Un apostolo della Misericordia:San Leopoldo Mandic’

Questo cappuccino croato incarnò nella sua vita la parabola del Padre misericordioso che attende il “figlio prodigo”. Per questo il richiamo del Papa alla confessione nell’Anno Santo trova in lui un modello eccezionale del ministero in cui il Padre vuol far scoprire ai figli peccatori il suo Cuore.

La celletta della Misericordia 

Nato a Castelnuovo di Cattaro, sulla costa dalmata, nel 1866, era tanto piccolo (m 1.35), debole, claudicante per l’artrite deformante ai piedi, aveva un difetto di pronuncia che gli impediva di predicare e così fu sempre adibito alle confessioni. Nella sua celletta-confessionale del convento cappuccino di Padova, dove oggi i fedeli accorrono al suo corpo incorrotto, confessò per trent’anni dalle 10 alle 15 ore al giorno. Ma la città di Padova non si accorse subito del piccolo grande santo che ospitava.

Di se stesso P. Leopoldo diceva: “Sono veramente un uomo da nulla, anzi ridicolo”. E così veniva ritenuto dai frati e dalla gente. Perfino i bambini lo deridevano per strada e gli mettevano i sassi nel cappuccio… Dicevano che “era un confessore ignorante, di manica troppo larga, che assolveva tutti senza discernimento”. Poi progressivamente la città cominciò ad avviarsi a quel confessionale, alcuni mandati anche da P. Pio che usava dire: “Avete un Santo, perché venite da me?!”

Poco prima di morire nel 1942, P. Leopoldo fece questa profezia: “La città sarà bombardata molte volte, questo convento sarà duramente colpito, ma questa celletta no. Qui il padrone Dio ha usato molta misericordia alle anime: deve restare il monumento della sua bontà”. Infatti i bombardamenti del 1944 distrussero il convento, ma la celletta rimase in piedi… Ma cosa avveniva in quella celletta? Se colui che vi entrava mostrava un po’ di esitazione o qualche impaccio, P. Leopoldo si alzava in fretta e gli andava incontro allargando le braccia: “Si accomodi, signore, si accomodi… Non abbia paura sa, non abbia riguardo… Vede, anch’io, benché frate e sacerdote, sono tanto misero. Se il Padrone Dio non mi tenesse per le briglie, farei peggio degli altri…”.

Tuttavia P. Leopoldo non riduceva la confessione a qualche minuto. Si tratteneva a volte molto a lungo. E non era dolce quando si cercava di scusare il male o minimizzarlo. Lo diventava invece infinitamente se lo si riconosceva con umiltà. Ci basti questo episodio.

Un giorno un uomo entrato in quella celletta si ostinava a difendere i suoi numerosi peccati con sottili ragionamenti. P. Leopoldo le aveva provate tutte ma poi, di fronte alla raffinata derisione dell’uomo, si era alzato in piedi e aveva esclamato: “Se ne vada! Se ne vada! Lei si mette dalla parte dei maledetti da Dio!”. L’uomo quasi svenne dalla paura e si prostrò a terra piangendo; allora P. Leopoldo lo sollevò e, abbracciatolo, gli disse: “Vedi, ora sei di nuovo mio fratello”.

Talvolta confessava anche con la febbre e saltava i pasti vedendo la fila dei penitenti. Non di rado, finite le confessioni, faceva lunghe preghiere, di notte. A molti penitenti aveva promesso: “Farò io penitenza per te, pregherò io per te”. Una volta disse: “Se il Crocifisso mi avesse a rimproverare della ‘manica larga’ gli risponderei: questo cattivo esempio, Paròn Benedeto (Padrone Benedetto), me l’avete dato voi! Ancora non sono giunto alla follia di morire per le anime!”…

Apostolo dell’unità 

Dietro questa vocazione c’è però un segreto. “Quando avevo 22 anni, dice lui stesso, ho sentito la voce di Dio che mi chiamava a pregare e a meditare per il ritorno degli ortodossi all’unità cattolica”. Ne fece un voto. Era la sua “santa pazzia”, dicevano i suoi confratelli; ne parlava a tutti e sperava di realizzare questa chiamata, concretamente, tornando in Croazia. E sembrava cosa fatta quando la città di Fiume venne annessa all’Italia e lui destinato a quel convento. Ma il Vescovo di Padova tanto fece che ottenne dal Provinciale di mantenerlo nella sua città dove tutti lo reclamavano. Sembrava una sconfitta. Ma non fu così.

Un confratello che si meravigliava per questo cambiamento, gliene chiese ragione e così rispose P. Leopoldo: “Tempo fa ebbi l’occasione di incontrare una santa persona che dopo la comunione mi disse: «Padre, Gesù mi ha ordinato di dirle che ogni anima che lei assiste qui nella confessione è il suo Oriente»”. E da allora fece proprio così. Trattava ogni penitente come se la conversione all’unità del suo popolo dipendesse da quella del peccatore che aveva davanti.

Così anche nella Santa Messa – che offriva sempre, se poteva, per questa intenzione – sentiva una sofferenza fisica per la rottura dell’unità e, immedesimandosi a Cristo, piangeva a volte fino a bagnare la tovaglia dell’altare… Dio gli concesse di fare miracoli già in vita; ma lui sosteneva che non c’entrava niente: “Che colpa ne ho io -diceva- se vengono con tanta fede e se, per la loro fede, il Padrone Dio li esaudisce?”

Leggeva nelle anime.

Un signore, che da anni non si confessava, era stato trascinato lì dagli amici e pensava tra sé: “Mi metto in coda e poi, quando se ne sono andati tutti, me ne vado anch’io prima che mi tocchi entrare in quello stanzino”. Ma di colpo uscì fuori P. Leopoldo e, andando dritto a lui gli disse: “Venga avanti lei, signore… L’aspettavo sa, l’aspettavo…”. E poi, una volta dentro: “Lei non voleva venire… ma non si preoccupi… le dico io quello che ha fatto… E’ questo quello che ha fatto, vero? E ora è pentito, vero? Allora Dio le perdona tutto. La ringrazio di essere venuto a portarmi tanta gioia, ma l’aspetto ancora, sa… Venga e saremo buoni amici…”. Ecco, ci auguriamo che con un buon confessore possiamo incontrare nell’intimo il nostro Padre del cielo…

P. Leopoldo tornò al Padre il 20 luglio 1942 pronunciando le ultime parole della Salve Regina, che aveva sempre chiamato con tenerezza “la Paròna Benedeta”… Il Santo, riprodotto in una statua bronzea a Medjugorje, sembra lì a proteggere e a ispirare i confessori nel loro ministero di misericordia.