Scuola e gender, la chiarezza necessaria

Il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini ha inviato una circolare alle scuole italiane per precisare che la «teoria del gender» non rientra nei programmi scolastici ai sensi della legge sulla «buona scuola», e in un’intervista ha parlato di «truffa culturale» perpetrata da chi insiste che la teoria, in quei programmi, c’è. Ha ragione? Ha torto?

Si deve dare atto al ministro Giannini di non essersi mai appassionata, a differenza di altri politici italiani, all’uso delle scuole come «campi di rieducazione» alla teoria del gender: l’espressione è del cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, ma è stata ripresa e fatta propria da Papa Francesco in un discorso dell’11 aprile 2015. Il ministro, inoltre, si era impegnata di fronte al Parlamento, quando la «buona scuola» fu approvata, a intervenire presso i presidi precisando che la legge non doveva essere usata per introdurre nelle scuole propaganda a favore della teoria del gender. Con la circolare rispetta questo impegno, e fa bene.

Parlando di «truffa culturale» c’è però il rischio che la Giannini sia arruolata, forse contro le sue intenzioni, nel partito – in cui militano alcuni suoi collaboratori – di chi sostiene che la teoria del gender «non esiste» ed è una «invenzione del Vaticano» o di Papa Francesco, che l’ha denunciata una decina di volte definendola durante la sua visita a Napoli un «errore della mente umana». No, la teoria del gender esiste, è nata negli Stati Uniti proprio con questo nome, ed è la teoria che distingue il «genere», maschile o femminile, che ciascuno potrebbe liberamente scegliersi, dal «sesso» biologico, determinato dall’anatomia per cui nasciamo maschio o femmina con certe caratteristiche evidenti.

Certamente ci sono versioni diverse della teoria del gender, da quelle pionieristiche di Margaret Sanger alla versione classica di Simone de Beauvoir e a quella più radicale di Judith Butler, che assorbe totalmente il sesso nel genere. Ma il nucleo è sempre lì, ed è bene espresso in un documento, che lo promuove, di un organismo governativo italiano, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale (UNAR), nelle sue linee guida per i giornalisti intese a evitare la discriminazione degli omosessuali.

Qui si parla del «senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono un uomo, io sono una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita». La possibilità di definirsi uomo o donna indipendentemente dalle caratteristiche anatomiche è appunto il cuore della teoria del gender. È la teoria è accolta anche da sentenze italiane che ammettono la possibilità di cambiare sesso all’anagrafe sulla base di un semplice «sentirsi» uomo o donna, anche qui prescindendo totalmente dall’anatomia.

Che c’entra il gender con la «buona scuola»? Che l’allarme non fosse totalmente infondato lo ha ammesso la stessa Giannini in Parlamento, promettendo l’intervento che ha ora messo in atto, e la Camera, su iniziativa dei deputati Roccella e Pagano, ha approvato insieme con la «buona scuola» un ordine del giorno che ha impegnato il governo, nell’applicazione della legge, «ad escludere ogni interpretazione che apra alle cosiddette “teorie del gender”».

Dov’era il problema? Nella norma della legge sulla «buona scuola», che chiede di promuovere nelle scuole iniziative per studenti, docenti e genitori «sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n.119». Queste «tematiche» sono indicate dalla legge 119, quella sul cosiddetto femminicidio, con riferimento, tra l’altro, all’esigenza di «superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere». Certo, le leggi sono sempre interpretabili, ma non è poi così difficile leggere in questa norma un invito a superare lo «stereotipo» secondo cui si è uomini o donne in relazione a un dato anatomico insuperabile: e questo «superamento» è appunto l’essenza della teoria del gender.

Il problema non è nato con la «buona scuola». Se anche la legge sulla «buona scuola» fosse abrogata rimarrebbero la legge sul femminicidio, i piani anti-discriminazione, le attività dell’UNAR: tutte cose in gran parte antecedenti al governo Renzi. È contro una dinamica quotidiana di penetrazione del gender nelle scuole che tanti genitori protestano e un milione di persone sono andate in piazza il 20 giugno a Roma. Non si tratta di politicizzare lo scontro o di prendersela con il ministro Giannini, che si è impegnata a cercare di frenare la deriva. Ma anche il ministro e il Ministero farebbero bene a prendere atto che il problema esiste, lasciando ai propagandisti più ideologizzati tesi bizzarre come quella, davvero esotica, secondo cui a non esistere sarebbe la stessa teoria del gender.

(Massimo Introvigne, il Mattino, 17-9-2015)