Cristo viene a portarci la misericordia di Dio che salva

“Cari fratelli e sorelle, buongiorno!”. Ogni omelia, catechesi e discorso di Papa Francesco si apre con questo semplice e cortese saluto pronunciato in quell’accento latino-americano dalla inflessione italiana che tanto piace ai fedeli. Fedeli che, tra l’altro, continuano ad aumentare ogni mercoledì e ogni domenica. Mercoledì 24 aprile la Santa Sede ha parlato di centomila persone presenti all’Udienza generale in Piazza San Pietro.

Un numero decisamente maggiore alla capienza della piazza che può ospitarne circa 60.000. Numerose persone si sono dovute riversare nell’attigua piazza San Pio XI.

Sarà forse che guardando le foto sulle riviste o le immagini in tv, ogni pellegrino è invogliato a fiondarsi a Roma nella speranza di riuscire a stringere la mano al Pontefice o di “passargli” il suo bambino per farlo benedire e accarezzare. I lunghi tragitti in mezzo alla folla sono, infatti, la parte preferita di Papa Francesco. Il giro in piazza dura e si allarga sempre di più, arrivando oggi a costeggiare i confini dello Stato italiano.

I fotografi, questa mattina, hanno la possibilità di immortalare scene indimenticabili del Pastore con il suo gregge: dagli abbracci affettuosissimi ai disabili durante la passeggiata a piedi nelle prime file del sagrato, al caloroso saluto ai giovani del coro di Basilea o allo scambio di zucchetto con un fedele.

Questo Papa però è forte non solo nei gesti, ma anche nelle parole. Il messaggio è sempre lo stesso: non chiudersi in sé stessi, uscire e condividere con l’altro la gioia dell’incontro con Cristo; ma cambia connotazione di volta in volta.

Centro della catechesi durante l’Udienza di oggi era l’articolo del Credo: «Di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». Un’idea che spesso dimentichiamo, ha osservato il Santo Padre: “La fede nel ritorno di Cristo e nel giudizio finale a volte non è così chiara e salda nel cuore dei cristiani”.

A tal proposito il Papa ha citato tre brani evangelici che “aiutano ad entrare in questo mistero”: quello delle dieci vergini, dei talenti e del giudizio finale; tre testi che indicano ognuno un tempo di azione. Innanzitutto, il tempo intermedio “tra la prima venuta di Cristo e l’ultima, che è proprio il tempo che stiamo vivendo” ha spiegato papa Francesco, in cui si colloca la parabola delle dieci ragazze in attesa dello Sposo.

“È un tempo della vigilanza – ha detto – in cui dobbiamo tenere accese le lampade della fede, della speranza e della carità, in cui tenere aperto il cuore al bene, alla bellezza e alla verità”, poiché “non conosciamo né il giorno, né l’ora del ritorno di Cristo”. “Non addormentiamoci – ha esortato il Santo Padre – la vita dei cristiani addormentati è una vita triste, eh? Non è una vita felice”.

La seconda parabola dei talenti (Mt 25,14-30) inquadra invece, secondo Papa Bergoglio, “il tempo dell’azione”, rivelando il rapporto “tra come impieghiamo i doni ricevuti da Dio e il suo ritorno, in cui ci chiederà come li abbiamo utilizzati”. In particolare, il Pontefice ha commentato l’atteggiamento del terzo servo che sotterra il talento del padrone per consegnarglielo intatto al suo ritorno. Un comportamento umanamente logico forse, ma che cristianamente indica paura e chiusura davanti a Dio. “Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato, non è cristiano! – ha infatti sottolineato il Papa – È un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato!”.

In questo tempo siamo chiamati quindi a “mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri”. Soprattutto in questo periodo di crisi, ha soggiunto il Pontefice, “è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all’altro”. 

Ritorna, dunque, l’invito ai giovani di domenica scorsa: “Non sotterrate i talenti! – ha ribadito vigorosamente il Papa – Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!”.

Il Santo Padre si è poi soffermato sul brano del giudizio finale “in cui viene descritta la seconda venuta del Signore, quando Egli giudicherà tutti gli esseri umani, vivi e morti” (Mt 25,31-46). Il tempo ultimo in cui, con l’immagine del pastore che separa le pecore dalle capre, Matteo spiega che alla destra viene posto chi ha agito secondo la volontà di Dio, soccorrendo il prossimo “affamato, assetato, straniero, nudo, malato, carcerato” (ha aggiunto il Pontefice: “Penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma. Cosa facciamo per loro?”); a sinistra invece chi ha preferito agire a prescindere da essa, disinteressandosi del prossimo.

La misura di tutto è la carità. “Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi” ha rimarcato papa Bergoglio. Certo, c’è “un atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede” e ci salva; ma “per portare frutti la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura a Lui, la nostra risposta libera e concreta”.

L’invito conclusivo del Papa è quindi di non aver paura di guardare al giudizio finale, ma anzi esso ci spinga a vivere meglio il presente. “Dio – ha detto – ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore”. 

Di Salvatore Cernuzio tratto da Zenit

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La catechesi di papa Francesco durante l’Udienza Generale di mercoledì 24 aprile 2013

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

nel Credo noi professiamo che Gesù «di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». La storia umana ha inizio con la creazione dell’uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio e si chiude con il giudizio finale di Cristo. Spesso si dimenticano questi due poli della storia, e soprattutto la fede nel ritorno di Cristo e nel giudizio finale a volte non è così chiara e salda nel cuore dei cristiani. Gesù, durante la vita pubblica, si è soffermato spesso sulla realtà della sua ultima venuta. Oggi vorrei riflettere su tre testi evangelici che ci aiutano ad entrare in questo mistero: quello delle dieci vergini, quello dei talenti e quello del giudizio finale. Tutti e tre fanno parte del discorso di Gesù sulla fine dei tempi, nel Vangelo di san Matteo.

Anzitutto ricordiamo che, con l’Ascensione, il Figlio di Dio ha portato presso il Padre la nostra umanità da Lui assunta e vuole attirare tutti a sé, chiamare tutto il mondo ad essere accolto tra le braccia aperte di Dio, affinché, alla fine della storia, l’intera realtà sia consegnata al Padre. C’è, però, questo “tempo immediato” tra la prima venuta di Cristo e l’ultima, che è proprio il tempo che stiamo vivendo. In questo contesto del “tempo immediato” si colloca la parabola delle dieci vergini (cfr Mt 25,1-13). Si tratta di dieci ragazze che aspettano l’arrivo dello Sposo, ma questi tarda ed esse si addormentano. All’annuncio improvviso che lo Sposo sta arrivando, tutte si preparano ad accoglierlo, ma mentre cinque di esse, sagge, hanno olio per alimentare le proprie lampade, le altre, stolte, restano con le lampade spente perché non ne hanno; e mentre lo cercano giunge lo Sposo e le vergini stolte trovano chiusa la porta che introduce alla festa nuziale. Bussano con insistenza, ma ormai è troppo tardi, lo Sposo risponde: non vi conosco. Lo Sposo è il Signore, e il tempo di attesa del suo arrivo è il tempo che Egli ci dona, a tutti noi, con misericordia e pazienza, prima della sua venuta finale; è un tempo di vigilanza; tempo in cui dobbiamo tenere accese le lampade della fede, della speranza e della carità, in cui tenere aperto il cuore al bene, alla bellezza e alla verità; tempo da vivere secondo Dio, poiché non conosciamo né il giorno, né l’ora del ritorno di Cristo. Quello che ci è chiesto è di essere preparati all’incontro – preparati ad un incontro, ad un bell’incontro, l’incontro con Gesù -, che significa saper vedere i segni della sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La vita dei cristiani addormentati è una vita triste, non è una vita felice. Il cristiano dev’essere felice, la gioia di Gesù. Non addormentarci!

La seconda parabola, quella dei talenti, ci fa riflettere sul rapporto tra come impieghiamo i doni ricevuti da Dio e il suo ritorno, in cui ci chiederà come li abbiamo utilizzati (cfr Mt 25,14-30). Conosciamo bene la parabola: prima della partenza, il padrone consegna ad ogni servo alcuni talenti, affinché siano utilizzati bene durante la sua assenza. Al primo ne consegna cinque, al secondo due e al terzo uno. Nel periodo di assenza, i primi due servi moltiplicano i loro talenti – queste sono antiche monete -, mentre il terzo preferisce sotterrare il proprio e consegnarlo intatto al padrone. Al suo ritorno, il padrone giudica il loro operato: loda i primi due, mentre il terzo viene cacciato fuori nelle tenebre, perché ha tenuto nascosto per paura il talento, chiudendosi in se stesso. Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano! E’ un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci dice che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione – noi siamo nel tempo dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo. E in particolare in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all’altro  Nella piazza, ho visto che oggi ci sono molti giovani: è vero, questo? Ci sono molti giovani? Dove sono? A voi, che siete all’inizio del cammino della vita, chiedo: Avete pensato ai talenti che Dio vi ha dato? Avete pensato a come potete metterli a servizio degli altri? Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!

Infine, una parola sul brano del giudizio finale, in cui viene descritta la seconda venuta del Signore, quando Egli giudicherà tutti gli esseri umani, vivi e morti (cfr Mt 25,31-46). L’immagine utilizzata dall’Evangelista è quella del pastore che separa le pecore dalle capre. Alla destra sono posti coloro che hanno agito secondo la volontà di Dio, soccorrendo il prossimo affamato, assetato, straniero, nudo, malato, carcerato – ho detto “straniero”: penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa facciamo per loro? – mentre alla sinistra vanno coloro che non hanno soccorso il prossimo. Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi. Certo, dobbiamo sempre tenere ben presente che noi siamo giustificati, siamo salvati per grazia, per un atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede; da soli non possiamo fare nulla. La fede è anzitutto un dono che noi abbiamo ricevuto. Ma per portare frutti, la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura a Lui, la nostra risposta libera e concreta. Cristo viene a portarci la misericordia di Dio che salva. A noi è chiesto di affidarci a Lui, di corrispondere al dono del suo amore con una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall’amore.

Cari fratelli e sorelle, guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura; ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore. Il Signore, al termine della nostra esistenza e della storia, possa riconoscerci come servi buoni e fedeli. Grazie.