La nuova frontiera dell’orrore

Vivete in un Paese dove l’aborto è proibito o comunque imitato a certe condizione? Niente paura. Vi basta un connessione internet, 90 euro e un indirizzo postale. Riceverete comodamente a casa un Dhl che vi consegnerà mentre aspettate sul divano un kit per abortire composto di una sola confezione di RU 486. Si chiama Women on Web e dal nome sembra un banalissimo blog riservato al gentil sesso. Invece è il più redditizio e spietato “Amazon” per abortire.

Un abortificio che sfrutta l’E-commerce come strumento di lavoro.

Negli anni scorsi anche la Nuova BQ si era occupata di questo diabolico sistema di ammazzafeti [ QUI ] ma il servizio era appena agli inizi. Ora siamo andati a controllare il meccanismo con il quale funziona e abbiamo provato ad ordinare una confezione di kill pill. Ebbene: ci siamo riusciti, arrivando ad un passo dalla spedizione della confezione. Soltanto non abbiamo effettuato il pagamento tramite bonifico o carta di credito, ultima delle 25 richieste da compilare prima di ottenere il prodotto.

Abortire non è mai stato così facile. L’ecografia? Non serve, basta una semplice autocertificazione e il gioco e fatto. Le verifiche? Zero. D’altra parte si presuppone che nessuno ordini una RU per scherzo. E se a ordinarla è un fidanzato vendicativo che vuole fare del male a una donna appena rimasta incinta? Non lo si saprà mai. Se anche la ragazza dovesse avere delle complicazioni le basterà recarsi nell’ospedale più vicino. E nessuno saprà mai che ha assunto una pillola ammazza bimbi. Il tutto sembrerà un aborto spontaneo. Una bugia per una buona causa, insomma.

Il sito è diviso in due parti. A sinistra la richiesta di pillola abortiva, a destra le storie di chi ha già abortito con questo sistema. La foto inziale mostra delle donne sorridenti. Entri dentro e trovi per ogni storia una case history con foto generiche, un altrettanto nome generico e lo stato di provenienza, oltre che la religione professata. Dalle storie raccontate non c’è nulla di cui rallegrarsi. La maggior parte delle donne, soprattutto asiatiche e sudamericane, raccontano di un dramma che ancora le fa sanguinare, ma anche di una scelta obbligata, dalla povertà o dalla paura.

Non c’è filtro, non c’è alcun tentativo di aiutare una donna. Infatti la seconda domanda chiede se “hai intenzione di dare il bambino in adozione?”. Una semplice domanda, per lasciare il minor numero di dubbi possibili e mettersi a posto la coscienza. E la seguente ti invita a valutare i contraccolpi psicologici. “Se hai dubbi consulta un amico, uno psicologo o un parente”. Rischi per la salute nell’utilizzare la kill pill? Nessun cenno. Almeno il bugiardino delle medicine è completo anche degli effetti indesiderati.

Superata la fase della messa in guardia con un “sì, posso controllare i miei sentimenti su questa decisione”, si passa a costruire l’anagrafica del cliente. Bisogna scegliere un Paese. Proviamo con l’Italia sapendo però che in Italia l’aborto è legale e l’accesso al Misoprostol pure (è il principio attivo della RU 486). Infatti il sito ce lo fa notare e ci invita a rivolgersi alle strutture sanitarie di casa.

Bisogna scegliere un Paese dove la pratica è censurata. Una planisfero colorato ti indica agevolmente quali sono i Paesi da semaforo verde, quelli da giallo e quelli da semaforo rosso.

L’aborto è illegale o limitato a certe condizioni principalmente in Sud America, Africa e sud est asiatico. Scegliamo il Cile, dove è in corso una aspra battaglia parlamentare per regolamentare l’aborto. Ci chiedono se abbiamo fatto un’ecografia, diciamo di no.

In rapida sequenza ci chiedono: da quanto siamo incinta, se possiamo raggiungere un ospedale in meno di un’ora, se abbiamo dispositivi intrauterini, malattie, allergie a Misoprostol, Mifepriston e Prostaglandina, più eventuali insufficienze renali o cardiache e altre malattie tipiche da ceck up sanitario.

Risposto no a tutte le domande si passa alla gravidanza: ci chiedono l’età (27 anni) e quando è stato il nostro ultimo giorno di mestruazione: considerato che siamo al 20 maggio optiamo per il 1 aprile, sperando che il computer ci fermi in tempo e ci scopra come dei burloni. Ma il computer è tonto e passa oltre.

Il dialogo con il sito è molto stretto: “Perché vuoi abortire?” “Perché non ho soldi”. Poi altre domande tecniche sulla gravidanza in corso. Alla fine della breve intervista ci comunicano le istruzioni del medico, come usare il contenuto che sarà composto da una confezione di Mifepristone (200 mg) e sei di Misoprostol (200 mcg), la posologia e gli effetti indesiderati. Su questi ultimi ci si limita a mettere in guardia che l’utilizzo del “farmaco” produrrà una forte emorragia che potrà durare anche 15 giorni. E se l’emorragia è forte? Possono servire delle trasfusioni di sangue, ma niente paura, tutto si svolgerà per il meglio.

Accettiamo tutte le pratiche che ci informano di aver letto e di essere consapevoli etc…

A questo punto dobbiamo scegliere la nostra identità. In un batter d’occhio diventiamo Ana Mapuche, di 27 anni, residente in Avenida Josè de Sucre ad Antofagasta, nel nord del Cile. Inseriamo il codice postale, il numero di telefono che prendiamo in prestito dal municipio di Antofagasta e l’email. Una volta fatto tutto proseguiamo e il sito ci informa che la nostra registrazione è andata a buon fine. Ora dobbiamo soltanto pagare, con carta di credito o bonifico bancario, e il kit sarà nostro. Bastano 90 euro, ma tranquilli. Si tratta tecnicamente di una donazione, quindi, se hai difficoltà economiche il pagamento può anche essere condizionato da un colloquio con gli uffici della Women on web.

Dietro questo sito c’è la Women on Web International Foundation con sede ad Amsterdam. Una fondazione per un servizio eminentemente commerciale? Si vede che in Olanda funziona così.

Ovviamente non avendo proceduto al pagamento non accadrà nulla, ma l’esperimento è stato fatto principalmente per vedere se ad un certo punto sarebbe intervenuto almeno un consulto medico, un contatto con un dottore che potesse spiegare meglio o accertarsi delle nostre condizioni. Ci siamo fermati sulla soglia del pagamento, l’ultima tappa per portare a termine l’omicidio via e-commerce di un bambino. Nessun medico ci ha chiesto nulla. E’ probabile che la telefonata di un addetto possa arrivare, anche se non è una prassi, ma sarebbe dall’altra parte del mondo, senza alcun contatto con la storia clinica della paziente. Una visita telefonica come quelle che faceva il dottor Guido Tersilli nel Medico della mutua. L’arrivo del Dhl sarebbe poi stata una pura formalità.

Così in questo modo migliaia di donne tutti i giorni abortiscono nei paesi dove l’aborto è illegale. Ovviamente di considerare questa pratica a sua volta illegale non se ne parla nemmeno. Si fa filantropia in attesa che i Paesi retrogradi si adeguino. In fondo, come scritto nelle storie di chi ha già abortito, anche questo è un atto di amore.

tratto da La Nuova Bussola Quotidiana