Gioia del dono del momento presente – 7° PARTE

Meditazioni del cardinale Van Thuan

In questi momenti, abbiamo sempre tanto lavoro e poco tempo per riflettere e meditare; la televisione, il fax, il telefono, ci disturbano in continuazione.

Dobbiamo ricorrere ai testi dei grandi Padri della Chiesa per essere aiutati perché loro hanno più incontro con Dio di noi.

Voglio meditare brevemente con voi sulla gioia del dono del momento presente. Penso che bisogna cercare qualcosa di semplice per la nostra santità. Nella nostra vita di battezzati, abbiamo un tesoro molto ricco e importante ma che non apprezziamo, cioè, il momento presente.

Tutti lo possediamo e più avanziamo nella vita e approfondiamo la nostra vita spirituale, più vediamo che il momento presente è importante. È un elemento chiave della vita spirituale, non soltanto per noi cattolici, ma anche per le altre religioni, per i buddisti come per i musulmani.

I buddisti dicono che la gente domanda a Budda perché i suoi discepoli consumano soltanto un pasto al giorno e sono gioiosi. Budda risponde che loro non pensano al passato perché è già passato, non pensano al futuro perché deve ancora venire, pensano solo al momento presente e perciò sono contenti con un solo pasto.

 Nel libro di preghiera dei musulmani c’è scritto: quando è sera non aspettare il mattino e quando è mattino non aspettare la sera.

Vi racconto la mia esperienza. Quando ero giovane, ciò che aveva detto santa Teresa del Bambino Gesù sul momento presente, mi aveva colpito molto ma la mia pratica non era ancora approfondita.

La sera dell’Assunzione del 1975, come vi ho già raccontato, fui arrestato nel palazzo della presidenza e mi portarono in una parrocchia vicino alle montagne, a quindici chilometri dal vescovado. Ero in macchina con due poliziotti; ci precedeva un carro armato e ci seguiva una vettura con dei soldati. Avevo con me solo l’abito talare, un po’ di carte, un fazzoletto e il rosario. Mi resi conto che non avevo ormai alcuna possibilità di decisione e mi ricordai di un vescovo americano che fu prigioniero in Cina e che quando fu rilasciato non poteva più camminare. Arrivato in America, fu intervistato e la prima cosa che disse fu di avere passato il suo tempo ad aspettare.

In carcere, tutti attendono ad ogni istante la liberazione, ma io mi sono detto, mentre mi stavano accompagnando che era un’illusione sperare di tornare a Roma e di fare un lavoro importante perché la cosa più probabile, nelle condizioni in cui mi trovavo, era che sopraggiungesse la morte.

Decisi quindi che avrei vissuto il momento presente e che lo avrei colmato di amore, ma non era facile mettere in pratica questa decisione.

Quando giunsi alla diocesi, vidi la polizia ovunque, tutto era stato bruciato e confiscato, non vi erano più Bibbie o testi spirituali e le suore, cacciate dai conventi, lavoravano nei campi. Ero tormentato da tale situazione, ma una notte mi fu suggerito di scrivere lettere, come fece san Paolo quando era prigioniero.

L’indomani, chiamai un bambino e gli chiesi di dire alla sua mamma di darmi dei blocchi di un vecchio calendario e di portarmelo la sera. Così cominciai a scrivere la notte, con la lampada a petrolio e con il tormento delle zanzare. La mattina consegnavo i fogli al bambino dicendogli che li desse alle sue sorelle per ricopiarli e conservarli.

Il 18 marzo, vigilia di san Giuseppe, fui arrestato di nuovo e messo in isolamento, ma quello che avevo scritto fu pubblicato mentre ero in prigione, senza che io lo sapessi. Il titolo di quel libro è “Il cammino della speranza”.

Due anni dopo, poiché ero in pessime condizioni di salute, mi misero agli arresti domiciliari nel nord del Vietnam, dove da dieci anni non c’era il parroco e la gente era poco praticante. Mi sorvegliava sempre una persona che, all’inizio, era molto dura con me ma che poi, poco a poco, mi si affezionò e mi aiutò.

Ricominciai quindi a scrivere in clandestinità e i miei scritti furono poi pubblicati con il titolo: “Il cammino della speranza alla luce della Parola di Dio e del Concilio ” (“La speranza non delude” pubblicato, in parte, da Città Nuova).

Scrissi poi un altro libro che è uscito in francese e in spagnolo ma non in italiano “I pellegrini del cammino della speranza”.

Il poliziotto che mi sorvegliava diventò infine del tutto solidale con me, comprò anche la carta per farmi scrivere e quando vedeva gente del sud la faceva venire da me, di notte. Così potei affidare loro le bozze del mio libro che portarono, nascoste sotto i pantaloni, nel sud Vietnam dove furono pubblicate in clandestinità e furono di aiuto, soprattutto ai consacrati, durante gli anni di persecuzione.

Il governo venne a conoscenza di questi libri e ordinò ai vescovi di farli bruciare, il che costituì la più grande pubblicità per i miei scritti e ne fece aumentare notevolmente le vendite.

Quando lessi la vita di sant’Ignazio chiesi al Signore una grazia alla sequela del santo che, quando era in ospedale ferito, fu molto aiutato dalla lettura dell’ “Imitazione di Gesù Cristo”.

L'”Imitazione di Gesù Cristo” è in quattro volumi: La sequela di Gesù, La resistenza alla tentazione, 1 Sacramenti per rinforzare la vita, L’Eucaristia.

Il secondo libro che ha aiutato Ignazio è “La vita di Gesù” e si può fare un parallelo con “La speranza non delude” perché vi è dentro la parola di Dio.

Il terzo libro che ha aiutato Ignazio è “La vita dei Santi” che si può accostare a “I pellegrini del cammino della speranza” in cui vi è la testimonianza di piùdi trecento storie che si possono utilizzare per le omelie o la catechesi.

I tre libri che ho citato hanno aiutato molto Ignazio per la sua conversione, dopo la quale andò a Montserrat per fare un lungo ritiro e scrivere gli Esercizi Spirituali.

 Io non avevo pensato di scrivere gli Esercizi Spirituali mentre ero in prigione, ma il Papa, dopo, me li ha fatti scrivere. Ho avuto anch’io un po’ come Ignazio, quando era in ritiro a Montserrat, momenti di disperazione, di rivolta, di gioia.

Chiediamoci se è possibile essere sacerdoti santi nel momento presente. È vivendo il presente che si possono adempiere bene i doveri di ogni giorno. Se ciascuno lo facesse, nei differenti ruoli, tutto il mondo sarebbe trasfigurato. È vivendo il presente che le croci diventano sopportabili, è vivendo il presente che si possono cogliere le ispirazioni di Dio, gli impulsi della sua grazia, è vivendo il presente che possiamo costruire fruttuosamente la nostra santità. Diceva San Francesco di Sales che ogni attimo viene carico di un ordine e va a sprofondarsi nell’eternità per fissare ciò che ne abbiamo fatto.

Gesù ci ha chiesto di vivere bene ogni minuto perché santo è colui che è fedele nelle piccole cose. In modico fidelis. Gesù dice: “lo faccio sempre ciò che piace al Padre” (Gv 8, 29). Questo è il presente. Gesù ci ha domandato anche di pregare sempre: arate semper.

Bisogna essere l’amore nel momento presente, con Dio e con tutti. Si possono fare grandi cose, predicare bene, insegnare bene, costruire bene, ma è difficile fare bene tutto; solo nella santità si può farlo. Fare la volontà di Dio è l’atto più intelligente e che porta più frutti. L’uomo realizza se stesso nella comunione con Dio dicendo di sì a Lui in ogni momento della sua vita, rispondendo al sì che Dio ha detto creandolo per amore.

L’uomo trova se stesso nel rapporto con Dio e tutta la sua felicità. Vivere il presente e lavorare a due. È molto saggio trascorrere il tempo che abbiamo seguendo perfettamente la volontà di Dio e per fare questo occorrono volontà, decisione, ma soprattutto una confidenza in Dio che può giungere fino all’eroismo. Se non posso fare nulla in una data circostanza o per una persona cara in pericolo o malata, posso però fare quello che si vuole da me in quel momento: studiare bene, pulire bene, pregare bene, accudire bene i miei bambini.

Vivendo bene il presente, avverrà come ha detto Paolo: Vivit in me Christus (Gal 2, 20) ed io posso tutto, tramite Lui. Anche l’ascetismo è vivere il presente. Non è facile piacere sempre a Dio, non è facile sorridere a tutti ogni momento, non è facile amare tutti ogni momento, ma se siamo sempre amore nel presente, senza rendercene conto, siamo nulla per noi stessi e affermiamo con la vita la superiorità di Dio, il suo essere tutto. Basta vivere nell’amore.

I doveri di ogni istante, sotto le loro oscure apparenze, nascondono la verità del divino volere. Essi sono come il sacramento del momento presente.

Quando ero in prigione, pensavo ogni giorno alla santità e alla fine mi convinsi che non vi era altro che vivere bene il momento presente perché la nostra vita è composta da milioni di minuti.

Per fare una linea retta, bisogna fare migliaia di punti e se, facciamo bene ogni punto, essa diventa una bella linea retta. La nostra vita è formata da milioni di minuti; se viviamo bene ogni minuto, abbiamo una vita santa. Non si può essere santi con intervalli, non si può vivere respirando ad intervalli perché bisogna respirare sempre.

Per concludere, voglio richiamare le parole di Teresa del Bambino Gesù e di Teresa di Calcutta.

Santa Teresa del Bambino Gesù ha detto: “Non ho occhi che per amare”. Ha scritto anche di profittare del nostro unico momento di sofferenza e di badare solo all’attimo che passa perché un attimo è un tesoro e, per amare Dio sulla terra, non vi è altro che l’oggi (Santa Teresa di Lisieux, seconda lettera a Giovanna e Maria Guérin. ).

Lo stesso, dice santa Teresa, è anche per la sofferenza che di minuto in minuto si può sopportare perché si avverte solo la sofferenza del momento mentre se si pensa al passato e all’avvenire si perde il coraggio. Soffrire solo nell’attimo presente non è troppo gravoso.

Madre Teresa di Calcutta mi scrisse una lettera dicendomi, tra l’altro, che non è il numero delle nostre attività che è importante ma l’intensità di amore che mettiamo in ciascuna azione.

Penso che soprattutto a noi che abbiamo sempre tanto lavoro, il momento presente porti grande aiuto.

Sia lodato Gesù Cristo!

10 “A” da ricordare nella vita

Carissimi fratelli nel sacerdozio. Con questa omelia, concludiamo i nostri esercizi spirituali: giorni di preghiera, di silenzio, di intimità con il Signore che ci ha chiamati.

Prima di uscire e tornare alle nostre occupazioni, vorrei lasciarvi le dieci “A” da ricordare nella vita, perché è adesso che veramente cominciano gli esercizi: dopo i giorni di pace vissuti insieme, seguono tempi duri, pieni di impegni ed attività.

Molte volte pensiamo di dover agire e lavorare, ed è vero. Non è meno vero che dobbiamo prima pregare ed ascoltare.

Per questa ragione, le dieci “A” da ricordare nella vita sono divise in due parti: le prime cinque riguardano il fuoco interiore; le altre cinque l’impegno esteriore.

Cominciamo con il fuoco interiore, perché è la causa del fuoco esteriore:

Il fuoco interiore

1. Adorare: dopo questi esercizi, tutti noi possiamo dire: “Ho incontrato Gesù!” Abbiamo contemplato il volto di Cristo, che è Amore. L’abbiamo visto nei suoi quattordici difetti. Sappiamo che la gente cerca il volto di Dio. Siamo noi a farglielo vedere.

2. Amare: la seconda “A” da ricordare, è quella di “Amare”: dopo che abbiamo incontrato Gesù, diciamo pieni di gioia: “Vidimus Iesum!”. L’amore di Cristo ci scuote, così come è stato per san Paolo: “Caritas Christi urget nos!”. È il fuoco dell’amore di Cristo che brucia i cuori degli apostoli. Lasciamoci bruciare! È fuoco d’amore!

3. Ascoltare: noi, sacerdoti, dobbiamo prima di tutto ascoltare Dio. Non possiamo parlarne se prima non lo ascoltiamo attentamente, come fece Maria a Betania. Gli uomini vogliono vedere Gesù tramite noi. In secondo luogo, ricordiamoci di poter ascoltare Dio nella nostra coscienza. Noi formatori di coscienze, quanto bisogno abbiamo di essere fedeli alla nostra propria coscienza. Finalmente, questa “A” vuole ricordarci il bisogno di ascoltare gli altri, come fa un padre con suo figlio, come fa un dottore con un ammalato, come faceva Cristo con tutti.

4. Abbandonarsi: parlando ancora del fuoco interiore, è importante “abbandonarsi”, cioè, lasciarci amare da Dio. Egli ci ama non per i nostri meriti, né per le nostre azioni o qualità. Ci ama perché ci ha voluto adottare come figli suoi. Lasciamoci dunque amare da Dio!

5. Accettare: quest’ultima “A” del fuoco interiore ci insegna ad accettare sempre il momento presente, cioè, il pane quotidiano che Dio nella sua provvidenza ci dà ogni giorno: le nostre occupazioni, le nostre difficoltà, i nostri successi e fallimenti, noi stessi con la nostra propria croce. Accettiamola con amore e gioia. Viene da Dio.

L’impegno esteriore

L’uomo dal cuore ricolmo di Dio è l’apostolo che mostra a tutti il volto del Padre. Queste cinque “A” si riferiscono all’impegno esteriore e non possono esistere se non c’è prima il fuoco interiore.

6. Agire: questa sesta “A” ci ricorda che Gesù, non soltanto chiamò i suoi perché fossero con lui, ma pure perché andassero a predicare il suo vangelo: ite, baptizate, docete, sanate. È lui che ci invia. Come san Paolo, sopportiamo tutto a causa del Vangelo: omnia propter Evangelium.

7. Animare: mossi dallo Spirito Santo, portiamo Gesù a tutti gli uomini. Ogni nostro atto, dal più piccolo al più importante, è un’opportunità di portare Gesù. Nelle processioni del Corpus Christi, gli ostensori hanno dentro l’ostia, che è Gesù. Anche noi siamo un ostensorio. C’è o non c’è dentro di noi l’ostia? A cosa servirebbe una processione il cui ostensorio non abbia dentro Gesù?

8. Appassionarsi: l’ottava “A” ci ricorda che noi sacerdoti non siamo gente vuota, ma veramente appassionata. La nostra passione è contenuta nel Padre nostro, la gloria di Dio e la salvezza delle anime: Dio e gli uomini. Ecco la nostra passione. Innanzitutto Dio, e per questo preghiamo ogni giorno: sia santificato il tuo nome! Venga il tuo Regno! Sia fatta la tua volontà!

E poi, gli uomini, nostri fratelli: dacci oggi il nostro pane quotidiano! Rimetti i nostri debiti! non ci indurre in tentazione!…

9. Avventurarsi: il messaggio del vangelo esige radicalità. Cristo è un avventuriero e noi, suoi seguaci, dobbiamo pure avventurarci assolutamente, subito, senza condizioni. Toto corde, tota anima, usque ad effusionem sanguinis! Un chiaro esempio ne è Padre Kolbe, avventuriero di Cristo.

10. Allietarsi: l’ultima delle “A” non è meno importante delle altre. Dopo questi esercizi siamo tutti lieti e contenti. Allietiamoci nella grande gioia della speranza! Noi, che viviamo pienamente donati alle anime, ricordiamo la promessa di Cristo: “Chi darà un bicchiere d’acqua ad uno di questi, non rimarrà senza ricompensa”.

Così, io posso ridere ogni giorno, malgrado le croci e le difficoltà. E se il tuo cuore ha ancora dei dubbi, non ti preoccupare! L’amore di Dio, è ancora più grande del tuo cuore.

Maria, Stella dell’evangelizzazione, prega per noi!