Il Concilio Vaticano II è un “grande affresco dipinto dallo Spirito Santo”

Un’Udienza Generale tra le più importanti del pontificato di Benedetto XVI. La catechesi di stamattina si è infatti svolta nel giorno antecedente all’apertura dell’Anno della Fede e al 50° Anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II: il tema scelto dal Santo Padre per la catechesi è stata quindi una riflessione sui documenti conciliari.

Il Concilio Vaticano II ci appare come “un grande affresco – ha esordito il Papa – dipinto nella sua grande molteplicità e varietà di elementi, sotto la guida dello Spirito Santo”. Un’opera di una “straordinaria ricchezza” di cui ancora oggi è possibile “riscoprirne particolari passaggi, frammenti, tasselli”.

Il Santo Padre ha quindi citato il suo predecessore, il beato Giovanni Paolo II, che definiva il Vaticano II “la grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel secolo XX”, oltre che “una sicura bussola per orientarci nel cammino del secolo che si apre” (Novo Millenio Ineunte, 57). Una bussola che permette “alla nave della Chiesa di procedere in mare aperto, in mezzo a tempeste o ad onde calme e tranquille, per navigare sicura ed arrivare alla meta”.

Benedetto XVI ha poi rammentato la sua personale esperienza al Concilio, dove si recò al seguito dell’allora arcivescovo di Colonia, il cardinale Frings che nominò il non ancora quarantenne Joseph Ratzinger (allora  professore di teologia fondamentale all’Università di Bonn) come suo consulente teologo. In seguito Ratzinger divenne perito conciliare.

“Rare volte nella storia – ha commentato il Papa – si è potuto, come allora, quasi «toccare» concretamente l’universalità della Chiesa in un momento della grande realizzazione della sua missione di portare il Vangelo in ogni tempo e fino ai confini della terra”. Per la grande carica di speranza che ha diffuso, il Concilio fu quindi un “evento di luce, che si irradia fino ad oggi”.

Quando il Concilio fu indetto (nel 1959, tre anni prima dell’inizio dei lavori conciliari) dal beato papa Giovanni XXIII, nella Chiesa “non c’erano particolari errori di fede da correggere o condannare, né vi erano specifiche questioni di dottrina o di disciplina da chiarire”. Grande, quindi, fu la sorpresa dei cardinali presenti all’annuncio di Papa Roncalli.

Al suo discorso introduttivo del Concilio (11 ottobre 2012), Giovanni XXIII espresse la necessità di parlare della fede “in un modo «rinnovato»” e “più incisivo”, in un mondo che stava rapidamente cambiando, “mantenendo però intatti i suoi contenuti perenni, senza cedimenti o compromessi”.

Serviva una “approfondita riflessione sulla fede” e del suo rapporto con il pensiero moderno, “non per conformarsi ad esso, ma per presentare a questo nostro mondo, che tende ad allontanarsi da Dio, l’esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e in tutta la sua purezza”.

Del resto, come affermò Paolo VI durante l’omelia conclusiva del Concilio (7 dicembre 1965), già a quell’epoca “la dimenticanza di Dio” si faceva “abituale” e la persona umana tendeva a “rivendicare la propria autonomia assoluta, affrancandosi da ogni legge trascendente”.

Al tempo stesso, Papa Montini ricordava che l’uomo “quando si sforza di fissare la mente ed il cuore in Dio nella contemplazione, compie l’atto più alto e più pieno del suo animo, l’atto che ancor oggi può e deve essere il culmine degli innumerevoli campi dell’attività umana, dal quale essi ricevono la loro dignità”.

Il Concilio Vaticano II, quindi, ribadì la centralità di un Dio che “è presente, ci riguarda, ci risponde”. Quando la fede viene a mancare, insieme ad essa “crolla ciò che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e ciò che rende grande la sua umanità, contro ogni riduzionismo”, ha sottolineato Benedetto XVI.

Compito della Chiesa, ribadisce il Concilio, è quello di “trasmettere la parola dell’amore di Dio che salva, perché sia ascoltata e accolta quella chiamata divina che contiene in sé la nostra beatitudine eterna”.

A tal proposito il Santo Padre ha citato quattro Costituzioni conciliari da considerarsi come una sorta di “quattro punti cardinali della bussola capace di orientarci”: la Sacrosantum Concilium, che ricorda la “centralità del mistero della presenza di Cristo”; la Lumen gentium, che ricorda come la Chiesa mantenga “come compito fondamentale quello di glorificare Dio”; la Dei Verbum, in cui “la Parola vivente di Dio convoca la Chiesa e la vivifica lungo tutto il suo cammino nella storia”; la Gaudium et spes, sul modo in cui la Chiesa “porta al mondo intero la luce che ha ricevuto da Dio perché sia glorificato”.

Il Concilio Vaticano II è in definitiva “un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della nostra fede”. Il Papa ha infine invocato la protezione della Vergine Maria, perché “ci aiuti a realizzare e a portare a compimento quanto i Padri conciliari, animati dallo Spirito Santo, custodivano nel cuore: il desiderio che tutti possano conoscere il Vangelo e incontrare il Signore Gesù come via, verità e vita”.

di Luca Marcolivio

Come annunciata ieri dal portavoce della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, papa Benedetto XVI ha salutato oggi per la prima volta durante l’Udienza Generale i cristiani arabofoni nella loro lingua.

Il messaggio del Pontefice in arabo era: “Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti”.

Quest’iniziativa di aggiungere l’arabo alle lingue in cui vengono accolti i pellegrini che assistono all’udienze settimanale si colloca in continuità con il Sinodo sul Medio Oriente e il recente viaggio di Benedetto XVI in Libano.

Il gesto simboleggia – aveva detto ieri il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, S.J. – l’incessante interesse e la vicinanza ed appoggio del Papa ai cristiani mediorientali.

Finora, l’arabo veniva solo utilizzato nei messaggi di Natale e Pasqua dei Pontefici.