Un passo indietro? No, passo avanti

Ogni parola del Papa, lo sappiamo bene, deve
essere letta con attenzione, perché colui che parla e scrive è il
Vicario di Cristo sulla Terra. Ma a maggior ragione quando lo scritto
riguarda “una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa”
quale quella presa da Benedetto XVI poche ore fa. Ogni riga e parola
assume quindi un significato non solo giuridico, oppure programmatico o
meramente biografico, bensì anche di ordine soprannaturale.

Leggiamo un passaggio dell’annuncio del Papa: “Sono
ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale,
deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno
soffrendo e pregando”. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di
Sant’Egidio e Ministro per la Cooperazione Internazionale e
l’integrazione, intervistato a caldo dal Tg1 nell’edizione delle 13.30
ha interpretato questo passaggio  offrendo una chiave di lettura
suggestiva. Il Papa aveva di fronte a sé due beni: la testimonianza nel
martirio, come fece il suo predecessore Giovanni Paolo II e l’efficacia
dell’azione pastorale. Il Pontefice ha scelto questa seconda strada.

Da una parte quindi la sofferenza, sia fisica che soprattutto morale e spirituale.
Quest’ultima non è difficile intuire che è nata nel cuore di Benedetto
XVI dal constatare che la barca di Pietro è sempre più piena d’acqua
anche perché molti suoi occupanti provocano nello scafo continue falle.
Una sofferenza sopportata e vivificata dalla preghiera e offerta come
strumento di santificazione per tutta la Chiesa.

Dall’altra le opere e le parole, cioè la vita attiva, l’evangelizzazione,
la concretezza dei progetti pastorali, i discorsi, le lettere, le
encicliche e molto altro che la sofferenza impedisce di portare a
termine. Da una parte una candela che si consuma nel dare luce sino alla
fine, dall’altra la scelta pragmatica non di arrendersi agli anni che
passano ma di passare il testimone per il bene maggiore della Chiesa.

Dobbiamo essere sinceri: nel cuore di ciascuno di noi almeno per un attimo c’è stata delusione,
mista a costernazione, come se ci fossimo sentiti traditi da una scelta
che a pelle sentiamo di minor pregio (come non pensare agli apostoli
increduli e scandalizzati di sapere il loro Maestro morto in croce?).
“Rinuncia” è infatti il termine che più hanno in bocca i commentatori,
una parola che sa di sconfitta. Il Papa ha gettato la spugna ed ha vinto
il mondo, ci viene quasi da dire. Meglio ha fatto Giovanni Paolo II che
ha lottato sino alla fine ed è rimasto al suo posto – quel posto a cui è
stato chiamato da Dio – fino alla morte.

Ma quando si tratta del Vicario di Cristo e quando,
come in questo caso, si tratta del teologo Joseph Aloisius Ratzinger, i
criteri di giudizio solo umani devono lasciare il posto a quelli di
ordine trascendente, evitando di cedere a facili riduzionismi. Qui non
abbiamo l’amministratore delegato di Eni che ha lasciato il posto per
motivi di salute. Qui stiamo parlando del successore di Pietro che deve
condurre gli uomini verso la salvezza. È dal Cielo che occorre guardare
tutta questa vicenda.

Allora dato che lo stesso Pontefice ha sottolineato il fatto che
la sua decisione non assomiglia ad un’agevole scorciatoia ma esito di
reiterati esami di coscienza fatti al cospetto di Dio (“dopo aver
ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio”) dobbiamo
nutrire la certezza che la sua decisione è quella che Dio stesso gli ha
indicato. Il criterio che Benedetto XVI ha seguito è l’unico valido da
seguire non solo per decisioni di questo calibro ma per qualsiasi
decisione di qualsiasi Papa: il maggior bene della Chiesa.

Il martirio, il consumarsi sino allo stremo è via obbligatoria solo se Dio lo chiede
perché in quella circostanza e per quella persona è la via più efficace
per contribuire al bene della Chiesa. Ma parimenti il passaggio di
testimone. Cosa serve ora alla Chiesa? La testimonianza della sofferenza
o le opere compiute da chi non è ancora intaccato in modo sensibile
nella propria vigoria fisica e interiore? Chi meglio del Papa può
rispondere a questo interrogativo? E Benedetto XVI ha dato la risposta
che Dio gli ha ispirato nel cuore. Allora in questa prospettiva la
scelta del Papa è stata la via indicata dalla Provvidenza, non un passo
indietro ma un passo avanti nel misterioso cammino dell’economia della
salvezza.

Un pontificato vissuto come la Via Crucis di Gesù,
se vogliamo, è più facile da interpretare, più alla nostra portata da
decifrare, perché richiama immediatamente un atto eroico, una
identificazione confortante e quasi plastica con il Crocefisso. La via
dell’umile nascondimento – “un semplice e umile lavoratore nella vigna
del Signore” si definì il Papa appena eletto – del riconoscimento che
oggi la barca di Pietro ha bisogno di vigorosi rematori comporta per noi
un maggior sforzo per quel muscolo spirituale che è la fede, proprio
quella virtù teologale che il Papa ci ha chiesto di meditare e
approfondire quest’anno.

In questo senso la decisione del Sommo Pontefice ci obbliga a privilegiare la prospettiva teologica
– e Ratinger è teologo – ed in particolare quella escatologica
orientata alla salvezza eterna, prospettiva più ardua da assumere. In
quest’angolo di visuale ultramondano forse si nasconde anche
l’indicazione che dobbiamo assegnare valore più che alla persona di
Joseph Ratzinger al munus, all’ufficio di Pontefice che non muore mai
perché passa da uomo a uomo, al di là delle contingenze, delle
sofferenze e degli acciacchi. E dunque per paradosso la rinuncia di
Benedetto XVI fa risplendere ancor di più l’importanza del ruolo di
Pontefice, più che mettere l’accento sull’uomo che lo Spirito Santo ha
scelto perché temporaneamente assuma questo altissimo incarico. Un
ufficio che richiama quella frase della Bibbia piena di mistero: «Tu sei
sacerdote per sempre al modo di Melchisedec».

La scelta di Benedetto XVI allora rimanda in modo trascendente alla perennità del ministero petrino,
ministero che rimarrà fino alla fine dei tempi perché Cristo è
eternamente vivo e dunque altrettanto vivo deve essere l’ufficio di
Vicario. Ma nello stesso tempo la decisione del Papa ci fa riflettere
sulla caducità dell’essere umano, lui sì stretto d’assedio da infiniti
limiti.

di Tommaso Scandroglio – tratto da La Nuova Bussola Quotidiana 11-02-2013