Il coraggio di “uscire” per portare Cristo

Il senso della prima Udienza generale del mercoledì di Papa Francesco è racchiuso in una sola parola: “uscire”. 

Uscire da noi stessi, sempre, da una fede “stanca e abitudinaria”, per andare “verso le periferie dell’esistenza”, dai lontani, dai dimenticati, da chi è nella difficoltà. Perché “c’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore” nel mondo. E noi cristiani non dobbiamo stancarci di fare il primo passo, come Cristo ha fatto con noi.

È un invito forte quello del Papa, riportato in parole semplici, come è nel suo stile, ma che proprio per questo scivolano più facilmente nel cuore e nelle orecchie anche di chi è poco abituato all’ascolto. Il Pontefice ha incentrato il suo discorso sul significato della Settimana Santa, annunciando che dopo Pasqua, “raccogliendo il testimone di Benedetto XVI”, riprenderà la riflessione sull’Anno della Fede.

C’è una frase, in particolare, che sintetizza la Catechesi di oggi e tante cose dette e fatte da Papa Francesco in questi 14 giorni di pontificato: “Non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo ‘uscire’, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana”.

Allora si comprende meglio il suo richiamo ad “una Chiesa povera per i poveri”, la sua continua attenzione per gli ultimi, la sua visita di domani al carcere minorile di Casal di Marmo, i suoi slanci spontanei in mezzo alla gente.

Per il Pontefice, infatti, “seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui”, esige un continuo ‘uscire’ da sé stessi, da una fede comoda, abbracciando invece la logica del Vangelo, di Dio e, soprattutto, della Croce “che non è prima di tutto quella del dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta vita”.

È questa la strada che ha percorso Gesù Cristo nel suo cammino terreno verso la Passione, morte e resurrezione. Il Figlio di Dio, dice il Papa, “ha parlato a tutti” senza distinzione tra grandi, umili, ricchi, poveri, deboli, ebrei, pagani, samaritani. Egli “ha portato la misericordia e il perdono di Dio”; “ha guarito, consolato, compreso” e “ha dato speranza”, come fa “un buon padre e una buona madre verso ciascuno dei suoi figli”. Soprattutto, Dio “non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure”, facendo sempre il primo passo.

Questa strada percorsa da Cristo “è anche la mia, la tua, la nostra strada” secondo il Papa, nonché il centro della Settimana Santa, punto cruciale dell’intero Anno Liturgico, da vivere “seguendo Gesù non solo con la commozione del cuore”, ma muovendoci “noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle” che necessitano di “comprensione, consolazione, aiuto”.

“Gesù – soggiunge poi il Pontefice – ha vissuto le realtà quotidiane della gente più comune”: si è commosso davanti alla folla sperduta; ha pianto per la morte di Lazzaro; ha convertito un pubblicano in un discepolo, è stato anche tradito da un amico.

Attraverso di Lui, “Dio ci ha dato la certezza che è con noi, in mezzo a noi”. Per questo Cristo stesso, come riporta il Vangelo di Matteo (Mt 8,20), disse: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Tali parole, spiega il Papa, rendono chiaro che “Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio”.

Nella Settimana Santa si vive, dunque, “il vertice di questo disegno di amore che percorre tutta la storia dei rapporti tra Dio e l’umanità”: il Figlio di Dio che “si offre a noi, consegna nelle nostre mani il suo Corpo e il suo Sangue per essere sempre con noi, per abitare in mezzo a noi”.  Una missione che Gesù non compie “in modo passivo o come un destino fatale”, ma affidandosi “con piena fiducia al Padre”, senza lasciare che “il suo profondo turbamento umano di fronte alla morte violenta” prenda il sopravvento.

Ciascuno di noi, allora – afferma Papa Bergoglio – può dire di Cristo: “Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me”. Un annuncio di salvezza che non ci può lasciare indifferenti, e che ci spinge ad uscire da noi stessi.

Perché il rischio è di cadere nella tentazione “di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio”. Un po’ come san Pietro, che “non appena Gesù parla di passione, morte e risurrezione, di dono di sé, di amore verso tutti” lo rimprovera, perché – spiega Papa Francesco – “quello che dice Gesù sconvolge i suoi piani, appare inaccettabile, mette in difficoltà le sicurezze che si era costruito, la sua idea di Messia”.

La reazione di Pietro è l’emblema di tutti noi, secondo il Papa, che “spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di ‘uscire’ per portare Cristo”.

L’invito del Pontefice è di approfittare della Settimana Santa, “tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie – che pena tante parrocchie chiuse! – dei movimenti, delle associazioni, ed ‘uscire’ incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede”.

Un invito che diventa concreto quando, al termine dell’Udienza, Papa Francesco ritorna, come all’inizio, in mezzo alla folla – non particolarmente numerosa – presente in piazza San Pietro, transitando lentamente a bordo della jeep scoperta, scendendo di tanto in tanto a stringere le mani entusiaste e affettuose dei fedeli.

La prima Udienza generale di Bergoglio si è segnalata, inoltre, per alcune novità rispetto alla prassi del passato. Dopo la catechesi in lingua italiana, il Pontefice ha atteso che un sacerdote la sintetizzasse in un altro idioma per poi ogni volta riprendere la parola e salutare i diversi gruppi linguistici presenti, utilizzando sempre l’italiano.

Di Salvatore Cernuzio tratto da Zenit

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La catechesi di Papa Francesco durante la sua prima Udienza generale.

Fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono lieto di accogliervi in questa mia prima Udienza generale. Con grande riconoscenza e venerazione raccolgo il “testimone” dalle mani del mio amato predecessore Benedetto XVI. Dopo la Pasqua riprenderemo le catechesi dell’Anno della fede. Oggi vorrei soffermarmi un po’ sulla Settimana Santa. Con la Domenica delle Palme abbiamo iniziato questa Settimana – centro di tutto l’Anno Liturgico – in cui accompagniamo Gesù nella sua Passione, Morte e Risurrezione.

Ma che cosa può voler dire vivere la Settimana Santa per noi? Che cosa significa seguire Gesù nel suo cammino sul Calvario verso la Croce e la Risurrezione? Nella sua missione terrena, Gesù ha percorso le strade della Terra Santa; ha chiamato dodici persone semplici perché rimanessero con Lui, condividessero il suo cammino e continuassero la sua missione; le ha scelte tra il popolo pieno di fede nelle promesse di Dio. Ha parlato a tutti, senza distinzione, ai grandi e agli umili, al giovane ricco e alla povera vedova, ai potenti e ai deboli; ha portato la misericordia e il perdono di Dio; ha guarito, consolato, compreso; ha dato speranza; ha portato a tutti la presenza di Dio che si interessa di ogni uomo e ogni donna, come fa un buon padre e una buona madre verso ciascuno dei suoi figli.

Dio non ha aspettato che andassimo da Lui, ma è Lui che si è mosso verso di noi, senza calcoli, senza misure. Dio è così: Lui fa sempre il primo passo, Lui si muove verso di noi. Gesù ha vissuto le realtà quotidiane della gente più comune: si è commosso davanti alla folla che sembrava un gregge senza pastore; ha pianto davanti alla sofferenza di Marta e Maria per la morte del fratello Lazzaro; ha chiamato un pubblicano come suo discepolo; ha subito anche il tradimento di un amico. In Lui Dio ci ha dato la certezza che è con noi, in mezzo a noi. «Le volpi – ha detto Lui, Gesù – le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Gesù non ha casa perché la sua casa è la gente, siamo noi, la sua missione è aprire a tutti le porte di Dio, essere la presenza di amore di Dio.

Nella Settimana Santa noi viviamo il vertice di questo cammino, di questo disegno di amore che percorre tutta la storia dei rapporti tra Dio e l’umanità. Gesù entra in Gerusalemme per compiere l’ultimo passo, in cui riassume tutta la sua esistenza: si dona totalmente, non tiene nulla per sé, neppure la vita. Nell’Ultima Cena, con i suoi amici, condivide il pane e distribuisce il calice “per noi”. Il Figlio di Dio si offre a noi, consegna nelle nostre mani il suo Corpo e il suo Sangue per essere sempre con noi, per abitare in mezzo a noi. E nell’Orto degli Ulivi, come nel processo davanti a Pilato, non oppone resistenza, si dona; è il Servo sofferente preannunciato da Isaia che spoglia se stesso fino alla morte (cfr Is 53,12).

Gesù non vive questo amore che conduce al sacrificio in modo passivo o come un destino fatale; certo non nasconde il suo profondo turbamento umano di fronte alla morte violenta, ma si affida con piena fiducia al Padre. Gesù si è consegnato volontariamente alla morte per corrispondere all’amore di Dio Padre, in perfetta unione con la sua volontà, per dimostrare il suo amore per noi. Sulla croce Gesù «mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2,20). Ciascuno di noi può dire: Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. Ciascuno può dire questo “per me”.

Che cosa significa tutto questo per noi? Significa che questa è anche la mia, la tua, la nostra strada. Vivere la Settimana Santa seguendo Gesù non solo con la commozione del cuore; vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi – come dicevo domenica scorsa – per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!

Vivere la Settimana Santa è entrare sempre più nella logica di Dio, nella logica della Croce, che non è prima di tutto quella del dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta vita. E’ entrare nella logica del Vangelo. Seguire, accompagnare Cristo, rimanere con Lui esige un “uscire”, uscire. Uscire da se stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio.

Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi, ha posto la sua tenda tra noi per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo “uscire”, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana. Ricordate bene: uscire da noi, come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso per tutti noi.

Qualcuno potrebbe dirmi: “Ma, padre, non ho tempo”, “ho tante cose da fare”, “è difficile”, “che cosa posso fare io con le mie poche forze, anche con il mio peccato, con tante cose? Spesso ci accontentiamo di qualche preghiera, di una Messa domenicale distratta e non costante, di qualche gesto di carità, ma non abbiamo questo coraggio di “uscire” per portare Cristo.

Siamo un po’ come san Pietro. Non appena Gesù parla di passione, morte e risurrezione, di dono di sé, di amore verso tutti, l’Apostolo lo prende in disparte e lo rimprovera. Quello che dice Gesù sconvolge i suoi piani, appare inaccettabile, mette in difficoltà le sicurezze che si era costruito, la sua idea di Messia. E Gesù guarda i discepoli e rivolge a Pietro forse una delle parole più dure dei Vangeli: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (Mc 8,33). Dio pensa sempre con misericordia: non dimenticate questo. Dio pensa sempre con misericordia: è il Padre misericordioso! Dio pensa come il padre che attende il ritorno del figlio e gli va incontro, lo vede venire quando è ancora lontano…

Questo che significa? Che tutti i giorni andava a vedere se il figlio tornava a casa: questo è il nostro Padre misericordioso. E’ il segno che lo aspettava di cuore nella terrazza della sua casa. Dio pensa come il samaritano che non passa vicino al malcapitato commiserandolo o guardando dall’altra parte, ma soccorrendolo senza chiedere nulla in cambio; senza chiedere se era ebreo, se era pagano, se era samaritano, se era ricco, se era povero: non domanda niente. Non domanda queste cose, non chiede nulla. Va in suo aiuto: così è Dio. Dio pensa come il pastore che dona la sua vita per difendere e salvare le pecore.

La Settimana Santa è un tempo di grazia che il Signore ci dona per aprire le porte del nostro cuore, della nostra vita, delle nostre parrocchie – che pena tante parrocchie chiuse! – dei movimenti, delle associazioni, ed “uscire” incontro agli altri, farci noi vicini per portare la luce e la gioia della nostra fede. Uscire sempre! E questo con amore e con la tenerezza di Dio, nel rispetto e nella pazienza, sapendo che noi mettiamo le nostre mani, i nostri piedi, il nostro cuore, ma poi è Dio che li guida e rende feconda ogni nostra azione.

Auguro a tutti di vivere bene questi giorni seguendo il Signore con coraggio, portando in noi stessi un raggio del suo amore a quanti incontriamo.