Miracolo Eucaristico di Caravaca

La Presenza Reale nel miracolo Eucaristico di Caravaca

Tra i miracoli Eucaristici che rivelano la Presenza viva del Signore Gesù nell’Ostia santa ce n’è uno del tutto singolare che dimostra con grande efficacia il legame tra Eucaristia – martirio e missione, si tratta del Miracolo Eucaristico occorso a Caravaca in Spagna nel 1232.

In quell’epoca la maggior parte della Spagna era invasa dai Mori e nella regione di Murcia regnava Abu Zeyt, un principe moderato, che si proclamò indipendente dalle altre autorità musulmane. Uno zelante sacerdote don Gines Perez Chinino partì alla volta della regione Murcia per riportare alla vera fede i cattivi cristiani e convertire i Mori.

La sua predicazione ebbe una tale eco che presto fu preso e imprigionato. Dopo alcuni mesi il Principe Abu in persona visitò le carceri del suo castello e, in parte mosso a compassione per il pessimo stato in cui versavano i detenuti, in parte per utilità decise di impiegare ciascuno nella mansione che essi svolgevano prima di essere fatti prigionieri.

Li interrogò così uno ad uno, quando giunse al cospetto di don Gines si sentì rispondere che egli era il più avvantaggiato di tutti avendo un potere maggiore dello stesso Re. Incuriosito il sovrano prese a fare domande e scoprì che il sacerdote si riferiva a quella che i cristiani chiamano Messa durante la quale pane e vino diventano, per le parole del sacerdote, il corpo e il sangue del Signore.

Il Principe moro non volle credere e invitò il sacerdote a celebrare una S. Messa al suo cospetto. Don Gines gli disse che erano necessarie molte cose: paramenti, altare, offerte, ecc. Abu permise che tutte fossero procurate, cosicché don Gines principiò a celebrare, con trepidazione, la santa Messa. D’un tratto si fermò e guardandosi attorno non poteva continuare, il Principe gli chiese se per caso non mancasse qualcosa, rispose il sacerdote che sì, mancava la croce.

Al che il sovrano additando verso il cielo disse: è forse quella? Una croce ortodossa, infatti, scendeva dal cielo trasportata per mano di angeli. Gli angeli fecero intendere che la croce era stata tolta dal collo di San Roberto patriarca di Gerusalemme e che essa era fatta con il medesimo legno della croce che accolse il sacrificio del Redentore.

Una grande commozione scese su quella singolare assemblea e don Gines proseguì la celebrazione Eucaristica, all’elevazione dell’Ostia un nuovo prodigio si compì: tanto il Re moro che gli altri partecipanti videro dentro al Pane Eucaristico un bimbo di bellissime fattezze, il Cristo benedetto. Sopraffatto dalla commozione Abu Zeyl chiese di essere battezzato e si fece chiamare col nome di Vincenzo, la moglie Ayla mutò il suo nome in Elena e i due figli presero il nome di Ferdinando e Alfonso, anche i componenti della corte seguirono il sovrano nella conversione.

Oggi, a testimonianza di quel miracolo, resta la doppia croce il cui legno, intatto, sfida l’usura del tempo.

La singolarità di questo miracolo risiede nel fatto che in tutti i suoi elementi è una vera catechesi sulla Messa e in particolare sul Mistero della Presenza che la Messa realizza. Anzitutto don Gines viene imprigionato a causa della Parola annunciata: rimando alla liturgia della Parola, ma anche segno della disponibilità a morire come Cristo e per Cristo che è l’atteggiamento fondamentale del credente che si accosta all’altare. Inoltre vi è la professione di fede: egli si dichiara apertamente sacerdote di Cristo.

Nelle domande del Sultano circa la Messa e nelle risposte di don Gines con la relativa raccolta di tutti gli oggetti necessari per la divina liturgia, vi è una sorta di omelia, di insegnamento catechetico per introdurre il Moro nelle verità della Fede.

Nell’apparizione della santa Croce e del Bimbo vi è racchiuso l’intero Mistero pasquale: dal Sacrificio della Croce all’incarnazione. Il Moro viene condotto a comprendere che quel Bimbo splendido – segno di bellezza e di rinascita – visto nell’Ostia è lo stesso Cristo che fu crocifisso sotto Ponzio Pilato – contemplato poc’anzi nel crocifisso.

Il Sacrificio di Cristo, la sua beata Risurrezione e la sua conseguente Presenza Reale nel Sacramento è Mistero offerto a tutti: a “convertire” questo musulmano e i suoi familiari interviene infatti, la totalità della Chiesa. Nella croce apparsa c’è il segno dell’ortodossia, nella menzione di Gerusalemme, è presente la matrice da cui è nato il cristianesimo – il giudaismo – nel sacerdote celebrante c’è la Chiesa cattolica.

Significativo è inoltre il fatto che non si poteva dar seguito alla Messa perché mancava il crocifisso, vale a dire che la Messa è tale solo allorché realizza il mistero pasquale, che è attualizzazione del sacrificio di Cristo.

Mancava la croce e gli angeli procurarono una croce degli ortodossi, scismatici secondo la mentalità corrente di quel secolo, scismatici – forse – ma fratelli e partecipi del mistero di Cristo. Gli angeli portando un oggetto di quella Chiesa sottolinearono così che solo la Chiesa una, la Chiesa unita può essere missionaria ed evangelizzare, realizzando nel mondo quella Presenza Reale che il Signore stesso ha promesso: Che siano una cosa sola come tu Padre sei in me ed io in te.

“Oh, quanto saporoso, amabile e desiderabile è questo cibo,

che dell’uomo fa un Dio!”.

S. Bernardino da Siena