Papa Luciani, quarant’anni di misteri

Si è cominciato a parlare in questi tempi di Albino Luciani, di cui ricorrono l’anno prossimo i 40 anni dalla morte. Luciani è stato una meteora: solo 33 giorni di pontificato, che sono rimasti però nel cuore di molti. Per due motivi: per la sua evidente e innata simpatia e bonarietà e per le circostanze in parte misteriose della sua morte.

Cosa intendeva fare, quell’uomo venuto dal Veneto, per la Chiesa universale? Chi non gli lasciò il tempo di farlo? Il buon Dio, o gli uomini?

L’idea che Luciani sia stato ucciso non è soltanto una boutade giornalistica. Non è solo l’ipotesi di David Yallop e del suo best seller da 4 milioni di copie, Ci hanno creduto, più o meno, anche molti uomini di Chiesa, molti fedeli e persino dei cardinali. Giacomo Biffi, per esempio, in Memorie e digressioni di un cardinale italiano, ricorda anzitutto che Luciani non era il personaggio mellifluo che spesso ci hanno descritto. Buono sì, ma anche forte. Scrive Biffi: «Era un solido uomo di governo che non temeva di prendere decisioni coraggiose e non era di quelli che lasciano correre. Purtroppo non ha avuto il tempo di dimostrarlo…».

A questo punto l’ex cardinale di Bologna ricorda che Luciani fu l’unico vescovo italiano a prendere provvedimenti contro la Fuci, che si era schiarata per il divorzio. Poi, descrivendo la morte di Luciani, Biffi non si espone, ma sembra lasciare intendere di avere qualche sospetto. Ricorda infatti che il cardinale di Milano, Colombo, ricevuta la notizia della morte del papa, ebbe a confidargli: “Ma se gli ho parlato ieri sera!… Nulla poteva far presagire questa immane sciagura… Giovanni Paolo I mi parlava personalmente e a lungo con tono normalissimo, dal quale non traspariva nessuna stanchezza e nel quale non era possibile arguire qualsiasi malore fisico”.

Biffi ci tiene dunque a ricordare, con molta cautela, ma quasi facendole sue, le perplessità e lo stupore del cardinale Colombo. Al quale, come ricordava Marco Tosatti su La Stampa parecchi anni orsono, intervistando don Giovanni Gennari, Luciani aveva esposto alcune sue idee di governo piuttosto chiare: Luciani voleva rimuovere dei prelati progressisti come il segretario di Stato Jean Villot, Ugo Poletti e Agostino Casaroli, e dare più spazio a personalità di “conservatori” come il cardinal Pericle Felici, grande ammiratore di san Pio X e il cardinal Giovanni Benelli. Non è forse un caso che tutte le ricostruzioni che portano avanti dei sospetti sulla morte di Luciani, tirino in ballo proprio Villot, e, con lui, Paul Marcinkus.

Eh sì, perchè un’altra idea che Luciani aveva di sicuro era proprio la radicale riforma dello Ior. Infatti, come ricorda lo storico Pietro Melograni in Dieci perchè sulla Repubblica, conosceva i rapporti tra lo Ior, Marcinkus, Sindona e Calvi, ed aveva avuto modo di scontrarsi con questo grumo di potere quando era patriarca, causa l’acquisto, da parte di Calvi e ad insaputa del clero veneto, della Banca Cattolica del Veneto.

Luciani era un uomo del popolo, e in quegli anni in cui il marxismo faceva presa anche tra i cattolici, aveva ben chiaro che l’amore per la povertà e per i poveri della Chiesa di Cristo non poteva continuare ad essere oscurato dalle malefatte della banca vaticana. Verrebbe da dire, andando un po’ oltre con la fantasia, che se Luciani non ce la fece, con lo Ior, perché morì prima, neppure Benedetto XVI ha avuto successo: pur avendo chiamato un banchiere cattolico integerrimo come Ettore Gotti Tedeschi, deciso a rompere con il passato, si è visto tradito dal suo segretario di Stato, Tarcisio Bertone, e ha assitito impotente al defenestramento di colui al quale si era rivolto, quasi in concomitanza con la sua abdicazione! E del resto, da allora allo Ior non è successo nulla di veramente decisivo…

Tornando a Luciani, alcuni anni fa Aldo Maria Valli, nel suo Il forziere dei papi. Storia, volti, misteri dello IOR, rammentava una frase del cardinale brasiliano Aloisio Lorscheider: «Lo dico con dolore, il sospetto rimane nel cuore, è come un’ombra amara, un interrogativo a cui non si è data piena risposta».

Un sospetto che non è mai sparito del tutto, se Giovanni Vian, che certamente non ha interesse a fornire versioni imbarazzanti, conclude così la sua breve biografia di Giovanni Paolo I (Dizionario biografico degli Italiani, Treccani): «Giovanni Paolo I morì nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1978, quasi certamente per una patologia dell’apparato cardiocircolatorio, in circostanze che non sono state ancora completamente chiarite».

Il mistero sulla morte di Luciani è amplificato da due fatti. Il primo: è risaputo che egli aveva intenzione di fare chiarezza anche sui prelati iscritti alla massoneria. Due anni prima, esattamente il12 settembre del 1976, la rivista OP (Osservatore Politico) del giornalista Mino Pecorelli, ucciso misteriosamente tre anni dopo, nel 1979, aveva infatti pubblicato una lista di “presunti prelati massoni”, tra i quali i già citati Villot e Poletti e il cardinale Sebastiano Baggio. Il dossier aveva fatto molto scalpore in Vaticano, e non è escluso che la decisione di allontanare Villot e Poletti, e di richiamare a Roma, al posto di Villot, quel cardinal Benelli cui Paolo VI aveva dato il compito di indagare proprio sui prelati massoni, fosse legata anche a questo. Quanto a Baggio, egli sarà, nei 33 giorni di pontificato di Luciani, uno suo strenuo e tenace oppositore.

Il secondo fatto che rende avvincente e misteriosa la morte di Luciani è il seguente: nel 1977, cioè 60 anni dopo le apparzioni di Fatima, Luciani incontrò suor Lucia. Secondo fonti attendibili, ne ricevette un avvertimento: la Chiesa sarebbe passata attraverso una penosa apostasia, una immensa crisi. Quindici anni dopo la morte del fratello papa, nell’agosto 1993, Edoardo Luciani, ebbe a confidare al settimanale cielino Il Sabato: «Io penso che il suo presagio di una morte repentina, da Papa, fosse legato ad un lungo colloquio che Albino ebbe con l’ unica veggente di Fatima ancora in vita. Incontrò suor Lucia l’ 11 luglio 1977, in Portogallo. Giusto un anno prima del Conclave da cui uscì papa. Mio fratello ne uscì sconvolto.

Ogni volta che nel colloquio con noi ne faceva cenno, diventava pallido in volto. Come se un pensiero oscuro lo turbasse nel profondo. Tutti noi ne siamo rimasti sempre impressionati. Ora, a posteriori, mettendo insieme tutti gli accenni fatti da mio fratello in vari colloqui, è tutto chiaro. Quel giorno la veggente gli disse qualche cosa che riguardava non solo la Chiesa, ma anche la sua vita, il destino che Dio gli preparava. Potrei aggiungere altri particolari, ma preferisco tenerli per me, non so neanche perché abbia confidato questi pensieri…».

Morto di morte naturale; ucciso da qualcuno che voleva fermarlo; oppure semplicemente schiacciato dalle sue infermità, dalle responsabilità, e dall’opposizione sorda, anch’essa testimoniata da innumerevoli fonti attendibili (si veda Benny Lay nel suo Il mio Vaticano), che gli fu opposta subito dopo l’elezione da alcuni potenti curiali che temevano la svolta?

Quasi impossibile saperlo, ma questo non impedisce di approfondire cosa pensasse davvero Luciani del suo tempo e della Chiesa del suo tempo, al di là delle ricostruzioni di comodo. E cosa pensasse, per esempio, dell’encilcica tanto dibattuta, Humanae vitae, uscita proprio dieci anni prima della sua elezione. Lo vedremo in una prossima puntata, ricorrendo agli scritti dello stesso Luciani e ad alcuni testimoni ancora viventi.

di Francesco Agnoli  tratto da La Nuova Bussola Quotidiana