Tre cappellani di tre carceri del Nord e del Sud. E le loro tre storie di perdono. Storie di morte e risurrezione, storie nate del dolore e nell’ingiustizia che poi, a poco a poco, sanno aprirsi alla speranza.
Percorsi mai facili, spesso tortuosi, sempre dolorosi. Perché perdonare gli altri, per un cuore generoso ed educato, è difficile ma non impossibile: accade.
Più arduo è ‘perdonare’ Dio, quando lo si ‘prega’ con la preghiera straziante di chi gli urla la propria rabbia, come fa il protagonista della storia narrata da don Virginio Balducchi: «Perché ha permesso che uccidessi? Perché non mi ha fermato?». La pace è assai più difficile, quando deve fare i conti con il dono più meraviglioso e terribile di Dio all’uomo: la libertà. Ma difficilissimo, quasi impossibile è perdonare se stessi, riconciliarsi con il proprio passato. Terribile è il perdono – per il protagonista della storia narrata da don Marco Pozza – da negare o concedere a tua madre che ti ha abbandonato accanto a un cassonetto a quindici giorni di vita, condannandoti a un’esistenza a metà, ad affetti amputati, a un cuore zoppo. E difficile, a volte, è per le istituzioni fidarsi, accettando che ‘criminali incalliti’ decidano per un diverso futuro, come i detenuti della sezione d’alta sicurezza della storia narrata da don Raffaele Sarno. Quando però il perdono zampilla, la festa è immensa.
Chiamiamola Pasqua…
«Neanche Dio mi può perdonare». Ricordo bene le sue parole ai nostri primi incontri. Lui, giovanissimo omicida della persona a cui voleva più bene. «Perché l’ho fatto? Perché Dio ha permesso che lo facessi?». Era il suo duello con se stesso e con Dio, il corpo a corpo di un ragazzo di 23 anni che aspetta una condanna severa e lunga e si domanda che senso possa avere, di lì in poi, la sua vita. «Meglio morire…».
Dopo qualche mese, proprio in un momento in cui forte, urgente, straziante era la domanda «che ne sarà di me?», pensai che fosse il momento giusto: «Prova a leggere il Vangelo di Luca – gli dissi – senza pretendere di capire tutto subito». Da lì in poi il rapporto tra noi divenne più personale.
Dopo otto mesi fu pronto per il sacramento della riconciliazione. Partecipava alla catechesi, a messa faceva il lettore, pregava tutti i giorni.
È una storia di molti anni fa. Oggi è fuori, libero. Il Signore gli ha fatto comprendere che la sua vita poteva ancora avere un senso. È riuscito nell’impresa di perdonare se stesso, nonostante il suo passato, con il suo peso da reggere, sia sempre lì,. Ma adesso sente che Dio lo accompagna, lo aiuta a reggere quel peso, gli permette di vivere.
Avrebbe desiderato ricevere il perdono della famiglia della ragazza. Ha provato a cercare un contatto. Ma non gli è stato concesso. La ferita è ancora troppo dolorosa. Ma forse,
un giorno…
(Storia raccontata da don Virginio Balducchi, Roma) tratto da Avvenire