Sopra l’oceano Atlantico Testimonianza di fr. Stefano

Venga il tuo Regno!

                               04 Dicembre 2011

Carissimi amici in Cristo,

sono in aereo, nel viaggio di ritorno verso gli Stati Uniti. Ancora una volta mi trovo a vivere un momento difficile, di quelle esperienze che rendono gli occhi lucidi e ti stringono forte l’anima. E’ un nuovo capitolo della mia vita, che si sovrappone sfacciatamente al precedente – quello della mia malattia – quasi senza lasciarmi un attimo di respiro.

Questa volta però non sono io ma è la mia amata mamma a soffrire. Forse per questo il dolore si acuisce e con tutto il cuore dico che preferirei caricare sulle mie spalle anche questa croce; quanto fa male vedere chi ami così tanto lì steso su un bianco letto di ospedale, lottando tra la vita e la morte.

Tutto è iniziato proprio un mese fa, il 4 Novembre, quando all’improvviso una emorragia celebrale ha ridotto in fin di vita mamma Marilena. Dalla sua disperata richiesta di soccorso, dalle sue ultime parole prima di perdere coscienza (il suo pensiero era per Lisa) tutto ha cominciato a susseguirsi così velocemente, a scorrere come le scene di un film di cui nessuno vorrebbe esserne il protagonista: il suono della sirena, la corsa frenetica all’ospedale e poi… le parole senza speranza dei medici che sottolineano come oramai era “questione di ore”.

Più o meno è questo il quadro che mi era stato presentato nella telefonata che ho ricevuto quello stesso pomeriggio, primo venerdì del mese, nel mio centro di New York. Ancora una volta, la vita cambia in un attimo, il respiro si spezza e ti senti avvolto da un senso di impotenza.

E dopo poche ore ti ritovi nel primo volo per l’Italia, con quell’unico appello che ti senti in diritto di fare a questo Dio che ti ha dato tutto per poi togliertelo così bruscamente: “Signore, permettermi almeno di salutare per l’utima volta la mia mamma”.

Appena arrivato all’ospedale, mentre abbraccio il papà che piange ininterrottamente, ecco che la scena – come nei migliori film – cambia all’improvviso e assitiamo al primo miracolo: il chirurgo è riuscito ad intervenire, bloccando l’emorragia; una debole fiamma di speranza, alla quale però ci aggrappiamo con tutte le nostre forze, si riaccende nei nostri cuori.

Sono seguiti giorni intensi, assistendo passo a passo la precaria situazione di questa donna. Spirito forte il suo, che – come del resto in tutta la sua vita – ha continuato a lottare contro tutto e tutti per vincere anche questa nuova battaglia: contro i pareri dei medici (troppo spesso coltellate nelle nostre ferite aperte); contro la sofferenza e il dolore, per darci la speranza di ritrovare presto il suo sorriso e la sua grinta inconfondibile.

E’ stato indubbiamente per tutti noi il momento della fede, sapendo che Dio può tutto se solo lo crediamo veramente. Credere contro corrente, credere nel Dio buono anche quando sembra di percepire il contrario.

A Lui e a Maria abbiamo rivolto le nostre preghiere, le nostre suppliche. Nel Vangelo Gesù ci invita ad insistere… credo che stavolta non abbiamo desistito a mettere in pratica questo comando. E tutti coloro che si sono ritrovati “partecipi di questa vicenda” hanno potuto toccare con mano i frutti di questa incessante preghiera.

Credo sia proprio questo il secondo grande miracolo di cui siamo stati testimoni: è la catena di solidarietà che ha avvolto la mia famiglia. Penso che ciascuno di noi ha riflettuto su come questa vicenda, pur così triste, sia stata l’occasione per riavvicinare famigliari distanti (ho conosciuto per la pima volta due zii, fratelli della mamma) e consolidare tante amicizie.

Preghiere sono giunte al suo letto d’ospedale, partendo da tanti angoli del mondo: dalle varie comunità Legionarie e della Missione Belen, da gruppi di preghiera, da siti internet.

Nella preghiera incontriamo la nostra forza e grazie al sostegno di tutti non ci siamo mai sentiti soli. Ogni giorno, nell’ora in cui la mamma solitamente pregava il Rosario (8:30 della sera), ci si riunisce nel salotto di casa (25 – 30 persone di media) con la consapevolezza che questo è l’aiuto più grande che le possiamo dare. E’ il momento della condivisione, in cui ci scopriamo essere una grande famiglia, una Chiesa domestica, che soffre e gioisce assieme. Perchè non è più la storia di una persona, ma la nostra storia, storia delle nostre vite che si intrecciano e creano nodi che rimarranno per sempre.

Dopo due settimane di coma, la mamma si è svegliata. Sembra alternare momenti di debole coscienza ad uno stato di generale stanchezza. Il grave trauma subito pone un grande punto interrogativo sul suo recupero. D’altra parte piccoli segni invitano a sperare in bene.

Cosa vorrà il Signore da questa famiglia già così duramente provata? Non lo sappiamo. Ma crediamo che tutto concorre al meglio, anche se non capiamo, anche se il disegno che ci sovrasta sembra essere troppo grande…

Mentre chiediamo il terzo miracolo, quello della guarigione completa, io per primo continuo ad imparare: con orgoglio guardo a mio papà che davanti a questa situazione, diviso nell’accudire una moglie all’ospedale e una figlia disabile, lasciando il lavoro, non perde la fede e sa ancora sorridere. Che dice “siamo forti” anche quando il figlio lo lascia per rientrare negli USA. Questo suo affidarsi a Dio disarma anche me, un seminarista e religioso che ha ancora tanto da apprendere. Che con suo papà però crede che “Dio è il miglior medico e la miglior medicina”. Per tutto.

Lisa, dal canto suo, continua a diffondere il suo amore. Anche se non lo esprime a parole, chissà nel profondo del suo cuore puro quante domande ed inquetudini. Quando le ho chiesto, prima di partire, se la mamma “tornerà’”, con una certezza assoluta, propria dei bambini, mi ha risposto “si’, si’, tornerà’”. Allora io credo a lei, che è sicuramente più vicina a Dio di tutti noi e queste cose le conosce bene. Con lei tutti noi aspettiamo fiduciosi “il ritorno” di Marilena.

10 Dicembre 2011

Oggi meditavo sul Vangelo di Giovanni (Gv 21, 18), nel quale Gesù dice a Pietro “ In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”. Quanto mi riconosco in questo passaggio. Soprattutto in questo ultimo anno, quante volte mi sono lasciato cingere la veste, quante volte (il cancro, la malattia) mi hanno portato dove non volevo. Mi sono scoperto debole, in tutto dipendente da Dio. Dopo avermi dato tutto, ripeto, mi ha tolto tutto. Ma mi ha ricolmato di amore e speranza. E’ già il cento per uno.

Chi mi conosce sà quanto duro sia stato lasciare la mamma; solo la preghiera è stata la mia luce per poter guardare più in là. Ora devo completare il mio percorso clinico, con le ultime radiografie e controlli. Ancora una volta, questo sacrificio porterà i frutti attesi.

E ancora mi lascio portare, soprattutto dallo Spirito Santo, per discernere ogni giorno la sua volontà, lui è il mio superiore, il mio Padre Celeste.

Scusate la lunghezza di questa lettera, con affetto sincero, e gratitudine smisurata a quanti stanno condividendo con me questi momenti,

Fr. Stefano, LC

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