Battezzare i bambini il prima possibile. Il Battesimo dei bambini non nati

Il Battesimo è necessario alla salvezza dell’anima. Dalla necessità del battesimo per la salvezza consegue necessariamente che, senza una qualche forma di contatto con esso, non è possibile raggiungere la salvezza, ossia godere della visione beatifica della Santissima Trinità e della compagnia degli eletti.

Si badi anche che non è affatto necessario che il battezzando compia un atto di fede personale, perché un bambino non può porlo in essere. Si viene battezzati nella fede della Chiesa che il padrino o la madrina rappresentano ufficialmente durante il rito e l’amministrazione del sacramento, esercitando una vera e propria sostituzione vicaria nei confronti nel battezzando che in quella fede e per quella fede viene battezzato.

Non solo dunque si devono battezzare i bambini, ma – come diceva l’immortale catechismo di san Pio X – occorre farlo il più presto possibile, non oltre i primi dieci giorni di vita. Questo per due motivi. Anzitutto perché in caso di morte accidentale o improvvisa del piccolo si ha la certezza assoluta del suo immediato ingresso in Paradiso. Ma anche perché, come semplicemente ed efficacemente insegnava ai suoi figli padre Pio da Pietrelcina, fino a quando non si riceve la grazia santificante e non viene tolta la colpa d’origine, si è né più né meno che “schiavi di satana”.

Un’anima non in grazia, priva del battesimo, appartiene al nemico. Non certo come un peccatore adulto cosciente e volontario, destinato – in caso di mancato pentimento dai suoi peccati – all’eterna dannazione. Ma certamente quell’anima fu “conquistata” dal diavolo attraverso la caduta dei nostri progenitori e fino a quando non viene riscattata è sua proprietà. Un bambino non battezzato, non avendo colpe personali, di certo non può essere trascinato da satana all’inferno, ma può essere (e di fatto è) per questo impedito di vedere Dio.

Si apre, in questo senso, l’importantissima questione del limbo, di cui tratteremo approfonditamente a suo tempo, ma che è stata – con la solita faciloneria e l’immancabile pressappochismo oggi così diffuso, anche in certi ambienti di Chiesa – accantonata e, a detta di qualcuno, ormai “chiusa e superata”. Vedremo a suo tempo che contro questa “comoda e improbabile soluzione” urtano delle gravi affermazioni dogmatiche di non pochi concili e papi che, pur non nominando espressamente il termine “limbo”, fanno facilmente comprendere che a questa realtà vogliono alludere con le loro dichiarazioni.

Del resto, lo si ricordi, l’espressione di Gesù è tassativa: se non si rinasce da acqua e da Spirito Santo non si può entrare nel regno di Dio e non si può vedere il regno di Dio. Un qualche contatto sacramentale, pertanto, ci deve essere. La tradizione della Chiesa, per le persone adulte e viventi, ha in questo senso elaborato la dottrina del “battesimo di sangue” e del “battesimo di desiderio” per rispondere alle situazioni in cui, pur essendoci una chiara intenzione di volersi battezzare, non c’era stato il tempo sufficiente per farlo.

Così un catecumeno che subisse il martirio, insegnavano i santi Padri, riceve il battesimo non nell’acqua, ma nel suo proprio sangue e certamente è da annoverare tra i santi del cielo. Così un catecumeno che pur senza martirio dovesse morire prima di ricevere il sacramento, sarebbe supplito dal suo desiderio di essere battezzato, in quanto, proprio in quanto catecumeno, stava compiendo il cammino di preparazione per quel battesimo che desiderava ricevere; ed essendo la celebrazione del sacramento mancata per causa non imputabile alla libera volontà del catecumeno, basta il desiderio di riceverlo per supplirne gli effetti, come quando un peccatore si pente e muore prima di riuscire a confessarsi. Vale, in questo caso, il principio per cui Dio opera ordinariamente per mezzo dei sacramenti ma non ne è ad essi legato o da essi irrimediabilmente condizionato.

Anche il problema della possibilità di salvezza di coloro che, senza colpa propria (si badi!), ignorano la necessità della Chiesa e del battesimo per la salvezza, ma compiono il bene conosciuto dal dettame della coscienza è da inquadrare in questa dottrina. La buona volontà equivale ad una sorta di desiderio implicito del Battesimo che si sarebbe senz’altro ricevuto se se ne fosse conosciuta la necessità.

Che dire però dei bambini abortiti spontaneamente o, peggio, volontariamente? Nella dottrina c’è qui un vuoto che deve essere colmato. Personalmente, ma questa è mia opinione personale per cui se ne faccia l’uso che si crede, sono fermamente convinto che ci deve essere una sorta di “battesimo di desiderio” celebrato da uno dei genitori del bimbo abortito. Si tratta di far celebrare una Messa con l’intenzione di dare alla creatura abortita gli effetti del sacramento del battesimo, in forza del fatto che, se fosse nato, i genitori lo avrebbero condotto al sacro fonte. In caso diverso, sempre a mio parere, ci sono serissime probabilità che quelle creature non godano, almeno nell’immediato, della visione beatifica. Fatto questo atto dai genitori (che hanno l’autorità sulla propria creatura), si può a mio parere avere la certezza morale che l’anima di quel bimbo sia divenuta una sorta di “angelo aggiunto”, che prega per mamma e papà, li ringrazia per averlo concepito e fatto vivere per la vita eterna e li attende in cielo per dir loro la sua filiale gratitudine.

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