Rilassatevi, nostra figlia Anna è una buona notizia

«Se hai una giornata un po’ down, ti consiglio un’overdose di RisatAnna prima e dopo i pasti». Me lo scrive il papà di Anna e oggi ho proprio bisogno di seguire il suo consiglio. Apro il video che mi ha inviato e una bimba di quasi due anni mi travolge con una risata contagiosa. Non solo ride, Anna, ma “parla”. Lo fa ogni giorno da una finestra che il papà Guido Marangoni e la mamma Daniela Pipinato hanno aperto su Facebook. Ma fate attenzione, perché Buone notizie secondo Anna può creare dipendenza: è ironica, spiritosa, sdrammatizza.

Creata da meno di sei mesi sul social media più utilizzato in Italia, “piace” già a oltre 10 mila persone e ha accumulato 2 milioni di visualizzazioni. Parla in modo esplicito della sindrome di Down. Perché Anna, come dice lei stessa in un fumetto, ha un «X factor» in più, in ogni singola cellula. Papà Guido, che oltre a essere ingegnere informatico è anche attore comico per passione, ha scelto un umorismo delicato per parlarne.

E, con l’approvazione della moglie Daniela, psicologa, e delle altre due figlie – Marta, 16 anni, e Francesca, 13 – ha coinvolto in questa avventura anche vari amici attori. Il 22 marzo il teatro Verdi di Padova accoglierà un’edizione speciale di Zelig, Anna with friends, in cui i comici del famoso spettacolo televisivo saranno affiancati dai ragazzi dell’associazione Down Dadi e, naturalmente, da Anna. Lo show celebrerà anche la Giornata mondiale della sindrome di Down del 21 marzo, il cui tema quest’anno è My friends, my community («I miei amici, la mia comunità»).

Guido, com’è nata l’idea di aprire Buone notizie secondo Anna su Facebook?

«Da un messaggio di papa Francesco, quello per la Giornata mondiale delle comunicazioni del 2015. Il Papa sottolineava il fatto che bisogna re-imparare a raccontare, non limitandosi a produrre e consumare informazione. A un certo punto ha detto che “a proposito di limiti della comunicazione, hanno tanto da insegnarci le famiglie con figli segnati da una o più disabilità”. Mi sono sentito chiamato in causa e abbiamo aperto la pagina Facebook. A Credere posso confessarlo: avrei voluto chiamarla Vangelo secondo Anna. Poi ho scelto un’espressione più laica, ma il significato è lo stesso».

A volte si dice che una persona “soffre” della sindrome di Down, ma Anna ride sempre!

«Quando aspettavamo Anna, tutte le informazioni mediche che trovavamo sul web erano orientate a “eliminare il problema”, per dirla in modo brutale. È difficile avere informazioni da un punto di vista “umano”, oltre che scientifico, ed è difficile trovare qualcuno che dica che avere un bimbo con la sindrome di Down non è una disgrazia! Abbiamo quindi deciso di occupare noi questo “vuoto” e di farlo in modo ironico, comico… un po’ perché è un filone che a me piace molto, ma anche per dare alla disabilità una dimensione più vicina, facendo capire che ci si può scherzare su, dando nel contempo un messaggio. E il messaggio che traspare dalla pagina di Anna è quello di una felicità sotterranea… semplicemente perché siamo felici di lei, e della nostra famiglia».

Come avete reagito quando avete saputo che la vostra bambina aveva la sindrome di Down?

«Ci avevano anticipato che c’erano dei valori non nella norma. Siamo entrati nella stanza dell’ospedale di Padova per il colloquio preparandoci al peggio. Quando abbiamo saputo della sindrome di Down ci siamo sentiti quasi sollevati, perché fra le varie forme di disabilità ci è sembrata quella più affrontabile. Ma il vero colpo di genio l’ha avuto mia moglie. Alla dottoressa ha chiesto: “Mi scusi, volevo sapere se nostro figlio è femmina o maschio”. Lei ci ha guardato e ci ha detto: “Forse non avete capito bene, vostro figlio è Down”. E lei: “Questo l’ho capito benissimo, vorrei solo sapere se è maschio oppure femmina”. In imbarazzo la dottoressa si è messa a sfogliare le carte e ci ha detto: “Femmina”. A quel punto non mi sono più trattenuto e ho detto a mia moglie: “Dai, Daniela, nemmeno questa volta siamo riusciti a fare il maschio!”».

Non avete avuto momenti di dubbio, di tristezza?

«Certo, siamo arrivati ad avere quella reazione perché in un certo senso eravamo preparati. Ma abbiamo anche pianto e avuto paura: passaggi che abbiamo scelto di affrontare come famiglia, comunicando a Marta e Francesca che era in arrivo una sorellina e che avrebbe avuto la sindrome di Down. Sono state loro a trasmetterci una forza incredibile perché hanno portato i nostri pensieri a Sara, una nostra amica di 9 anni con la sindrome di Down che è davvero straordinaria. Poi a me, Guido, sono anche risuonate le parole che avevo sentito molti anni prima da Madre Teresa».



Ha incontrato Madre Teresa?

Nel frattempo è arrivata Daniela, di ritorno da una seduta di fisioterapia con Anna. «Sì, ci conoscevamo già», interviene lei. «Eravamo a un campo scuola, a Roma. Avremo avuto 17 anni». Continua Guido: «Ci portarono a trovare le Missionarie della Carità nella loro casa di Roma e, per puro caso, Madre Teresa era lì. Io, un po’ più spudorato degli altri, ho avuto il coraggio di chiederle un autografo. Lei mi ha scritto su un’immaginetta “God bless you” (Dio ti benedica) e poi, guardandomi negli occhi mi ha detto: “Quando diventerai padre, non avere paura”. Negli anni quella frase mi è tornata in mente spesso, mi sono chiesto più volte che significato potesse avere. In ospedale, mentre la dottoressa parlava io mi dicevo: “Ecco, ora ci siamo”».



Quanto è importante per voi la fede?

Guido: «È fondamentale. Non abbiamo però accolto Anna perché siamo dei bravi cattolici o per dogma, ma per gli incontri che abbiamo fatto: con altre famiglie, con persone speciali, che ci hanno mostrato come la disabilità, se accettata, possa cambiare il cuore. E poi è arrivata lei, Anna. Ed è… semplicemente Anna! Da quando c’è non abbiamo avuto più nessun momento di sconforto. Non sto dicendo che ci sia da augurarsi una disabilità, ci mancherebbe, ma che la persona, tua figlia, viene prima delle difficoltà che può avere».

Daniela: «Per me la fede in quei momenti si è tradotta quotidianamente nella frase “ci affidiamo, da soli non possiamo farcela”, tanta era la paura legata al futuro. Quando sei incinta, anche se i medici parlano con correttezza scientifica, c’è una pressione perché ci pensi almeno tre volte prima di portare avanti la gravidanza. Ma tutto questo parte da una nostra premessa, e cioè che il disabile sia destinato a essere una persona infelice. Allora come provocazione io direi: guardiamoci attorno. I nostri adolescenti sono felici? È sbagliato generalizzare, sia in un senso che nell’altro. Prima di scegliere se abortire o no, bisognerebbe che, oltre all’informazione tecnica, fosse data ai futuri genitori la possibilità per esempio di conoscere una famiglia con un bambino con la sindrome di Down. La percezione cambierebbe completamente. Perché ci sono di sicuro problemi da affrontare – i limiti di apprendimento, quelli psicomotori – ma c’è anche l’altro lato della medaglia. Se in quei momenti, in cui tocchi con mano tutta la tua fragilità e impotenza, ti vengono comunicati solo gli aspetti negativi, per una coppia che non ha degli esempi concreti davanti a sé e non è supportata dalla fede, la tentazione dell’aborto può farsi spazio».

In che senso la disabilità può cambiare il cuore?

Daniela: «Stamattina ero con Anna nella sala d’attesa dell’associazione La nostra famiglia insieme ad altri genitori con i loro bambini che erano lì per diversi trattamenti. Mi sono chiesta come mai si respirasse una serenità che non trovo in altri contesti. Mi è venuto da pensare che c’è un segreto di fondo. In altre situazioni, per esempio nelle riunioni a scuola, riscontro quasi sempre insofferenza, insoddisfazione. Perché i genitori sono così infelici? C’è qualcosa che non torna».

Come se lo spiega?

Daniela: «Da psicologa mi dico che, probabilmente, con un figlio disabile si entra in un orizzonte di accettazione. Dopo le inevitabili crisi e paure, impari ad accogliere tuo figlio così com’è e a relativizzare i problemi della vita. Invece ho l’impressione che dai figli ci sia sempre un aspettarsi “qualcosa di più”, un voler far raggiungere al figlio un obiettivo che è del genitore, entrando così in un circuito di aspettative e relative delusioni. Con un bimbo disabile rinunci in partenza a un’illusione di perfezione, lo incoraggi a raggiungere i suoi, di obiettivi. E gioisci di ogni sua conquista. Il problema è che si dovrebbe fare così con ogni figlio! Anna ci sta aiutando a capirlo».

Testo di Emanuela Citterio

Foto di Beatrice Mancini

Tratto da Credere