Il Papa Benedetto XVI ribadisce il primato del canto gregoriano

di Massimo Introvigne  (tratto da La Bussola quotidiana 31/05/2011)

La Santa Sede ha reso pubblica il 31 maggio la lettera, formalmente datata 13 maggio 2011, che  Benedetto XVI ha inviato al Gran Cancelliere del Pontificio Istituto di Musica Sacra, il cardinale Zenon Grocholewski, in occasione delle celebrazioni del centenario di fondazione dell’Istituto. La pubblicazione di questo documento era molto attesa e segue alcune polemiche giornalistiche su un tema che, comprensibilmente, sta a cuore a molto fedeli e che ha visto purtroppo negli ultimi anni l’ampia diffusione di abusi.

Il Papa, sempre attento agli anniversari, ha ricordato che «cento anni sono trascorsi da quando il mio santo predecessore Pio X [1835-1914] fondò la Scuola Superiore di Musica Sacra, elevata a Pontificio Istituto dopo un ventennio dal Papa Pio XI [1857-1939]. Questa importante ricorrenza è motivo di gioia per tutti i cultori della musica sacra, ma più in generale per quanti, a partire naturalmente dai Pastori della Chiesa, hanno a cuore la dignità della Liturgia, di cui il canto sacro è parte integrante (cfr Conc. Ecum. Vat II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 112)».

Il Papa ha voluto specialmente ricordare che il Pontificio Istituto di Musica Sacra fa parte a pieno titolo del sistema delle università pontificie e ha un legame speciale con l’Ateneo Sant’Anselmo dei Benedettini, specializzato in liturgia. «Codesto Istituto – ha detto il Papa – che dipende dalla Santa Sede, fa parte della singolare realtà accademica costituita dalle Università Pontificie romane. In modo speciale esso è legato all’Ateneo Sant’Anselmo e all’Ordine benedettino, come attesta anche il fatto che la sua sede didattica sia stata posta, a partire dal 1983, nell’abbazia di San Girolamo in Urbe, mentre la sede legale e storica rimane presso Sant’Apollinare».

Ma la celebrazione non basta. Senza dubbio anche a fronte delle polemiche recenti, il centenario secondo il Pontefice dev’essere occasione per «cogliere chiaramente l’identità e la missione del Pontificio Istituto di Musica Sacra». A questo scopo, «occorre ricordare che il Papa san Pio X lo fondò otto anni dopo aver emanato il Motu proprio “Tra le sollecitudini”, del 22 novembre 1903, col quale operò una profonda riforma nel campo della musica sacra, rifacendosi alla grande tradizione della Chiesa contro gli influssi esercitati dalla musica profana, specie operistica. Tale intervento magisteriale aveva bisogno, per la sua attuazione nella Chiesa universale, di un centro di studio e di insegnamento che potesse trasmettere in modo fedele e qualificato le linee indicate dal Sommo Pontefice, secondo l’autentica e gloriosa tradizione risalente a san Gregorio Magno [ca. 540-604]».

I problemi di oggi, ha voluto spiegare il Papa, non sono – come capita in tanti altri campi – così nuovi come molti credono. Anche cento anni fa c’erano influssi indebiti della «musica profana» su quanto si cantava in chiesa, anche se allora ci si appassionava alle opere più che alle canzonette. Ma il Magistero è sempre dovuto intervenire. E per cento anni, ha ricordato Benedetto XVI, il Pontificio Istituto di Musica Sacra è stato chiamato a studiare e diffondere «i contenuti dottrinali e pastorali dei Documenti pontifici, come pure del Concilio Vaticano II, concernenti la musica sacra, affinché possano illuminare e guidare l’opera dei compositori, dei maestri di cappella, dei liturgisti, dei musicisti e di tutti i formatori in questo campo».

La musica sacra, ha messo in luce il Pontefice, non sfugge al criterio fondamentale che fin dagli inizi del suo pontificato va illustrando in tutti i campi dove sono sorte perplessità e controversie nei tempi tumultuosi del postconcilio: le innovazioni ci sono state, ma vanno interpretate secondo una ermeneutica della «riforma nella continuità», che comprende una «naturale evoluzione» ma esclude ogni rottura. «Un aspetto fondamentale, a me particolarmente caro, desidero mettere in rilievo a tale proposito – ha sottolineato il Papa -: come, cioè, da san Pio X fino ad oggi si riscontri, pur nella naturale evoluzione, la sostanziale continuità del Magistero sulla musica sacra nella Liturgia.

In particolare, i Pontefici Paolo VI [1897-1978] e Giovanni Paolo II [1920-2005], alla luce della Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium”, hanno voluto ribadire il fine della musica sacra, cioè “la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli” (n. 112), e i criteri fondamentali della tradizione, che mi limito a richiamare: il senso della preghiera, della dignità e della bellezza; la piena aderenza ai testi e ai gesti liturgici; il coinvolgimento dell’assemblea e, quindi, il legittimo adattamento alla cultura locale, conservando, al tempo stesso, l’universalità del linguaggio; il primato del canto gregoriano, quale supremo modello di musica sacra, e la sapiente valorizzazione delle altre forme espressive, che fanno parte del patrimonio storico-liturgico della Chiesa, specialmente, ma non solo, la polifonia; l’importanza della schola cantorum, in particolare nelle chiese cattedrali».

Questi, ha detto il Papa, «sono criteri importanti, da considerare attentamente anche oggi. A volte, infatti, tali elementi, che si ritrovano nella “Sacrosanctum Concilium”, quali, appunto, il valore del grande patrimonio ecclesiale della musica sacra o l’universalità che è caratteristica del canto gregoriano, sono stati ritenuti espressione di una concezione rispondente ad un passato da superare e da trascurare, perché limitativo della libertà e della creatività del singolo e delle comunità». Un errore: «il primato del canto gregoriano» è stato ribadito dal Concilio Ecumenico Vaticano II e non può essere considerato «superato».

Per evitare gli errori correnti in tema di musica sacra e liturgia, ha detto il Papa, «dobbiamo sempre chiederci nuovamente: chi è l’autentico soggetto della Liturgia? La risposta è semplice: la Chiesa. Non è il singolo o il gruppo che celebra la Liturgia, ma essa è primariamente azione di Dio attraverso la Chiesa, che ha la sua storia, la sua ricca tradizione e la sua creatività. La Liturgia, e di conseguenza la musica sacra, “vive di un corretto e costante rapporto tra ‘sana traditio’ e ‘legitima progressio'”, tenendo sempre ben presente che questi due concetti – che i Padri conciliari chiaramente sottolineavano – si integrano a vicenda perché “la tradizione è una realtà viva, include perciò in se stessa il principio dello sviluppo, del progresso” (Discorso al Pontificio Istituto Liturgico, 6 maggio 2011)».

«Altre forme espressive» diverse dal gregoriano e dalla polifonia non sono dunque escluse. Ma senza che il primato del gregoriano, che il Papa qui chiaramente riafferma, sia messo in discussione. E senza cedimenti al cattivo gusto e alla sciatteria, anzi con un «adeguato discernimento della qualità delle composizioni musicali utilizzate nelle celebrazioni liturgiche».