“Non abbiate paura della bontà e della tenerezza!”

Durante la messa di inaugurazione del pontificato, papa Francesco ricorda che “il vero potere è il servizio”

L’inaugurazione del pontificato di papa Francesco è nel segno di San Giuseppe. Rompendo la consuetudine dei suoi predecessori di celebrare la loro intronizzazione nella domenica successiva all’elezione, il pontefice argentino ha scelto il giorno 19 marzo – quest’anno un martedì – data a lui particolarmente cara per svariati motivi.

In primo luogo per la particolare devozione che Bergoglio ha sempre nutrito verso il santo sposo della Vergine Maria. Nel suo stemma pontificale è infatti presente il fiore di nardo, tipico attributo dell’iconografia di San Giuseppe, soprattutto nel mondo ispanico.

La data scelta per inaugurare il proprio pontificato, ha spiegato papa Francesco nell’omelia, “è una coincidenza molto ricca di significato”, ha spiegato il Santo Padre, oltre ad essere il giorno dell’onomastico di Joseph Ratzinger, “mio venerato predecessore”. Al pontefice emerito Benedetto XVI, “siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza”, ha aggiunto il suo successore.

Prima della celebrazione eucaristica, il Pontefice è sceso con i Patriarchi delle Chiese Orientali, al Sepolcro di San Pietro sotto la Basilica Vaticana e vi è sostato in preghiera, incensando poi il Trophæum Apostolico.

Risalito in basilica e giunto poi sul sagrato di San Pietro, Francesco ha ricevuto il pallio e l’anello piscatorio, secondo i riti specifici di inizio pontificato.

Durante l’omelia, dopo aver salutato i cardinali, i vescovi e i sacerdoti presenti, assieme a tutte le delegazioni ecclesiali e diplomatiche, il Santo Padre si è soffermato sulle virtù del santo del giorno. San Giuseppe, ha spiegato, è in primo luogo un “custode” per Maria e Gesù.

Questa custodia “si estende poi alla Chiesa” e Giuseppe la esercita “con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende”.

Il padre putativo di Gesù deve infatti affrontare una lunga serie di prove, difficilmente accettabili sul piano puramente umano: “Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con amore ogni momento”, ha ricordato il Papa.

Giuseppe è accanto a Maria “nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto”. Si dimostra un esemplare padre di famiglia anche nella “fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio”, oltre che nell’insegnamento del suo mestiere di falegname a Gesù.

Giuseppe è un umile custode “perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”, ha proseguito il Pontefice.

La vocazione alla custodia, ha poi osservato papa Francesco, prima ancora che un fatto cristiano, ha una dimensione “semplicemente umana”, che “riguarda tutti”. Essa comprende la “bellezza del creato” e il “rispetto per ogni creatura di Dio” a partire dai “bambini”, dai “vecchi” e, in generale, da “coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore”.

Custodire, tuttavia, significa anche “aver cura l’uno dell’altro nella famiglia”, in particolare, tra coniugi e tra genitori e figli, nelle amicizie vissute “con sincerità”, “nel rispetto e nel bene”. La custodia è quindi “una responsabilità che ci riguarda tutti”, ha aggiunto Francesco, esortando: “Siate custodi dei doni di Dio!”.

Quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, “trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce”; emergono gli “Erode” che, con i loro “disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”.

Papa Francesco ha richiamato allo spirito di custodia “tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale” e tutti “gli uomini e le donne di buona volontà”, affinché nessuno permetta che “segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo!”.

La custodia va tuttavia esercitata soprattutto a partire da se stessi, affrancandosi da quei sentimenti di “odio”, “invidia” e “superbia” che “sporcano la vita” e vigilando sui “nostri sentimenti” e sul “nostro cuore”, da cui escono “le intenzioni buone e cattive”. In questo senso, ha sottolineato il Papa, “non dobbiamo avere paura della bontà” e nemmeno della “tenerezza”.

La tenerezza, in particolare, è una dote di cui San Giuseppe è particolarmente ricco, pur essendo indubbiamente “forte”, “coraggioso” e “lavoratore”. La tenerezza, ha spiegato il Santo Padre, non è affatto la “virtù del debole”, al contrario essa denota “fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore”.

Parlando del proprio ministero come Vescovo di Roma e Successore di Pietro, papa Francesco ha affermato che esso comporta certamente un “potere”, il quale, però, si sostanzia “in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce”.

Un Papa, quindi, come San Giuseppe, deve essere capace di “aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli”, ha proseguito Francesco.

L’altra figura di spicco delle Letture odierne è Abramo, il quale “credette, saldo nella speranza contro ogni speranza” (Rm 4,18). Come San Giuseppe, quindi, il primo dei profeti ci invita ad “aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi”, a “portare il calore della speranza”, anche in un epoca piena di “tanti tratti di cielo grigio”.

“Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi”: questa è stata l’esortazione finale di papa Francesco che, prima di concludere l’omelia, ha chiesto l’intercessione della Vergine Maria, di San Giuseppe, dei Santi Pietro e Paolo e di San Francesco, per il suo pontificato, invitando ancora una volta i fedeli a pregare per lui.

Dopo la conclusione della messa, sulle note del Te Deum, il Papa è rientrato in basilica, per salutare le delegazioni degli stati e dei governi giunte a Roma per presenziare all’inaugurazione del Pontificato.

Di Luca Marcolivio Tratto da Zenit

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Testo dell’omelia del Santo Padre:

Cari fratelli e sorelle!

Ringrazio il Signore di poter celebrare questa Santa Messa di inizio del ministero petrino nella solennità di San Giuseppe, sposo della Vergine Maria e patrono della Chiesa universale: è una coincidenza molto ricca di significato, ed è anche l’onomastico del mio venerato Predecessore: gli siamo vicini con la preghiera, piena di affetto e di riconoscenza.

Con affetto saluto i Fratelli Cardinali e Vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le religiose e tutti i fedeli laici. Ringrazio per la loro presenza i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti della comunità ebraica e di altre comunità religiose. Rivolgo il mio cordiale saluto ai Capi di Stato e di Governo, alle Delegazioni ufficiali di tanti Paesi del mondo e al Corpo Diplomatico.

Abbiamo ascoltato nel Vangelo che «Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’Angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24). In queste parole è già racchiusa la missione che Dio affida a Giuseppe, quella di essere custos, custode. Custode di chi? Di Maria e di Gesù; ma è una custodia che si estende poi alla Chiesa, come ha sottolineato il beato Giovanni Paolo II: «San Giuseppe, come ebbe amorevole cura di Maria e si dedicò con gioioso impegno all’educazione di Gesù Cristo, così custodisce e protegge il suo mistico corpo, la Chiesa, di cui la Vergine Santa è figura e modello» (Esort. ap. Redemptoris Custos, 1).

Come esercita Giuseppe questa custodia? Con discrezione, con umiltà, nel silenzio, ma con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna con premura e con amore ogni momento. E’ accanto a Maria sua sposa nei momenti sereni e in quelli difficili della vita, nel viaggio a Betlemme per il censimento e nelle ore trepidanti e gioiose del parto; nel momento drammatico della fuga in Egitto e nella ricerca affannosa del figlio al Tempio; e poi nella quotidianità della casa di Nazaret, nel laboratorio dove ha insegnato il mestiere a Gesù.

Come vive Giuseppe la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa? Nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio; ed è quello che Dio chiede a Davide, come abbiamo ascoltato nella prima Lettura: Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge. In lui cari amici, vediamo come si risponde alla vocazione di Dio, con disponibilità, con prontezza, ma vediamo anche qual è il centro della vocazione cristiana: Cristo! Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri, per custodire il creato!

La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. E’ l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. E’ il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!

E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.

Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!

E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!

Oggi, insieme con la festa di san Giuseppe, celebriamo l’inizio del ministero del nuovo Vescovo di Roma, Successore di Pietro, che comporta anche un potere. Certo, Gesù Cristo ha dato un potere a Pietro, ma di quale potere si tratta? Alla triplice domanda di Gesù a Pietro sull’amore, segue il triplice invito: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle. Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!

Nella seconda Lettura, san Paolo parla di Abramo, il quale «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rm 4,18). Saldo nella speranza, contro ogni speranza! Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio.

Custodire Gesù con Maria, custodire l’intera creazione, custodire ogni persona, specie la più povera, custodire noi stessi: ecco un servizio che il Vescovo di Roma è chiamato a compiere, ma a cui tutti siamo chiamati per far risplendere la stella della speranza: Custodiamo con amore ciò che Dio ci ha donato!

Chiedo l’intercessione della Vergine Maria, di san Giuseppe, dei santi Pietro e Paolo, di san Francesco, affinché lo Spirito Santo accompagni il mio ministero, e a voi tutti dico: pregate per me! Amen.