua missione, ha risposto il Santo Padre, è     quella di “portare nel mondo la speranza e la salvezza di Dio”, essere segno del Suo amore.

A volte, “basta aprire un giornale” per avvertire “la presenza del male”, che “il Diavolo agisce”; eppure, ha sottolineato “a voce alta” il Pontefice, “Dio è più forte!”, perché è “l’unico Signore”.

Anche una realtà “buia, segnata dal male, può cambiare, se noi per primi vi portiamo la luce del Vangelo”. Se in uno stadio, “in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli oltre settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina”. Parimenti, dobbiamo fare in modo che “la nostra vita sia una luce di Cristo”, affinché tutti insieme possiamo portare “la luce del Vangelo all’intera realtà”.

Papa Francesco è giunto, poi, all’ultima domanda: “Qual è il fine di questo popolo?”. Il fine è “il Regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso e che deve essere ampliato fino al compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr Lumen gentium, 9)”.

In conclusione della catechesi, il Santo Padre ha ricordato che “essere Chiesa, essere Popolo di Dio, secondo il grande disegno di amore del Padre, vuol dire essere il fermento di Dio in questa nostra umanità, vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo”.

La Chiesa, pertanto, deve essere “luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo”; per permettere ciò, la Chiesa deve mantenere “le porte aperte, perché tutti possano entrare” e perché i suoi membri possano “uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo”.

Di Luca Marcolivio

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La catechesi di papa Francesco durante l’odierna Udienza Generale

Cari fratelli e sorelle, buon giorno!

Oggi vorrei soffermarmi brevemente su un altro dei termini con cui il Concilio Vaticano II ha definito la Chiesa, quello di “Popolo di Dio” (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 9; Catechismo della Chiesa Cattolica, 782). E lo faccio con alcune domande, sulle quali ognuno potrà riflettere.

1. Che cosa vuol dire essere “Popolo di Dio”? Anzitutto vuol dire che Dio non appartiene in modo proprio ad alcun popolo; perché è Lui che ci chiama, ci convoca, ci invita a fare parte del suo popolo, e questo invito è rivolto a tutti, senza distinzione, perché la misericordia di Dio «vuole la salvezza per tutti» (1Tm 2,4). Gesù non dice agli Apostoli e a noi di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di elite. Gesù dice: andate e fate discepoli tutti i popoli (cfr Mt 28,19). San Paolo afferma che nel popolo di Dio, nella Chiesa, «non c’è più giudeo né greco… poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Vorrei dire anche a chi si sente lontano da Dio e dalla Chiesa, a chi è timoroso o indifferente, a chi pensa di non poter più cambiare: il Signore chiama anche te a far parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore! Lui ci invita a far parte di questo popolo, popolo di Dio.

2. Come si diventa membri di questo popolo? Non è attraverso la nascita fisica, ma attraverso una nuova nascita. Nel Vangelo, Gesù dice a Nicodemo che bisogna nascere dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito per entrare nel Regno di Dio (cfr Gv 3,3-5). E’ attraverso il Battesimo che noi siamo introdotti in questo popolo, attraverso la fede in Cristo, dono di Dio che deve essere alimentato e fatto crescere in tutta la nostra vita. Chiediamoci: come faccio crescere la fede che ho ricevuto nel mio Battesimo? Come faccio crescere questa fede che io ho ricevuto e che il popolo di Dio possiede?

3. L’altra domanda. Qual è la legge del Popolo di Dio? E’ la legge dell’amore, amore a Dio e amore al prossimo secondo il comandamento nuovo che ci ha lasciato il Signore (cfr Gv 13,34). Un amore, però, che non è sterile sentimentalismo o qualcosa di vago, ma che è il riconoscere Dio come unico Signore della vita e, allo stesso tempo, l’accogliere l’altro come vero fratello, superando divisioni, rivalità, incomprensioni, egoismi; le due cose vanno insieme. Quanto cammino dobbiamo ancora fare per vivere in concreto questa nuova legge, quella dello Spirito Santo che agisce in noi, quella della carità, dell’amore! Quando noi guardiamo sui giornali o alla televisione tante guerre fra cristiani, ma come può capitare questo? Dentro il popolo di Dio, quante guerre! Nei quartieri, nei posti di lavoro, quante guerre per invidia, gelosie! Anche nella stessa famiglia, quante guerre interne! Noi dobbiamo chiedere al Signore che ci faccia capire bene questa legge dell’amore. Quanto è bello amarci gli uni con gli altri come fratelli veri. Quanto è bello! Facciamo una cosa oggi. Forse tutti abbiamo simpatie e non simpatie; forse tanti di noi sono un po’ arrabbiati con qualcuno; allora diciamo al Signore: Signore io sono arrabbiato con questo o con questa; io ti prego per lui e per lei. Pregare per coloro con i quali siamo arrabbiati è un bel passo in questa legge dell’amore. Lo facciamo? Facciamolo oggi!

4. Che missione ha questo popolo? Quella di portare nel mondo la speranza e la salvezza di Dio: essere segno dell’amore di Dio che chiama tutti all’amicizia con Lui; essere lievito che fa fermentare tutta la pasta, sale che dà il sapore e che preserva dalla corruzione, essere una luce che illumina. Attorno a noi, basta aprire un giornale, – l’ho detto – vediamo che la presenza del male c’è, il Diavolo agisce. Ma vorrei dire a voce alta: Dio è più forte! Voi credete questo: che Dio è più forte? Ma lo diciamo insieme, lo diciamo insieme tutti: Dio è più forte! E sapete perché è più forte? Perché Lui è il Signore, l’unico Signore. E vorrei aggiungere che la realtà a volte buia, segnata dal male, può cambiare, se noi per primi vi portiamo la luce del Vangelo soprattutto con la nostra vita. Se in uno stadio, pensiamo qui a Roma all’Olimpico, o a quello di San Lorenzo a Buenos Aires, in una notte buia, una persona accende una luce, si intravvede appena, ma se gli oltre settantamila spettatori accendono ciascuno la propria luce, lo stadio si illumina. Facciamo che la nostra vita sia una luce di Cristo; insieme porteremo la luce del Vangelo all’intera realtà.

5 Qual è il fine di questo popolo? Il fine è il Regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso e che deve essere ampliato fino al compimento, quando comparirà Cristo, vita nostra (cfr Lumen gentium, 9). Il fine allora è la comunione piena con il Signore, la familiarità con il Signore, entrare nella sua stessa vita divina, dove vivremo la gioia del suo amore senza misura, una gioia piena.

Cari fratelli e sorelle, essere Chiesa, essere Popolo di Dio, secondo il grande disegno di amore del Padre, vuol dire essere il fermento di Dio in questa nostra umanità, vuol dire annunciare e portare la salvezza di Dio in questo nostro mondo, che spesso è smarrito, bisognoso di avere risposte che incoraggino, che diano speranza, che diano nuovo vigore nel cammino. La Chiesa sia luogo della misericordia e della speranza di Dio, dove ognuno possa sentirsi accolto, amato, perdonato, incoraggiato a vivere secondo la vita buona del Vangelo. E per far sentire l’altro accolto, amato, perdonato, incoraggiato la Chiesa deve essere con le porte aperte, perché tutti possano entrare. E noi dobbiamo uscire da quelle porte e annunciare il Vangelo.