Il giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto”

Meditazione di P. Giuseppe Gamelli LC


Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale

gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui,
gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare
per avere la vita eterna?”. Gesù gli disse: “Perché mi
chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.

Tu conosci i comandamenti: Non uccidere,
non commettere adulterio, non rubare,
non dire falsa testimonianza, non frodare,
onora il padre e la madre”.
Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose

le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù

fissatolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca:
và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro
in cielo; poi vieni e seguimi”. Ma egli, rattristatosi per
quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
(Mc 10,17-22)

Non nego che questo è uno dei brani evangelici a cui sono più legato. Mi affascina e mi coinvolge molto questo giovane. E’ il ragazzo più in gamba di tutto il Vangelo. Per lo meno, era stato chiamato ad esserlo, e lui aveva tutta la stoffa e le carte in regola per riuscirci.

E’ un brano che si presta molto per una rappresentazione teatrale. Ci sono tre scene ben definite. Io mi sono permesso di presentarlo come una “tragedia”, una storia che comincia nei migliori dei modi e che finirà in pianto e in tristezza.

Atto primo

La scena si apre con una bella giornata di sole. La luce illumina la terra e già dalle prime ore dell’alba si capisce che sarà un giorno stupendo.

Gesù si prepara anche oggi per una viaggio di speranza e di salvezza: nessuno ha mai parlato con la sua autorità ed i prodigi da Lui compiuti sono sulla bocca di tutti.

Passi sempre più veloci si avvicinano alla comitiva ormai pronta per la partenza. Nel Vangelo di Matteo si parla di un giovane. Solamente i giovani hanno la fretta dell’entusiasmo e il fascino del futuro li attira profondamente. Questo giovane arriva dunque di corsa, non vuol perdere tempo, non vuol perdere un’occasione così importante per la sua vita.

“Maestro buono”. Va da sé che, o perché ne aveva sentito parlare così bene, o perché l’impatto con il Signore è stato veramente forte, fin dall’inizio questo giovane capisce di essere di fronte ad una persona “buona”. Non è soltanto un buon maestro, preparato, autoritario, eccetera: è Buono, è il “miglior” maestro. Si sta bene insieme a Lui, ci attira e ci fa sentire sereni.

A questo punto il giovane lancia la domanda più importante e, a mio parere, più bella di tutto il Nuovo Testamento: “Cosa devo fare per avere la vita eterna?”. Solamente un giovane “fenomenale” come questo poteva fare una domanda così essenziale, profonda e fondamentale. E’ la domanda di un cuore che vuole fare qualcosa di grande con la propria vita, qualcosa che sia “per sempre”, vincendo l’erosione del tempo, delle mode, del cambiamento. Per di più, non dice “aiutami a fare qualcosa di grande. Dammi una mano perché io non ce la faccio”. Ma “dimmi cosa, ed io la farò!” Quanti uomini e donne vanno incontro a Gesù per chiedere un miracolo: “Signore, se Tu vuoi puoi guarirmi” (Mc 1,40).

Questo giovane chiede una luce sicura e si impegna generosamente a farsi carico della fatica dell’impresa; non ha paura di dover spendere molto.

Immagino il volto di Gesù, tra sorpreso e soddisfatto. In fondo, quasi sempre è Lui che prende l’iniziativa in ogni incontro. E’ Lui che fa il primo passo (Zaccheo, Pietro) anche quando sembra che siano gli altri a farsi avanti (la samaritana, la Maddalena, ecc…).

Compiaciuto per un atteggiamento così positivo, disinvolto, entusiasta, senza calcoli. Apparentemente libero.

Il Maestro fa il primo invito. Elenca i comandamenti, cammino sicuro per salire in alto. Saggia questo cuore per vedere la sua bontà. Sorpresa stupenda: “tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. E’ un ragazzo splendido, con quella luce particolare negli occhi, tipica di che si è preservato dal male, rispettoso, desideroso di fare di più. I giovani sono così, non si accontentano!

Qui si chiude la prima scena. Sul palco scivola una tenda scura e in sala si accendono le luci. Abbiamo assistito ad un incontro speciale.

Atto secondo

Si spengono ancora le luci, si affievolisce il brusio della platea.

Aspettiamo e contempliamo.

Un respiro di silenzio, un sorriso e uno sguardo dritto agli occhi. Gesù penetra il cuore di questo giovane, e l’evangelista Marco ci dice: “Fissatolo lo amò”. Come deve essere stato questo sguardo, se l’evangelista, che non era neppure presente alla scena e ne viene a conoscenza soltanto anni più tardi dal ricordo dei discepoli, considera che possa essere un dettaglio degno di essere ricordato? Nei Vangeli sono pochi gli incontri in cui lo sguardo del Signore si fa così intenso e forte. Questo giovane si era “meritato” un’amicizia così profonda. “Và, vendi ciò che hai e poi torna qui”.

Ma prima ancora, leggendo il brano di San Matteo, Gesù gli dice: “Se vuoi essere perfetto…”. Qui si legge l’invito del Signore. Non è un imperativo, non si può obbligare quando si ama. Qui, troviamo tutta la libertà di cui è capace il Creatore con una creatura. Non c’è un “devi”, o un “subito”, o un “così e basta”. “Se vuoi”.

L’amore si corrisponde soltanto nella libertà. Io preferisco te, Signore, Tu lo sai, Tu sai tutto! “Tu sai che io ti amo” (Gv 21,17).

Ad un giovane come questo non si poteva fare che un invito totale come quello che il Signore ha fatto. Non siamo nel campo della mediocrità, nel dare – come tanti ricchi al tempio – del nostro superfluo. Va’, liberati dalle cose, lasciale ai poveri e poi vieni e segui me. Hai trovato il tesoro nel campo, la perla preziosa. La ragione profonda della tua vita. Hai trovato il perché ed il per chi. Hai trovato la meta.

Quanti uomini consumano la vita cercando la verità in cammini distorti, lontani, sbagliati. Quante sofferenze per coloro che bussano e trovano chiuso, domandano e non hanno risposta, chiedono e non ricevono.

Questa scena provoca scariche elettriche. Una domanda, uno sguardo, un cammino sicuro. Cosa poteva chiedere di più questo giovane, che voleva la vita eterna e che il Signore aveva trovato pronto per essere perfetto? Finalmente il tesoro nel cielo, dove tignola e ruggine non corrompono, dove il ladro non può arrivare. Dove il cuore contempla, ama e rimane completamente saziato. Tesoro nel cielo, per sempre, per tutta l’eternità!

Cala un’altra volta il sipario.

Atto terzo

Nella sala del teatro nessuno fiata, si contano i minuti per l’ultima scena. Le luci si affievoliscono di nuovo. Si ricomincia.

Chiudo gli occhi e immagino il volto di quel giovane. Il sorriso si spegne lentamente in una smorfia, gli occhi si perdono nel vuoto poco a poco. L’entusiasmo, lo slancio, lo scatto si fermano a metà corsa. Qualcosa si infrange nel suo cuore: “E’ troppo!”. Il calcolo affiora nella sua mente: “Troppo costoso, non me la sento”.

Vorrebbe dire qualcosa, ma balbetta una sorta di sospiro, di gemito. Il primo passo indietro. Il Signore continua a sorridergli e tendergli la mano dell’eternità. La comitiva rimane a guardare, stupefatta ed immobile.

Nel giovane prende più peso e consistenza il “Non è possibile. Non è giusto. Non può essere così. Il Signore si sta sbagliando.”. Il secondo passo indietro, poi il terzo e poi, con le spalle volte verso il “Maestro buono”… ormai è già lontano. Non si volterà più a guardarlo, non si fermerà nella sua “corsa lenta” verso il nulla. Non si ricrederà. Non… tornerà più indietro.

Il Signore non lo chiama, non gli dice: “Ehi, torna qui, riparliamone. Mettiamoci d’accordo. Piano piano, senza fretta. Prenditi il tempo, pensaci su. Ne riparliamo più avanti”. Il Signore continua a fissarlo, ad amarlo. Continua a lasciarlo libero.

Questo giovane se ne va via. Di lui non conosciamo neppure il nome. Non lo rivedremo più nelle pagine della storia. Il Vangelo non ce lo ripresenterà più, sappiamo soltanto che avrebbe potuto essere dei Suoi. Tutte le circostanze favorevoli per dare il risultato vincente non si rincontreranno mai più. L’attimo è fuggito, senza possibilità di ritorno.

Così vicino alla verità. Così vicino alla luce. Pochi metri per la cima più ambita. Il tesoro sfiorato con la punta delle dita. Il soffio delle “ricchezze” fa scivolare tutto lontano. Lo ricorderemo per sempre come il “giovane ricco”, il giovane condannato alla tristezza. Se ne fosse, per lo meno, andato via in pace. Avesse scelto un altro bene. Avesse vissuto sereno, felice… E invece no! La tristezza è il colore dei suoi giorni.

Avrebbe potuto essere, ripeto, uno dei Dodici. Poteva aiutare il Maestro Buono a scrivere la storia della verità. Poteva seguire “il” cammino, “la” vita. E, invece, per tutta l’eternità, nel mosaico dell’umanità, ci sarà un vuoto. Uno sterile e triste “avrei potuto”.

In fondo, questo giovane non stava cercando di seguire il Signore. Gli interessava soltanto “avere la vita eterna”. La sua vita eterna. Come se anche la vita eterna dovesse appartenere a lui, come le sue ricchezze.

Si chiude il sipario. Gli spettatori non riescono ad uscire dalla sala. Sentiamo il desiderio di capire meglio, di avere delle spiegazioni. Non c’è più tempo per una scena ulteriore. Però… proviamoci.

Atto… quarto?

Si rimane in silenzio, colpiti dal consumarsi di questa tragedia. Una storia che poteva, doveva essere a lieto fine, ed invece… Un grande temporale rovina una giornata cominciata in modo strepitoso.

Si riapre il sipario, non c’è più la scenografia in cui si è realizzato questo incontro. C’è soltanto il Signore, in un palco vuoto, che si avvicina al pubblico e guarda. Dalla sala si alza una voce: è quella di Pietro che, sopra tutti, come in altre occasioni, ripete il sentimento dei più e dice: “Maestro, e chi mai si può salvare?” (Mc 10,26).

Il peso delle ricchezze soffoca ogni tipo di risposta a Dio. La superficialità, la comodità, l’autoaffermazione, il nostro mondo, le nostre cose, il nostro modo di vedere la realtà. Il Signore risponde ancora una volta con dolcezza: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio. Perché tutto è possibile a Dio” (Mc 10,27).

Finisco qui quella che per me è una delle scene più belle del Vangelo. La leggo e la rileggo e mi commuovo. Non ci sono parole sufficienti per fare questa contemplazione. Potrebbe non finire mai. Ti lascio la lettura dei versetti seguenti, prendi il Vangelo di Marco al capitolo 19 e continua a leggere tu dal versetto 28 al 31.

Il Signore ti accompagni e ti illumini. Lasciati guidare.

(tratto dal libro “Mandami una m@il” Edizioni ART di P. Giuseppe Gamelli)

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