Gli embrioni “difettosi” si auto-riparano

Gli embrioni “difettosi” daranno certamente origine a bambini altrettanto “difettosi”? Nessun genetista si sentirebbe di assicurarlo, eppure la vulgata corrente è che se dalla diagnosi prenatale (o pre-impianto, se si tratta di fecondazione artificiale) emerge il sospetto di qualche anomalia è inevitabile procedere allo scarto dell’embrione.

La ricerca pubblicata martedì da un’équipe dell’Università di Cambridge mostra peraltro che bisogna andare molto più cauti di quel che si pensava nel considerare che una quota di embrioni creati in laboratorio sia destinata ai freezer (o a diventare cavie). Gli scienziati inglesi hanno dimostrato, dati empirici alla mano, che se l’embrione presenta cellule anomale non necessariamente nascerà un bambino con problemi, come la sindrome di Down. Lo studio, condotto sui topi e pubblicato sulla rivista Nature Communications, certifica che le cellule anormali possono essere eliminate e sostituite da cellule sane, che riparano l’embrione. Ma non basta: a Cambridge è stato mostrato che se questi difetti rimangono e vengono registrati durante la gravidanza da esami come la villocentesi non nascerà per forza un bimbo con problemi, una conclusione che metterebbe in crisi l’attendibilità della diagnostica prenatale, spesso orientata a consigliare alle gestanti l’aborto di un figlio che appare geneticamente imperfetto.

La ricerca, finanziata dal Wellcome Trust e firmata da Zernicka-Goetz e colleghi, ha osservato che negli embrioni dove il mix di cellule normali e anormali era 50 e 50 le cellule anomale nell’embrione venivano uccise attraverso il processo noto come «apoptosi» (la morte programmata delle cellule), anche quando nelle cellule placentari venivano poi mantenute le anomalie. Ciò ha permesso alle cellule normali di prendere il sopravvento e all’embrione di avere alla fine tutte le cellule sane.

Prima di passare allo studio sull’uomo i ricercatori proveranno a determinare la proporzione esatta di cellule sane necessarie per riparare completamente un embrione e il meccanismo con cui le cellule anormali vengono eliminate.

Tratto da Avvenire

Unica nota mancante dell’articolo è come sia iniziato questo processo di ricerca: la dr.ssa Zernicka-Goetz, vera “testa” di questo importante studio, è partita da quando ella stessa era incinta all’età di 44 anni del suo secondo figlio, e alla villocentesi si era riscontrato che un quarto delle cellule dell’embrione esaminato mostravano una anomalia genetica. Dopo vari consulti, visto che nessun collega genetista le dava certezze, la ricercatrice ha deciso di proseguire la gravidanza e suo figlio Simon è nato perfettamente sano. Se questo studio, una volta compiuto anche sull’uomo, confermerà i dati emersi dallo studio sui topi, metterà realmente in seria crisi non soltanto il mondo della diagnosi prenatale del futuro, ma anche del passato. Quanti bambini, infatti, sulla base di un dato della villocentesi, che si effettua in epoca molto precoce, avrebbero potuto riparare le loro cellule malate e nascere sani, se fosse stato dato loro del tempo?