Maria Romero Meneses – Attorno al suo sorriso fiorirono miracoli

Maria nacque nella grande e bella casa dei Moreno nella città di Granada, terz’ultima di tredici tra fratelli e sorelle, circondata da una nuvola di affetto, coccolata dalla mamma e dai servi. Non poteva nemmeno pensare, nei primi dieci anni di vita, che lontano dalla sua casa, nei sobborghi, c’erano bambini denutriti e stenti, ben diversi da lei. Ma nel 1912, a Granada, giunsero le prime Figlie di Maria Ausiliatrice, che con delicatezza l’avrebbero messa in contatto con quest’altra faccia della realtà umana.

Due anni dopo, dodicenne, Maria Romero entra nel loro collegio, e manifesta immediatamente due caratteristiche che l’accompagneranno per tutta la vita: è contenta di stare dove la mettono, sa trovare la felicità anche in un cantuccio; e ha un misterioso ma realissimo contatto con il Signore. Una febbre reumatica l’inchioda a letto per quasi tutto l’anno scolastico, si aggrava fino a far borbottare al medico: «Questa piccina sta morendo». Ma lei dice con serenità: «So che la Madonna mi guarirà». E così avviene all’improvviso, e lei torna a scuola come se niente fosse accaduto.

La sua vocazione matura come un frutto bello, ma normale.

A 18 anni si reca in San Salvador per il postulantato, a 19 anni riceve l’abito delle FMA, compie due anni di noviziato e a 21 anni pronuncia i voti. La figlia del ricco fa voto di povertà, la ragazza dorata che cento ragazzi sognavano di sposare fa voto di verginità, la giovane signora a cui i servi erano felici di obbedire, fa voto di obbedienza: si dona tutta a Dio. E Dio continua a parlarle. La novizia Mercedes Barberena si è sentita dire dalle superiore: «Deve tonare in famiglia. Ha troppo poca salute». Mercedes si sfoga con Maria, e lei le dice tranquilla: «Al di sopra di tutti c’è Dio. Tu non te ne andrai, farai i voti e diventerai Figlia di Maria Ausiliatrice». Così si verificò. Suor Mercedes lo raccontava ancora nel 1985, quand’era FMA ormai da 59 anni.

Durante il noviziato, Maria Romero fu maestra di canto, e lavorò all’oratorio festivo. Fu lì che incontrò per la prima volta, con un impatto che la lacerò, le ragazzine poverissime, denutrite, affamate. In esse, come nell’Eucaristia, c’era Gesù che la chiamava. Non sapeva ancora come rispondere. Lo saprà presto.

A 28 anni torna a Granada, e assiste impotente al crollo finanziario della sua famiglia. Una garanzia sbagliata, fatta a un falso amico, porta di colpo in casa Romero la povertà. Papà cade gravemente ammalato, la mamma deve affrontare una vita incerta e disagiata. Fortunatamente i fratelli e le sorelle sono ormai tutti grandi.

L’oratorio come patria

Quando compie 29 anni, l’obbedienza la manda a San José di Costa Rica, insegnante di musica e di pittura nel collegio dove sono ragazze di buona famiglia, e assistente all’oratorio dove invece si riversano le ragazze emarginate dei sobborghi, senza lavoro e senza futuro. Suor Maria non sa ancora che quelle ragazze povere, le loro famiglie ammassate nelle baracche della periferia, saranno la sua nuova patria per 48 anni, fino alla morte.

Costa Rica è la repubblica più piccola del Centro America: grande come due volte la Sicilia, in quel momento ha un milione e mezzo di abitanti (nemmeno la popolazione di Milano). Ha un governo democratico, ma i poveri e i disoccupati sono numerosissimi.

Suor Maria forma tra le sue allieve un gruppo di catechiste, e le manda ad esplorare i sobborghi, a tentare qualche lezione volante di catechismo. Tornano un po’ disanimate: «Ci sono solo tugùri, madre. Tetti di latta, pareti di cartone, pavimenti in terra battuta. E ci sono famiglie ammassate in un solo ambiente, frotte di bambini e di cani. Non hanno lavoro, né vestiti, né viveri. Abbiamo parlato di Gesù. Ci ascoltavano apatici. Una mamma ci ha detto: “Gesù va bene. Ma il latte per i miei bambini chi me lo dà?”».

Suor Maria parla a lungo con le sue catechiste, raduna viveri e vestiti. Nel giorno di Natale 1939 inizia con loro la «piccola missione»: «Andremo nelle case. Daremo una mano a pulire, ordinare. Porteremo vestiti e cibo. Ma ricordiamoci tutte che se portiamo latte e stoffa, ma non portiamo Gesù, lasceremo quei nostri fratelli più poveri di prima».

La «piccola missione» inizia così quasi dal niente, e prende uno sviluppo enorme, incalcolabile, come quello dei granello di senapa di cui parla Gesù nel Vangelo.

Meraviglie e urgenze

Le catechiste si spargono a due a due nei sobborghi, offrono cibo e sorriso, augurano Buon Natale alle mamme a cui danno una mano a pulire la casa, ai bambini che aiutano a lavarsi bene, ai malati mentre rimettono a posto i loro pagliericci. E pregano con tutti. Da quel giorno, le catechiste tornano da suor Maria raccontando meraviglie e domandando nuovi aiuti con urgenza. Suor Maria, che continua a insegnare musica e pittura lungo il giorno, ogni sera e nel sabato e nella domenica si ritrova con le sue «piccole missionarie» a concretizzare nuove realizzazioni. La prima è la «stanza dei poveri». Ricevono vestiti e cibo dalle famiglie delle collegiali, confezionano pacchi e pacchetti, fanno «ore di riflessione e di preghiera».

Una sera due ragazze raccontano che tra le casupole lungo il fiume hanno trovato una frotta di bambini che non sanno chi è Gesù, chi è Maria SS. Occorrono lezioni di catechismo per prepararli alla prima comunione, se non addirittura al battesimo. Si discu­te, si prega. Poi suor Maria decide di iniziare gli oratori festivi nei sobborghi e nei villaggi periferici. Parla alle alunne della scuola, alle oratoriane più grandi. Con la benedizione del vescovo e della superiora si comincia. Otto oratori nel primo anno, poi quattordici… Arriveranno a trentasei!

Sul pullman che accompagna le piccole missionarie sale anche suor Maria, che passa le sue domeniche ora in un oratorio, ora in un altro.

Negli oratori si radunano tante ragazze, e con esse tante situazioni difficili. Bisogna far catechismo e fare carità. Ma la scatola di cartone che per suor Maria funziona da cassaforte non è mai vuota. Arrivano tanti che hanno bisogno, e ugualmente tanti che portano offerte. Spaventata da pettegolezzi, la direttrice chiama suor Maria e le dice che è meglio che non chieda più in giro aiuto per gli oratori. Suor Maria obbedisce tranquilla, e le offerte continuano ad arrivare da sole senza che nessuno chieda.

La santa acqua del rubinetto

E arriva anche altro. Nel 1955 un centinaio di famiglie dei sobborghi riceve regolarmente aiuti in viveri e vestiti. 1 fanciulli degli oratori che ricevono pane e catechismo sono circa cinquemila. Ma i malati? Che fare per i malati poveri che non hanno né medici né medicine? Suor Maria sogna un grande dispensario, ma intanto che può fare? Si sfoga con la Madonna. Le dice con la confidenza di sempre: «Tu a Lourdes hai fatto scaturire un’acqua che guarisce. Perché questa preferenza per Lourdes? Noi siamo tanto lontani, non ne possiamo approfittare. Ma tutte le acque del mondo sono tue, anche quella di questo rubinetto. Tu sei la Regina del mondo.

E allora fammi questo favore: fai guarire i malati anche con quest’acqua qui». E con fede comincia. C’è un catechista missionario, Leonardo, che è a letto con febbre, tosse e mal di gola. Senza di lui un oratorio rimarrà scoperto. Lo manda a chiamare da sua sorella. Quando lo vede con i brividi addosso apre il rubinetto con un bicchiere in mano: «Bevi con fede, Leonardo. E dopodomani vieni per l’oratorio «Ma io ho l’influenza». «Vedrai, vedrai». La sera Leonardo è guarito, e domenica è a dirigere il suo oratorio. Suor Maria dice grazie alla Madonna, e continua a usare l’acqua del rubinetto come fosse a Lourdes. La mamma di un’ex-allieva è gravissima, con una fistola cancerosa in gola e 82 anni di età. Con l’acqua della Madonna presa a cucchiaini, la fistola e il cancro se ne vanno. La vecchietta riprende a venire a mettere ordine tra i vestiti dei poveri. Un bambino travolto da un’auto ha il cranio sfondato, è in fin di vita. La mamma corre da suor Maria. Torna con una bottiglia di povera acqua di rubinetto. Ma appena gli bagna la fronte, il suo bambino apre gli occhi. Il terzo giorno torna a parlare, e l’ottavo giorno è guarito. (Ora è laureato, e sua mamma Lidia continua a raccontare di quella bottiglia di acqua di rubinetto).

I fatti si moltiplicano, la gente povera corre per avere «l’acqua della Madonna». L’Ispettrice, impressionata, dice a suor Maria che è meglio smettere quella distribuzione. Suor Maria obbedisce. Ma un’ex-allieva, che ha la mamma gravissima e non riesce a ottenere l’acqua, disperata l’attinge da un rubinetto qualsiasi della casa: «Se la Madonna ha benedetto quest’acqua, che differenza fa un rubinetto o l’altro?». L’ammalata beve e guarisce. Suor Maria è informata e sorride: «Che bellezza! Ora tutti potranno prendere l’acqua benedetta dalla Madonna, e io potrò tornare alle mie catechiste missionarie».

Un giorno, mentre fa scuola, suor Maria guarda dalla finestra e dice: «Questo terreno, fra qualche anno, sarà un grande edificio e si chiamerà casa dei poveri. Vi sarà anche un dispensario medico. Lì i poveri avranno vitto e lavoro, e sarà il rifugio per molte giovani orfane, sole o senza casa. E Gesù e Maria avranno una cappella». Una ragazza, Maria Lourdes, le chiede stupita: «Chi le darà tanto denaro?». E lei tranquilla: «La Madonna si incaricherà di tutto».

Una stanza per consolare

La costruzione inizia puntualmente nel 1958, e puntualmente, come tutte le opere di Dio, subisce ostacoli, malevolenze, rinvii, modifiche. Ma ora è la, grande e bella, e compie tutte le funzioni che suor Maria «vide» guardando da una finestra durante un’ora di scuola. Pian piano (come avvenne nella vita di Don Bosco) persone povere e disperate cominciarono a cercare suor Maria per parlarle. E poco per volta tutto il suo pomeriggio fu mangiato dal dolore che cercava conforto. Venivano a esporre problemi, chiedere consiglio, sfogare il proprio dolore. Suor Maria non faceva lunghi discorsi: Dio passava attraverso il suo sguardo buono, il suo sorriso, la sua preghiera. E persone traviate, incredule, prigioniere dell’alcool e della droga, famiglie sull’orlo della disperazione, ritrovavano la via della pace e della fede.

Dopo la sua morte ci furono molte persone che raccontarono fatti strani, bellissimi, che suor Maria aveva loro proibito di raccontare fino a quel momento. Tra le altre, Maria Luz Cubero raccontò che un giorno, mentre lavorava con una compagna vide suor Maria nell’orto, che innaffiava una pianta di rose e diceva ai fiori: «Siete rose bellissime, ma le mani di Colui che vi ha fatto sono ancora più belle e più miracolose». Mentre così diceva, Maria Luz e la sua compagna videro le rose curvarsi verso la faccia di suor Maria, e accarezzarla, anche se non c’era un filo di vento.

Delle rose che accarezzano per un attimo il volto di una suora, potrebbero essere un miracolo. Ma le mani di una suora che per 48 anni si sono curvate ad accarezzare il volto dei bambini poveri e smunti, a confezionare pacchi di cibo e di vestiti per i poveri; le labbra di una suora che per ore e ore ogni giorno hanno ridato la speranza e la pace a persone sull’orlo della disperazione; la vita di una suora che si è spesa giorno dopo giorno per l’amore dei suoi fratelli, delle sue sorelle e del suo Dio, sono un miracolo certo, e infinitamente più grande.

Tratto da Donboscoland – Santità Salesiana