Lo stupore di un Bimbo che guarda

Non c’è nulla di bello e di vero che si incontri nella vita che non vada condiviso. 

Non è una legge morale, ma è una legge della realtà, un impeto del nostro cuore.

Nessun dono che ci venga fatto conserva la sua natura di dono se noi non avessimo qualcuno a cui poterlo raccontare. 

Nessuna felicità è veramente tale, se non è condivisa. 

Nessun fatto capitatoci, quando è un evento, può rimanere solo nella nostra memoria. 

L’esperienza ce lo insegna. 

Quando ci accade qualcosa di davvero sorprendente, vogliamo investire tutti quelli che incontriamo con questa notizia. Questo è stato raccontato nei Vangeli in cui gli evangelisti hanno sentito l’urgenza di raccontare la buona novella perché tutti la conoscessero. Questo accade a noi tutti i giorni quando incontriamo volti rigenerati e cambiati dall’incontro con Cristo. Non è retorica. Dobbiamo verificarlo nella nostra vita.

Qualche giorno fa, in occasione del primo compleanno della Bussola Quotidiana, alla fine della giornata ha preso la parola Paola Bonzi, fondatrice del Centro aiuto alla vita della Mangiagalli. Quando raccontava delle mamme che lei incontra quotidianamente, le sue parole si sono fatte carne, respiro, vita che palpitava davanti ai miei occhi, amore riconoscente per la grazia di poter toccare il Mistero nella carezza al grembo di una mamma che accettava di portare avanti la gravidanza trovando dei volti amici che le facevano comprendere che non era sola. Paola Bonzi ha parlato della semplicità della vita e della novità della nascita di ogni bambino che si affaccia alla luce, un mistero sempre rinnovato, che chiede solo di essere accolto e abbracciato.

Così è il Natale: così semplice e naturale come un bimbo che nasce, sempre nuovo perché viene alla luce per me oggi, nella mia vita, nelle circostanze che vivo. A noi è richiesto solo lo stupore di un bimbo che guarda. Verbum caro factum est, il verbo si è fatto carne, ancora oggi si fa carne, le parole stesse si fanno carne, nel senso letterale del termine, ancora adesso, come duemila anni fa. Il primo impeto, dopo questa testimonianza, è stato quello di raccontare a tutti l’incontro e questa notizia: il mistero che si fa carne e prende il volto di un bambino, niente di più indifeso e di più innocente. Nel grembo il bimbo è perfino privato della possibilità di piangere e di gemere, è tutto affidato all’abbraccio della madre. È la notizia del Natale. La verifica della fede consiste nel riconoscere presente Cristo nelle circostanze che ci capitano, liete o drammatiche che siano. La fede illumina con un’intelligenza nuova quanto ci accade.

Questo capita a Manzoni che, vent’anni dopo la composizione dell’inno sacro «Il Natale», si troverà ad affrontare, proprio nel giorno della nascita del Signore, la morte della persona a lui più cara, la tanto amata moglie Enrichetta Blondel, a cui deve molto anche nel suo cammino di conversione. I suoi pensieri proveranno a tradursi in parola, ma inutilmente. Entrambe le redazioni che scaturirono, quella pressoché immediata e quella redatta nel 1835, saranno incomplete. Il Mistero della morte proprio in concomitanza del Mistero della nascita del Salvatore è, se possibile, ancor più foriero di dolore e di domanda. Nella seconda stesura, composta da cinque stanze, Manzoni parla direttamente con il Mistero che si è fatto carne, Gesù, apostrofandolo con il «Tu». Se ne «Il 5 maggio» era il Dio che “atterra e suscita” ora è un Dio ancor bambino, ma pur sempre “terribile” e “severo” nei suoi giudizi imperscrutabili. Così Manzoni si rivolge a Lui: “Tu pur nasci a piangere,/ ma da quel cor ferito/ sorgerà pure un gemito,/ un prego inesaudito”. Gesù salirà sul monte per morire crocefisso. Manzoni non trova parole adeguate, ma dialoga con il Mistero fattosi carne e che ha condiviso con noi la miseria umana per avere da Lui risposte. È un dialogo vissuto nell’attesa che questo Dio si riveli anche lì, in quel dolore. Nella lettera al Granduca di Toscana, scritta due mesi dopo la morte della moglie, Manzoni scrive: «Confesso che mi pareva che dal sentimento dell’amore fosse agevole immaginare il sentimento della perdita, ma veggo ora che la sventura è una rivelazione tanto più nuova quanto più è grave e terribile». Al Granduca che gli scriverà più tardi «quanto ci sia di misericordia» in ciò che «il Signore comanda» Manzoni replicherà: «Il cuore mormora, quasi senza avvedersene, anche quando la ragione adora». La reazione di Manzoni all’evento del trapasso della moglie è una domanda, un grido, qui espresso come un mormorio rivolto al Mistero, pronunciato di fronte ad una presenza.

Nel racconto di Natale di Buzzati si narra di un prete, don Valentino, che nella santa notte si trova nella Cattedrale. Ad un tratto sente bussare alla porta. Entra un poveretto che, sorpreso, esclama: «Che quantità di Dio! Che bellezza! Lo si sente perfino di fuori. Monsignore, non me ne potrebbe lasciare un pochino? Pensi, è la sera di Natale». Ma il prete non accoglie la richiesta del povero mendicante, preso com’è dall’egoismo e dal desiderio di tenere Dio tutto per la cattedrale. Tutto ad un tratto, dopo il misero rifiuto, Dio scompare dalla sua vista. «Sgomento, don Valentino si guardava intorno, scrutando le volte tenebrose: Dio non c’era neppure lassù. Lo spettacoloso apparato di colonne, statue, baldacchini, altari, catafalchi, candelabri, panneggi, di solito così misterioso e potente, era diventato all’improvviso inospitale e sinistro. E tra un paio d’ore l’arcivescovo sarebbe disceso». Allora don Valentino esce dalla cattedrale e si reca nei posti dove pensa di poter trovare un po’ di Dio, ma non Lo trova oppure trova solo l’egoismo di persone che non vogliono donare agli altri un po’ di amore. Persino in una casa in cui una famiglia è lietamente riunita per celebrare l’avvento di Gesù il capofamiglia risponde: «Caro il mio Valentino. Lei dimentica, direi, che oggi è Natale. Proprio oggi i miei figli dovrebbero fare a meno di Dio? Mi meraviglio, don Valentino».

Sconsolato per non essere riuscito a ritrovare un po’ di Dio da riportare nella cattedrale, don Valentino continua a vagare e senza volerlo ritorna proprio lì nella cattedrale e trova l’arcivescovo che lo saluta. «Buon Natale a te, don Valentino» esclamò l’arcivescovo facendosi incontro, tutto recinto di Dio. «Benedetto ragazzo, ma dove ti eri cacciato? Si può sapere che cosa sei andato a cercar fuori in questa notte da lupi?». Dio era rimasto lì nella cattedrale. Il nostro male non allontana Dio, ma spesso ci annebbia la vista tanto che non ci permette di riconoscerLo presente. Nell’attesa di questo santo Natale impariamo a non scandalizzarci della nostra miseria e del nostro peccato, ma a guardare Lui, un bimbo che arriva per noi e che si è commosso per il nostro niente.

di Giovanni Fighera (tratto da La Bussola Quotidiana 10/12/2011)