Testamento spirituale di un martire pakistano

In onore dei moltissimi e sempre più frequenti martiri cristiani di cui i mass media tacciono le gesta eroiche, vorrei proporre una recente testimonianza di vera fede vissuta fino alla morte per Cristo.

Firenze, 8/03/2011- L’arcivescovo di Firenze mons. Giuseppe Betori ha chiesto con una lettera al clero fiorentino di leggere durante la Messa, il ”testamento spirituale” del ministro pakistano per le minoranze religiose Shahbaz Bhatti, assassinato da fondamentalisti talebani il 3 marzo scorso a Islamabad.

”Carissimi sacerdoti, – scrive l’arcivescovo di Firenze – ritengo doveroso che nelle nostre comunità cristiane non venga lasciata cadere la testimonianza offerta dal ministro pakistano, Shahbaz Bhatti. Sulla morte di questo martire della fede cristiana e della libertà religiosa il Santo Padre Benedetto XVI è intervenuto all’Angelus di domenica 6 marzo con queste parole: ‘Chiedo al Signore Gesù che il commovente sacrificio della vita del ministro pakistano Shahbaz Bhatti svegli nelle coscienze il coraggio e l’impegno a tutelare la libertà religiosa di tutti gli uomini e, in tal modo, a promuovere la loro uguale dignità”. Mons. Betori ha disposto che ”in tutte le Sante Messe che verranno celebrate nella nostra Arcidiocesi fiorentina sabato pomeriggio 13 e domenica 14 marzo, prima domenica del tempo di quaresima, venga letto ai fedeli il ‘testamento spirituale’ di Shahbaz Bhatti. Lo potrete fare – conclude l’arcivescovo – al termine dell’omelia o, se lo giudicherete più opportuno, al termine della celebrazione, prima della benedizione finale. Lo ritengo un giusto omaggio a una cosi’ limpida figura di testimone della fede e un contributo importante per la crescita della nostra Chiesa nella fedeltà al Vangelo e alla persona di Gesù”’.

Ecco il testamento del ministro Bhatti:

“Il mio nome è Shahbaz Bhatti. Sono nato in una famiglia cattolica. Mio padre, insegnante in pensione, e mia madre, casalinga, mi hanno educato secondo i valori cristiani e gli insegnamenti della Bibbia, che hanno influenzato la mia infanzia.

Fin da bambino ero solito andare in chiesa e trovare profonda ispirazione negli insegnamenti, nel sacrificio, e nella crocifissione di Gesù. Fu l’amore di Gesù che mi indusse ad offrire i miei servizi alla Chiesa. Le spaventose condizioni in cui versavano i cristiani del Pakistan mi sconvolsero. Ricordo un venerdì di Pasqua quando avevo solo tredici anni: ascoltai un sermone sul sacrificio di Gesù per la nostra redenzione e per la salvezza del mondo. E pensai di corrispondere a quel suo amore donando amore ai nostri fratelli e sorelle, ponendomi al servizio dei cristiani, specialmente dei poveri, dei bisognosi e dei perseguitati che vivono in questo paese islamico.

Mi è stato richiesto di porre fine alla mia battaglia, ma io ho sempre rifiutato, persino a rischio della mia stessa vita. La mia risposta è sempre stata la stessa. Non voglio popolarità, non voglio posizioni di potere. 

Voglio solo un posto ai piedi di Gesù. 

Voglio che la mia vita, il mio carattere, le mie azioni parlino per me e dicano che sto seguendo Gesù Cristo. Tale desiderio è così forte in me che mi considererei privilegiato qualora — in questo mio battagliero sforzo di aiutare i bisognosi, i poveri, i cristiani perseguitati del Pakistan — Gesù volesse accettare il sacrificio della mia vita.

Voglio vivere per Cristo e per Lui voglio morire. Non provo alcuna paura in questo paese. Molte volte gli estremisti hanno desiderato uccidermi, imprigionarmi; mi hanno minacciato, perseguitato e hanno terrorizzato la mia famiglia. Io dico che, finché avrò vita, fino al mio ultimo respiro, continuerò a servire Gesù e questa povera, sofferente umanità, i cristiani, i bisognosi, i poveri.

Credo che i cristiani del mondo che hanno teso la mano ai musulmani colpiti dalla tragedia del terremoto del 2005 abbiano costruito dei ponti di solidarietà, d’amore, di comprensione, di cooperazione e di tolleranza tra le due religioni. Se tali sforzi continueranno sono convinto che riusciremo a vincere i cuori e le menti degli estremisti. Ciò produrrà un cambiamento in positivo: le genti non si odieranno, non uccideranno nel nome della religione, ma si ameranno le une le altre, porteranno armonia, coltiveranno la pace e la comprensione in questa regione.

Credo che i bisognosi, i poveri, gli orfani qualunque sia la loro religione vadano considerati innanzitutto come esseri umani. Penso che quelle persone siano parte del mio corpo in Cristo, che siano la parte perseguitata e bisognosa del corpo di Cristo. Se noi portiamo a termine questa missione, allora ci saremo guadagnati un posto ai piedi di Gesù ed io potrò guardarLo senza provare vergogna”.

(Testamento rilasciato dalla Fondazione Oasis del Patriarcato di Venezia)