Gioia dell’entusiasmo apostolico – 6° PARTE

Meditazioni del Cardinale Van Thuan

Quando non c’è comunione è molto difficile fare evangelizzazione, non soltanto per il clero diocesano ma anche per le comunità claustrali. Solo con la comunione possiamo andare avanti per la nuova evangelizzazione. Anche una nave non può prendere il largo se i marinai non sono bene affiatati.

1. Riprendiamo dall’essenziale: Dio resta e solo Lui basta

Quando ero in prigione, ho vissuto talvolta momenti di disperazione, di rivolta, chiedendomi perché Dio mi avesse abbandonato dal momento che avevo consacrato la mia vita solo al suo servizio, per costruire chiese, scuole, strutture pastorali, guidare vocazioni, seguire movimenti ed esperienze spirituali, sviluppare il dialogo con le altre religioni, aiutare la ricostruzione del mio Paese dopo la guerra, ecc. Mi chiedevo perché Dio si fosse dimenticato di me e di tutte le opere intraprese nel suo nome. Spesso non riuscivo a dormire ed ero preso dall’angoscia.

Una notte sentii dentro di me una voce che mi diceva: “tutte quelle cose sono opere di Dio ma non sono Dio”. Dovevo scegliere Dio e non le sue opere. Forse un giorno, se Dio lo avesse voluto, avrei potuto riprenderle ma dovevo lasciare a Lui la scelta che avrebbe fatto meglio di me.

A partire da quel momento, ho sentito una pace profonda nel mio cuore e, malgrado tutte le prove, ho ripetuto sempre a me stesso: “Dio e non le opere di Dio”. Ciò che conta è vivere secondo il Vangelo, unicamente di questo e per questo, come ha detto san Paolo: “Faccio tutto per il Vangelo” (1 Cor 10, 23).

Bisogna vivere dell’essenziale in ogni cosa, ma soprattutto nello slancio missionario della nostra vita di pastori, partire dall’essenziale.

Avere l’essenziale nel cuore. Quando abbiamo l’essenziale dentro di noi, non sentiamo più bisogno di niente. Anche nella nostra vita sacerdotale dobbiamo avere l’essenziale in noi, cioè Dio e la sua volontà. Se hai Dio hai tutto, se non hai Dio nel tuo cuore, manchi di tutto.

Per questo, quando ero in prigione, ogni giorno prima di celebrare la santa Messa pensavo alle promesse che avevo fatto al momento della mia ordinazione episcopale. Con esse, mi ero impegnato ad avere sempre Dio, per custodire l’essenziale nella mia vita: Lui e la sua volontà. 

Le promesse che sono state fatte al momento dell’ordinazione debbono però essere rinnovate continuamente poiché esse sono un programma di santità e, se le manteniamo, siamo santi. Quelle promesse ci interpellano ogni giorno. Ci domandano una fedeltà che non è la semplice ripetizione del passato ma la novità sempre rinnovata del dono del nostro cuore a Dio e alla Chiesa. È l’accoglienza della grazia del suo spirito che fa ringiovanire in noi l’impegno e ci rende testimoni di un’esperienza, ogni giorno nuova, dell’amore del Signore.

Questo intendo dire quando parlo dell’esigenza di ripartire sempre dall’essenziale: Tutto è relativo, tutto passa. Per questa ragione ho voluto scrivere sul mio anello episcopale: “todo pasa” (Santa Teresa di Gesù, Nada te turbe ). Solo Dio resta e solo Lui basta. Non dimentichiamolo mai.

 L’essenziale non si può perdere che con il peccato e, se ci sforziamo di essere fedeli, lo custodiremo nel cuore e ciò ci darà la gioia di cominciare ogni giorno daccapo con nuovo slancio ed entusiasmo.

Ricordo la prima volta che sono andato in Canada, nel 1959. Dopo aver finito la mia tesi a Roma sono andato a visitare l’America. In Canada molti fedeli sono venuti a chiedermi: “Da voi i preti pregano?”. lo ho risposto: “I preti pregano sempre”. E loro: “Ma da noi non pregano più”.

Di ciò vediamo ora il risultato, a distanza di tempo. Una malattia ha un periodo di incubazione, ha bisogno di molti anni per svilupparsi. Per esempio la lebbra scende nel sangue ma è latente, ha bisogno di 20 anni per svilupparsi.

Ricordo un’altra esperienza in Estremo Oriente. Un giorno ho parlato al Padre Provinciale di una grande Congregazione della crisi del sacerdozio. Egli mi ha detto: “Abbiamo mandato una lettera a tutti i confratelli che hanno lasciato il sacerdozio per chiedere il motivo del loro abbandono: tutti hanno risposto. Dalle loro risposte è emerso che lasciavano il sacerdozio non per problemi sentimentali, ma perché non pregavano. Alcuni hanno detto di aver abbandonato la preghiera da molti anni. Vivevano in comunità ma non pregavano profondamente; anzi, non pregavano più. Lavoravano molto, insegnavano nelle Università, organizzavano tante cose, ma non pregavano più”.

2. Leggere i segni dei tempi: La nuova evangelizzazione

Papa Giovanni XXIII ha riscoperto !’importanza dei segni dei tempi e ci ha invitato ad interpretarli. Egli amava ripetere: “Se la Chiesa non va al mondo, il mondo non andrà alla Chiesa”. Ciò che il Papa buono voleva significare è che spesso la situazione di un mondo senza Vangelo non è che la conseguenza di un Vangelo senza mondo. Solo chi parla il linguaggio del tempo può essere compreso dalla gente. Imparare questo linguaggio non significa tradire il Vangelo. Significa interpretarlo perché il suo annuncio raggiunga effettivamente le donne e gli uomini a cui siamo inviati, con tutta la fedeltà richiesta dal deposito della fede, ma anche con tutta la rilevanza necessaria che un linguaggio comprensibile può dare al nostro annuncio.

Ho girato il pianeta e ho potuto capire come !’incontro con Cristo ci urga dentro e ci spinga a evangelizzare tutte le genti: Cristo risorto, prima della sua ascensione al cielo, invitò gli apostoli ad annunciare il Vangelo al mondo intero (Mc 16, 15), conferendo loro i poteri necessari per realizzare tale missione. È significativo che, prima di affidare l’ultimo mandato missionario, Gesù faccia riferimento al potere universale ricevuto dal Padre (Mt 28, 18). In effetti, Cristo ha trasmesso agli apostoli la missione ricevuta dal Padre (Gv 20,21) e li ha resi così partecipi dei suoi poteri. Noi siamo veramente degli inviati e la nostra identità più profonda è inseparabile dal nostro impegno missionario che va esercitato a tempo e fuori tempo in tutti i contesti e di fronte alle sfide più diverse.

Mi limiterò a dare soltanto qualche esempio di questa destinazione universale della nostra vocazione apostolica, leggendo qualcuno dei segni del nostro tempo.

Evangelizzazione della cultura

La prima sfida missionaria a cui vorrei accennare è quella dell’evangelizzazione della cultura.

Abbiamo festeggiato i quattrocento anni della nascita del gesuita Matteo Ricci che ha efficacemente predicato il Vangelo in Cina. Dopo, sfortunatamente, molti missionari non lo hanno seguito e per questo finora la Cina non è evangelizzata bene. Altrimenti adesso, se avessero seguito l’esempio di Ricci, la Cina sarebbe diversa.

L’importanza di questo argomento è espressa dalla famosa frase di Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi: “la rottura tra Vangelo e cultura è senza dubbio il dramma della nostra epoca” (Evangelii Nuntiandi n. 20).

La nuova evangelizzazione rispetto alla cultura richiede uno sforzo lucido, serio e ordinato. Si tratta di realizzare la legge dell’incarnazione per la quale il Figlio assunse la natura umana per salvare gli uomini. Perciò è necessario fare in modo che il Vangelo sia annunciato nel linguaggio e nella cultura di quanti lo ascoltano. L’evangelizzazione della cultura passa innanzi tutto attraverso l’evangelizzazione dei centri educativi. Il mondo dell’educazione è un campo privilegiato per promuovere l’inculturazione del Vangelo. Dobbiamo avere un’attenzione privilegiata a tutto l’ambito dell’educazione perché è lì che si formano i giovani e si prepara anche il futuro della storia. Senza risparmio di energie, siamo chiamati a fare giungere il Vangelo alle nuove generazioni specialmente attraverso i canali della scuola e delle università.

È molto importante ma talora ci sono provocazioni. Ricorderete che, con la FUCI, gli studenti universitari si erano riuniti a Palermo per un Convegno presieduto dal cardinale Luciani di Venezia. Tra le proposte avanzate, vi era anche quella di abolire i Cappellani militari, di togliere i segni religiosi dalle scuole, ritenendo che un tipo di cultura diverso sarebbe stata migliore. La reazione del cardinale Luciani che divenne poi Papa durante trentadue giorni, il “Papa del sorriso”, fu molto dura ed energica poiché sospese la seduta, vietando ogni discussione. E salvò la situazione.

Mezzi di comunicazione sociale

Parimenti di grande importanza sono i mezzi di comunicazione sociale. Da una parte unificano il pianeta nel cosiddetto villaggio globale. Dall’altra, possono essere utilizzati per la trasmissione di ogni messaggio.

In maniera corretta e competente, si può portare a compimento un’autentica inculturazione del Vangelo. La globalizzazione, è cosa buona ma anche perversa, per cui bisogna tenerla saldamente in mano. Se la globalizzazione è usata da persone cattive, procurerà tanti disagi per la Chiesa e per la società.

Ricordo che quando parlai nella Plaza de Toros, il più grande stadio di Città del Messico, a cinquantamila giovani, uno di essi, alla fine della conferenza saltò sul palco per offrirmi un berretto dicendomi di tenerlo come ricordo del Messico; evangelizzazione e ricordo del Messico. Mentre tutti applaudivano lessi, all’interno del berretto, che era stato fabbricato in Vietnam: un ricordo del Messico che veniva dal Vietnam! La globalizzazione!

Pochi giorni fa, è venuto a trovarmi un sacerdote americano che aveva potuto insegnare, senza farsi riconoscere, in un’Università cinese e anche ricevere in casa dei seminaristi. Mi ha parlato delle sue esperienze nelle carceri comuniste e mi ha detto che in Cina gli era stato suggerito di venire da me. Alla mia reazione di sorpresa, mi ha precisato che la gente della Chiesa sotterranea gli aveva consigliato di incontrarmi quando fosse venuto a Roma. La globalizzazione!

Alcuni mi hanno chiesto quando ritornerò in Vietnam. Di solito non rispondo chiaramente a tale domanda. Da noi i vescovi non possono parlare alla televisione o alla radio. Ciascuno può predicare solo nella propria diocesi e deve avere un’autorizzazione per potere andare in un’altra diocesi a celebrare e a fare un’omelia. Sono assente dal Paese eppure, in virtù della globalizzazione, sono presente perché posso parlare tramite internet, o alla radio a tutto il popolo più degli altri vescovi che risiedono lì, ed è per questo che non ritorno.

Quando ho predicato al Papa gli esercizi spirituali, ho ricevuto subito, per e-mail, dei messaggi da parte di persone che potevano seguire tali esercizi con internet. La globalizzazione!

Dobbiamo lavorare con questi mezzi e controllarli perché sono molto importanti.

Le sette

Senza alcun dubbio, l’attività di proselitismo che le sette e nuovi gruppi religiosi sviluppano in molti Paesi costituisce un grave ostacolo per l’impegno evangelico. La vera risposta a questa sfida sta nel rinnovato slancio dell’evangelizzazione, nello stile autentico del Vangelo che rispetta il santuario della coscienza di ciascun individuo nel quale si sviluppa un dialogo decisivo, assolutamente personale tra la grazia e la libertà dell’uomo.

Perché le sette conquistano tanta gente e noi, con diplomi e lauree, non conquistiamo? Vi sono vescovi che affermano di perdere cinquemila fedeli ogni giorno. Come si costituiscono le sette? Ci sono molti miliardari che li sovvenzionano.

Per realizzare questo tipo di evangelizzazione occorre da parte di tutti i battezzati, specialmente dei pastori, la testimonianza credibile della vita e la dedizione completa per fare giungere la parola del Vangelo in maniera diretta e personalizzata a ciascuno.

: la testimonianza. Se non vi è testimonianza, non possiamo vincere le sette.

: unione costante di azione e di contemplazione.

: le parole devono trasmettere l’esperienza del dono ricevuto e la grazia della conversione del cuore che si irradiano attraverso gesti di carità e di giustizia comprensibili da tutti.

Anche la sfida delle sette porta così a riscoprire la qualità della tensione missionaria della vita ecclesiale. La missione ad gentes non è un’attività marginale perché le sette la praticano con successo; si aggiunge alle altre, ma è l’espressione concreta di una passione per il Vangelo che arde al punto da provocare scelte radicali di vita e di dono di sé.

Vorrei confermare quest’ultima considerazione con un’esperienza della mia vita di pastore, quando ero sulla nave, in catene, per essere trasportato con altri millecinquecento detenuti dal sud verso il nord del Vietnam, a millesettecento chilometri dalla mia diocesi.

Un giorno, il 1° dicembre 1976, ebbi come un incubo nel quale vidi allontanarsi la luce della mia diocesi che stavo lasciando e mi trovai nel buio totale, fisico e mentale, nel fondo della nave, con i miei compagni di tragedia tristi fino alla morte, senza sapere quale fosse la nostra destinazione. 

Il mattino seguente, alla luce del giorno, molti mi riconobbero. La maggior parte non erano cattolici, ma sapevano che ero un vescovo e mi dissero che la presenza di un vescovo dava loro fiducia e mi fecero tante domande. In quel momento cominciai a sentire nel mio cuore che stava avvenendo una svolta nel cammino della mia vita. Come san Paolo in catene sulla nave che andava a Roma, capitale dell’impero, io andavo prigioniero su una nave diretta verso la capitale del Vietnam, Hanol. Come san Paolo comprese che il Signore gli affidava una nuova missione, quella di raggiungere il centro dell’impero per cambiarlo dal di dentro, così io capii che ero chiamato a portare il Vangelo in un campo nuovo. Iniziai a considerare la nave e poi la prigione come la mia più bella cattedrale. 

Una nave lunga con millecinquecento prigionieri: questa è la mia più bella cattedrale dove devo annunciare il Vangelo con la parola e con la vita. Tutti quei prigionieri, buddisti, confuciani, cattolici, protestanti erano il nuovo popolo affidatomi da Dio, e non solo loro, ma anche i carcerieri comunisti.

Allora mi si schiuse una nuova visione e dissi a Gesù: “eccomi, Signore, sono pronto ad andare per te fuori dalle mura, extra muros. Non nella mia diocesi, ma in un altro luogo. Tu sei morto per me fuori dalle mura di Gerusalemme perché il Vangelo raggiungesse ogni creatura” .

Io continuo da allora a vivere questa missione, rivolta specialmente ai piccoli, ai poveri, ai pagani non in una sola diocesi ma nel mondo intero.

Così vorrei augurare ad ognuno di voi una passione per il Vangelo che trascenda ogni limite, ogni confine e che, partendo dall’essenziale, si irradi in tutti i campi della missione che Dio affida a ciascuno di voi senza escludere nessuna nuova possibilità. Abbiamo sempre possibilità di fare l’evangelizzazione.

3. Dove Dio piange

Il nostro secolo è caratterizzato dalla globalizzazione, una realtà che non possiamo disconoscere e di cui bisogna sviluppare gli aspetti positivi e vigilare su quelli negativi.

Parto da una lettura recente di un articolo di giornale, fatta in aereo da Roma a Washington, che aveva per oggetto la nuova Trinità. Mi ha subito incuriosito perché non l’avevo studiata in seminario. Scopro così che il padre sarebbe la Casa Bianca da cui vengono le direttive e gli impulsi ad agire, tutte le idee per conquistare il mondo e americanizzarlo; il figlio sarebbe la CNN, la rete televisiva globale, che porta nel mondo la parola del padre diffusa nell’universo; lo Spirito Santo è il consumismo che fa desiderare ciò che vogliono il padre e il figlio. Se la testa del mondo adesso pensa così, questa immagine può sembrare blasfema ma fotografa molti aspetti della situazione attuale, perciò Dio piange.

Possiamo chiederci allora dove vada il mondo se le cose stanno così.

Un autore francese distingue tre tappe del processo in atto a livello mondiale:

-> La prima tappa è lo sfruttamento dei poveri. Si è passati dalla schiavitù e dalla colonizzazione alle forme della nuova schiavitù e del neocolonialismo.

-> La seconda tappa è l’esclusione: soltanto quelli del G8 decidono tutto. Gli altri Paesi sono esclusi e devono subire. Tutto è nelle mani di pochi, quelli del G8, gli altri non possono decidere niente.

-> La terza tappa è l’eliminazione. Alcuni popoli sono considerati come superflui. Gli africani: superflui, al punto da ritenere che sia meglio eliminarli o facilitare la loro estinzione mediante la guerra, la povertà, la fame, l’AIDS, la tubercolosi, la malaria, la lebbra. Adesso la longevità della popolazione africana, invece di progredire come anni fa, è discesa in quindici anni da quarantasette anni di vita a quaranta.

In queste tre tappe, possiamo dire che Cristo è nuovamente crocefisso e che Dio piange.

Avrete sentito parlare molto della Cambogia distrutta per le persecuzioni del regime di Pol-Pott. C’era un vescovo cambogiano, Monsignor Sala, ordinato solo tre giorni prima dell’arrivo dei comunisti che non ha mai potuto esercitare il suo ministero di vescovo ma ha voluto rimanere con il suo popolo, andare in prigione con lui per potere parlare o almeno farsi vedere dalla sua gente. Ed è rimasto in carcere fino alla morte. Ha subito torture, lavori forzati, ogni patimento per essere in mezzo al suo popolo. L’evangelizzazione a modo suo. Quando morì, la sua mamma disse che conservava la sua croce, nascosta nel pollaio di casa perché se l’avessero scoperta, le avrebbero tagliato la testa. La mamma vigila sul pollaio perché vi è la croce del figlio e il popolo guarda a Quel luogo come se il vescovo fosse ancora vivo.

Potremo sintetizzare queste interpretazioni con le parole del testamento di Paolo VI che non poteva non aggiungervi la visione della speranza cristiana “Chiudo gli occhi su questa terra dolorosa, drammatica e magnifica invocando ancora una volta su di essa la bontà divina”.

Viviamo ogni giorno in questo mondo dove dobbiamo evangelizzare e dove le generazioni stanno camminando. Il quadro tracciato non deve indurci al pessimismo ma spingerci a guardare con occhi ancora più pieni di fiducia al Dio della vita e della storia che, attraverso il suo figlio Gesù, continua a dirci “Prendi il largo” “Duc in altum” (Lc 5, 4).

È l’invito che il Santo Padre ha voluto fare risuonare per tutti noi nel Novo Millennio Ineunte, testo ispiratore dei passi della Chiesa all’inizio di Questo tempo

Faccio mio questo invito sognando con voi ad occhi aperti: sogno una Chiesa che sia Parola, che mostri il Libro del Vangelo ai Quattro punti cardinali della terra, con un gesto di annuncio, di sottomissione alla Parola di Dio, come promessa dell’eterna Alleanza.

Sogno una Chiesa che sia pane, Eucaristia, che possa sfamare tutti affinché il mondo abbia vita in abbondanza.

Sogno una Chiesa che sia appassionata dell’unità che Dio ci ha lasciato.

Sogno una Chiesa che sia in cammino, popolo di Dio che porta la croce e, pregando e cantando, va incontro a Cristo Resuscitato, unica speranza.

Sogno una Chiesa che abbia nel cuore il fuoco dello Spirito Santo, e dove c’è lo Spirito c’è libertà, dialogo sincero con il mondo e specialmente con i giovani, con i poveri e con gli emarginati.

Sogno una Chiesa che sia testimone di speranza e d’amore, attraverso fatti concreti che abbraccino tutti con la grazia di Gesù Cristo, con l’amore del Padre e con la comunione dello Spirito, vissuti nella preghiera e nell’unità.

Sogno anche un mondo senza corruzione, senza debito estero, senza droghe, senza corsa agli armamenti, senza razzismo, senza guerre e violenze, quale solo Dio potrà edificare con il nostro sì!

Sogno un’umanità in cui la dottrina sociale della Chiesa realizzi in pieno il suo compito di strumento al servizio della crescita della vita e della qualità della vita di ogni uomo e di ogni donna, per la gloria di Dio!

Maria, Stella della nuova evangelizzazione, ci invita a cantare con Lei il suo Magnificat, e ci sostiene nella certezza che l’ultima parola della vita e della storia non potrà essere quella del male che trionfa, ma dell’amore che salva.

A Lei affidiamo il nostro ministero di vescovi e sacerdoti al servizio della nuova evangelizzazione.

Con Lei proclamiamo le meraviglie dell’Altissimo, che ha guidato i passi della Chiesa nel tempo e della nostra vita, e ci conduce nella gioia al porto della sua casa, la Gerusalemme celeste, quando Dio sarà tutto in tutti e il mondo intero sarà la patria di Dio.

Sia lodato Gesù Cristo!