L’indifesa potenza di un Bambino vince il rumore delle potenze del mondo

A meno di una settimana dal Santo Natale, papa Benedetto XVI ha incentrato l’Udienza Generale di mercoledì 19 dicembre sull’affidamento a Dio di Maria Santissima, a partire dal mistero dell’Annunciazione.

Il termine greco chaîre (“rallegrati”) con cui l’Arcangelo Gabriele si rivolge alla Vergine “sembra un normale saluto, usuale nell’ambito greco, ma questa parola, se letta sullo sfondo della tradizione biblica, acquista un significato molto più profondo”, ha spiegato il Papa.

Si tratta, infatti, di una definizione più volte riscontrabile nella versione greca dell’Antico Testamento (cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9; Lam 4,21) e sta a significare un “annuncio di gioia per la venuta del Messia”.

Con questo saluto inizia la Buona Novella e si annuncia “la fine della tristezza che c’è nel mondo di fronte al limite della vita, alla sofferenza, alla morte, alla cattiveria, al buio del male che sembra oscurare la luce della bontà divina”.

Nella seconda parte del saluto, l’arcangelo dice a Maria: “il Signore è con te”, richiamando la duplice promessa fatta ad Israele, alla figlia di Sion: “Dio verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in mezzo al suo popolo, nel grembo della figlia di Sion”. In Maria, quindi, si sta per compiere la promessa della venuta definitiva di Dio.

Maria si è messa totalmente e “senza limiti” nelle mani del Signore, nei confronti del quale, si pone in ascolto, “attenta a cogliere i segni di Dio nel cammino del suo popolo; è inserita in una storia di fede e di speranza nelle promesse di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza”.

Come il Patriarca Abramo, anche Maria “si affida con piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero di Dio e diventa modello e madre di tutti i credenti”.

Il Pontefice ha poi sottolineato “l’elemento dell’oscurità” che caratterizza la fede, compresa quella della Madre del Redentore, la quale “vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione”.

Ognuno di noi, al pari di Maria, vive un cammino di fede pieno di “momenti di luce” ma anche di “passaggi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo”.

Aprirsi alla volontà di Dio significa “vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo amore”, a patto che si riesca ad “uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni”.

Il Santo Padre si è poi soffermato su un episodio di rilievo nella vita di Gesù, di Maria e di San Giuseppe: il ritrovamento del Bambino nel Tempio (cfr. Lc 1,29). In questa circostanza, Maria deve “rinnovare la fede profonda con cui ha detto «sì» nell’Annunciazione”, accettando che “la precedenza l’abbia il Padre vero e proprio di Gesù; deve saper lasciare libero quel Figlio che ha generato perché segua la sua missione”.

L’obbedienza di Maria alla volontà di Dio si rinnoverà più volte nel corso della sua vita, culminando nel “momento più difficile”: quello della Crocifissione del Figlio.

E tuttavia, come ha potuto Maria mantenere “una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio?”. A tal proposito il Papa ha precisato che “Ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo”, non per un atteggiamento di “paura davanti a ciò che Dio può chiedere” ma per estrema sensibilità alla “vicinanza di Dio”.

Maria, infatti, sa fare discernimento sulla volontà di Dio per lei, “non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi” e, alla fine, acquisisce “quella comprensione che solo la fede può garantire”.

La fede di Maria, quindi, risiede soprattutto nell’accettazione dell’azione di Dio, anche quando è al di là della sua umana comprensione, “lasciando che sia Dio ad aprirle la mente e il cuore”. È proprio in ragione della sua fede che “tutte le generazioni la chiameranno beata”, ha osservato il Papa.

Benedetto XVI ha infine esortato i fedeli a vivere la solennità del Natale, con la medesima “umiltà e obbedienza di fede”. Dio sta per rivelarsi non “nel trionfo e nel potere di un re”, ma “nella povertà di un bambino”. Ed è la fede a dirci che “l’indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo”.

di Luca Marcolivio tratto da Zenit 20/12/12

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La catechesi di Benedetto XVI durante l’Udienza Generale di oggi

Cari fratelli e sorelle,

nel cammino dell’Avvento la Vergine Maria occupa un posto particolare come colei che in modo unico ha atteso la realizzazione delle promesse di Dio, accogliendo nella fede e nella carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena obbedienza alla volontà divina. Oggi vorrei riflettere brevemente con voi sulla fede di Maria a partire dal grande mistero dell’Annunciazione.

«Chaîre kecharitomene, ho Kyrios meta sou», «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Sono queste le parole – riportate dall’evangelista Luca – con cui l’arcangelo Gabriele si rivolge a Maria. A prima vista il termine chaîre, “rallegrati”, sembra un normale saluto, usuale nell’ambito greco, ma questa parola, se letta sullo sfondo della tradizione biblica, acquista un significato molto più profondo. Questo stesso termine è presente quattro volte nella versione greca dell’Antico Testamento e sempre come annuncio di gioia per la venuta del Messia (cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9; Lam 4,21). Il saluto dell’angelo a Maria è quindi un invito alla gioia, ad una gioia profonda, annuncia la fine della tristezza che c’è nel mondo di fronte al limite della vita, alla sofferenza, alla morte, alla cattiveria, al buio del male che sembra oscurare la luce della bontà divina. E’ un saluto che segna l’inizio del Vangelo, della Buona Novella.

Ma perché Maria viene invitata a rallegrarsi in questo modo? La risposta si trova nella seconda parte del saluto: “il Signore è con te”. Anche qui per comprendere bene il senso dell’espressione dobbiamo rivolgerci all’Antico Testamento. Nel Libro di Sofonia troviamo questa espressione «Rallégrati, figlia di Sion,… Re d’Israele è il Signore in mezzo a te… Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente» (3,14-17). In queste parole c’è una duplice promessa fatta ad Israele, alla figlia di Sion: Dio verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in mezzo al suo popolo, nel grembo della figlia di Sion. Nel dialogo tra l’angelo e Maria si realizza esattamente questa promessa: Maria è identificata con il popolo sposato da Dio, è veramente la Figlia di Sion in persona; in lei si compie l’attesa della venuta definitiva di Dio, in lei prende dimora il Dio vivente.

Nel saluto dell’angelo, Maria viene chiamata “piena di grazia”; in greco il termine “grazia”, charis, ha la stessa radice linguistica della parola “gioia”. Anche in questa espressione si chiarisce ulteriormente la sorgente del rallegrarsi di Maria: la gioia proviene dalla grazia, proviene cioè dalla comunione con Dio, dall’avere una connessione così vitale con Lui, dall’essere dimora dello Spirito Santo, totalmente plasmata dall’azione di Dio. Maria è la creatura che in modo unico ha spalancato la porta al suo Creatore, si è messa nelle sue mani, senza limiti. Ella vive interamente della e nella relazione con il Signore; è in atteggiamento di ascolto, attenta a cogliere i segni di Dio nel cammino del suo popolo; è inserita in una storia di fede e di speranza nelle promesse di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza. E si sottomette liberamente alla parola ricevuta, alla volontà divina nell’obbedienza della fede.

L’Evangelista Luca narra la vicenda di Maria attraverso un fine parallelismo con la vicenda di Abramo. Come il grande Patriarca è il padre dei credenti, che ha risposto alla chiamata di Dio ad uscire dalla terra in cui viveva, dalle sue sicurezze, per iniziare il cammino verso una terra sconosciuta e posseduta solo nella promessa divina, così Maria si affida con piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero di Dio e diventa modello e madre di tutti i credenti.

Vorrei sottolineare un altro aspetto importante: l’apertura dell’anima a Dio e alla sua azione nella fede include anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non cancella la distanza tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo davanti alle profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Ma proprio colui che – come Maria – è aperto in modo totale a Dio, giunge ad accettare il volere divino, anche se è misterioso, anche se spesso non corrisponde al proprio volere ed è una spada che trafigge l’anima, come profeticamente dirà il vecchio Simeone a Maria, al momento in cui Gesù viene presentato al Tempio (cfr Lc 2,35). Il cammino di fede di Abramo comprende il momento di gioia per il dono del figlio Isacco, ma anche il momento dell’oscurità, quando deve salire sul monte Moria per compiere un gesto paradossale: Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato. Sul monte l’angelo gli ordina: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (Gen 22,12); la piena fiducia di Abramo nel Dio fedele alle promesse non viene meno anche quando la sua parola è misteriosa ed è difficile, quasi impossibile, da accogliere. Così è per Maria, la sua fede vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione.

Non è diverso anche per il cammino di fede di ognuno di noi: incontriamo momenti di luce, ma incontriamo anche passaggi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio, accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia – come Abramo e come Maria – tanto più Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni.

Vorrei soffermarmi ancora su un aspetto che emerge nei racconti sull’Infanzia di Gesù narrati da san Luca. Maria e Giuseppe portano il figlio a Gerusalemme, al Tempio, per presentarlo e consacrarlo al Signore come prescrive la legge di Mosé: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (cfr Lc 2,22-24). Questo gesto della Santa Famiglia acquista un senso ancora più profondo se lo leggiamo alla luce della scienza evangelica di Gesù dodicenne che, dopo tre giorni di ricerca, viene ritrovato nel Tempio a discutere tra i maestri. Alle parole piene di preoccupazione di Maria e Giuseppe: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo», corrisponde la misteriosa risposta di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che devo essere nelle cose del Padre mio?» (Lc 2,48-49). Cioè nella proprietà del Padre, nella casa del Padre, come lo è un figlio. Maria deve rinnovare la fede profonda con cui ha detto «sì» nell’Annunciazione; deve accettare che la precedenza l’abbia il Padre vero e proprio di Gesù; deve saper lasciare libero quel Figlio che ha generato perché segua la sua missione. E il «sì» di Maria alla volontà di Dio, nell’obbedienza della fede, si ripete lungo tutta la sua vita, fino al momento più difficile, quello della Croce.

Davanti a tutto ciò, possiamo chiederci: come ha potuto vivere Maria questo cammino accanto al Figlio con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio? C’è un atteggiamento di fondo che Maria assume di fronte a ciò che avviene nella sua vita. Nell’Annunciazione Ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo – è il timore che l’uomo prova quando viene toccato dalla vicinanza di Dio –, ma non è l’atteggiamento di chi ha paura davanti a ciò che Dio può chiedere. Maria riflette, si interroga sul significato di tale saluto (cfr Lc 1,29). Il termine greco usato nel Vangelo per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”, richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa che Maria entra in intimo dialogo con la Parola di Dio che le è stata annunciata, non la considera superficialmente, ma si sofferma, la lascia penetrare nella sua mente e nel suo cuore per comprendere ciò che il Signore vuole da lei, il senso dell’annuncio. Un altro cenno all’atteggiamento interiore di Maria di fronte all’azione di Dio lo troviamo, sempre nel Vangelo di san Luca, al momento della nascita di Gesù, dopo l’adorazione dei pastori. Si afferma che Maria «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); in greco il termine è symballon, potremmo dire che Ella “teneva insieme”, “poneva insieme” nel suo cuore tutti gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo elemento, ogni parola, ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo conservava, riconoscendo che tutto proviene dalla volontà di Dio. Maria non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi, li elabora, li discerne, e acquisita quella comprensione che solo la fede può garantire. E’ l’umiltà profonda della fede obbediente di Maria, che accoglie in sé anche ciò che non comprende dell’agire di Dio, lasciando che sia Dio ad aprirle la mente e il cuore. «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore» (Lc 1,45), esclama la parente Elisabetta. E’ proprio per la sua fede che tutte le generazioni la chiameranno beata.

Cari amici, la solennità del Natale del Signore che tra poco celebreremo, ci invita a vivere questa stessa umiltà e obbedienza di fede. La gloria di Dio non si manifesta nel trionfo e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un sontuoso palazzo, ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino. L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spesso silenziosa, della verità e dell’amore. La fede ci dice, allora, che l’indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo.